Il rapporto indica che in totale in Italia le attività commerciali sono circa 921mila. 467mila riguardano il commercio al dettaglio in sede fissa
Presentato a Roma presso la Confcommercio di Piazza Belli la settima edizione dell’osservatorio sulla demografia nelle città italiane. Mariano Bella direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, ha illustrato come dal 2012 al 2021 le imprese commerciali siano cambiate radicalmente.
Il perimetro di analisi
Sono state prese in esame 11 categorie merceologiche come alimentari e non, rivendite di tabacchi, farmacie, carburanti, computer e telefonia, libri e giocattoli vestiario e calzature, mobili e ferramenta, commercio ambulante, alloggio e ristorazione. L’indagine ha interessato 120 Comuni di medie dimensioni e ha escluso città come Milano, Roma e Napoli. In queste cittadine risiedono 13,5 milioni di abitanti quindi il 23% della popolazione italiana. I Comuni monitorati sono stati otto in Piemonte, Aosta in Valle d’Aosta, quindici in Lombardia, due in Trentino Alto Adige, sette nel Veneto, quattro in Friuli–Venezia Giulia, quattro in Liguria, dieci in Emilia Romagna, dieci in Toscana, due in Umbria, cinque nelle Marche, sei nel Lazio, quattro in Abruzzo, due nel Molise, sei in Campania, otto in Puglia, due in Basilicata, cinque in Calabria, undici in Sicilia, e dieci in Sardegna.
Le imprese in Italia
Il rapporto ci dice che in totale nel nostro Belpaese le attività commerciali sono circa 921mila. 467mila riguardano il commercio al dettaglio in sede fissa. In nove anni sono scomparsi 85mila negozi fisici di cui quasi 4.500 durante la pandemia. I numeri potrebbero essere peggiori ma nella realtà ristori e cassa integrazione hanno congelato la demografia. Precisa Mariano Bella: «Molti imprenditori non vogliono cancellarsi dai registri camerali spesso dopo 50 anni di attività».
Purtroppo grossa parte della riduzione delle imprese è dovuta alla stagnazione dei consumi che affligge l’Italia da tempo. Oggi i consumi in termini reali sono sotto i valori del 1999 che erano all’epoca pari a circa 17.708 euro nel 2021 sono stati pari a 17.297 euro.
Le perdite di ambulanti
Se sommiamo le perdite degli ambulanti a quelle del commercio in sede fissa, dal 2012 al 2021 sono scomparse quasi 100 mila attività.
Emergono le imprese straniere
Se nel commercio spariscono imprese italiane, in nove anni abbiamo avuto quasi il raddoppio delle imprese straniere aperte, passate dal 10,7% nel 2012 al 19,1% nel 2021. Stesse dinamiche per le persone occupate, stabile per quella degli italiani in crescita dell’11% quella degli stranieri. Anche qui considerando il commercio, gli alberghi ei pubblici esercizi a fronte di 150 mila italiani in meno, ci sono 70 mila stranieri in più. Nei centri storici il commercio ambulante la fa da padrone.
La differenza tra Sud e Centro Nord
Il rapporto di Confcommercio evidenzia come vi sia una significativa differenza tra città del Sud e quelle del Centro Nord nella vocazione dell’offerta turistica. In Italia nell’ultimo decennio il numero degli alberghi nei centri storici del Mezzogiorno, è cresciuto dell’89,3% contro un più “normale“ 34% del Centro Nord. Stessa cosa per bar e ristoranti ove si riscontrano problemi di qualità nell’offerta. I numeri del commercio al dettaglio sono discretamente brutti, specie durante la pandemia e sono peggiori nei centri storici, piuttosto che nel resto delle aree delle medie città.
L’offerta variata del commercio
Negli ultimi nove anni molti settori commerciali hanno subito variazioni, come le tabaccherie che gestiscono ora anche servizi amministrativi e finanziari (pagamenti bollette ecc.), oltre che vendere merci tradizionali. Crescono i negozi di telefonia, computer e infotainment, aumentano anche le farmacie che hanno incrementato i prodotti di bellezza e medicinali non soggetti a prescrizione medica. Ci sono però esercizi in discesa come i negozi di abbigliamento, calzature, libri, giocattoli, mobili e ferramenta. Questi escono ora dai centri storici e si trasformano nell’offerta in grandi superfici specializzate fuori delle città, grandi centri commerciali ultra periferici con gravi problemi per raggiungerli, specie per gli anziani.
Il declino del commercio ambulante
Secondo Confcommercio il declino del commercio ambulante è legato alla razionalizzazione dei posteggi proprio nei centri storici spesso per combattere l’abusivismo nel settore. Crescono invece alloggio e ristorazione ed è stato appurato che una città media che si rivolge solo al cittadino consumatore di passaggio non va verso un equilibrio stabile. Una cittadina senza negozi tradizionali diventerà meno gradevole e meno appetibile dai turisti. Con la pandemia questa connotazione si è accentuata ed è diventata grave. A crescere sono le strutture di alloggio tipo B&B o appartamenti per soggiorni brevi, mentre gli alberghi veri e propri sono fermi. Molte strutture dopo la pandemia sono chiuse e hanno perdite consistenti di meno 35%.
Lo street food
L’Istat ha evidenziato l’aumento delle friggitorie spesso tenute da stranieri, le take–away e quelle relative allo street food. Si è rilevata anche una diminuzione della qualità del cibo somministrato. Si acuisce dopo gli eventi pandemici la competizione tra le imprese di vendita destinata quindi a intensificarsi. La vendita di servizi on-line sta prosperando, ciò inevitabilmente porterà a una divisione che dovrà risultare soddisfacente per tutti.
Nonostante tutto il tessuto commerciale è ancora vitale
Carlo Sangalli presidente di Confcommercio, commentando l’analisi dell’ufficio studi ha precisato che: «pandemia e stagnazione hanno acuito la desertificazione delle nostre città e rischiano di ridurre la qualità della vita di turisti e residenti. Bisogna sostenere con maggior forza le imprese più colpite, specie quelle della filiera turistica e utilizzare, presto e bene, le risorse del Pnrr per migliorare il tessuto economico urbano, l’attività e la sicurezza delle nostre città».
Giancarlo Cocco
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