Sulla responsabilità del prendere delle decisioni

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prendere delle decisioni

Cosa hanno in comune le scelte della Corte Suprema americana e la nascita di un nuovo partito in Italia

Alcune riflessioni sulle questioni politiche che stanno accadendo in questi giorni. Questioni che sembrano distanti tra loro, che accadono in due Paesi che hanno sistemi di Governo molto diversi, ma che hanno alla base la stessa cosa: il prendere delle decisioni che riguardano la vita di tutti.

Due riguardano gli States, una la politica italiana

La Costituzione americana, da sempre, viene definita come un esempio per tutte le costituzioni. Nata nel 1787, entrata in vigore nel 1788, ha quindi più di 220 anni. L’ultimo emendamento è quello del 1974. È il 25° articolo e permette la sostituzione del presidente Usa nel caso non sia più in grado di esercitare i suoi poteri.

Ma oggi, sotto i riflettori, sono il secondo emendamento sul diritto a possedere armi e il sedicesimo, per quanto riguarda il diritto all’aborto.

Il secondo è un articolo che ha, appunto, più di duecento venti anni. Era un’America molto diversa. Città piccole, molte case isolate, un territorio pericoloso. Il cosiddetto selvaggio west. Soprattutto ad ovest, e non nelle gradi città della east cost. Tutti avevano quindi diritto di difendersi dai banditi e dai prepotenti.

Oggi esistono altri pericoli, soprattutto esistono le forze dell’ordine (e non sempre, se sei nero, questo è un vantaggio).prendere delle decisioni Sembrerebbe che la necessità di difendersi con un’arma non sia più così indispensabile. Inoltre prima le armi erano meccaniche. Sparavano un colpo alla volta. Ora sono automatiche, semiautomatiche, si ricaricano più velocemente e permettono anche di sparare più velocemente.

I giudici della Corte Suprema hanno però riconosciuto che una legge dello Stato di New York che limitava la possibilità di circolare armati sia anticostituzionale perché viola il secondo emendamento. Ed effettivamente è vero. Quello che manca è il buon senso. Soprattutto in quanto questo veniva pochi giorni dopo la strage in Texas dove sono morti più di dieci bambini per mano di un giovane armato. E mentre gli Usa si interrogano sulle limitazioni alla vendita di armi, i giudici danno un segnale: non si possono limitare.

In Italia i giudici della Corte di Cassazione, quando si sono trovati a sentenziare sul caso Cappato, hanno sottolineato come da noi manchi una legge sul fine vita, incoraggiando il Parlamento a legiferare in merito.

Negli Usa, si sono limitati ad applicare uno scritto del 1787 come se nulla fosse cambiato

Stesso ragionamento adottato sulla sentenza della stessa corte che ha annullato una sentenza di 50 anni fa che era alla base del diritto all’aborto. Il riferimento è al 14° emendamento che parla delle libertà degli individui: «Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge».

In pratica, si ritiene che il feto, fin dal suo concepimento, sia un cittadino degli Stati Uniti e quindi nessuno può limitare i suoi diritti.

Ovviamente nella Costituzione americana non si parla di aborto. Sarebbe anche interessante capire chi era considerato cittadino americano nel 1868, anno in cui è entrato in vigore questo emendamento. Di certo non i neri, non gli indiani, non le donne. Anche in questo caso i giudici sembrano tenere ferma una normativa che, in effetti, è applicabile, con il buon senso, a qualsiasi periodo. Ma tornano indietro nel tempo.

I giudici sono uomini. E come tali possono commettere errori e, soprattutto, possono portare avanti le loro idee. Ecco perché è importate una legislazione che definisca bene i confini di quello che è lecito e di quello che non è lecito. Ma se questo è chiaro quando si parla cose pratiche, diventa più difficile quando si parla di etica e di morale, dove prevalgono le convinzioni personali, la cultura, la formazione personali.

Di fronte a questi avvenimenti, mi viene da ripetere, con ancora più vigore, di invitare i giovani ad andare a votare.

Attraverso il voto si interviene sulle regole del gioco. Non voglio entrare nel merito se è lecito o non è lecito il diritto all’aborto, o se esista un diritto a possedere armi. Sicuramente oggi ha vinto chi ha votato per Trump nel 2016. Chi non vota, perde il diritto di voce. Certo chi si presenta alle elezioni deve essere credibile, affidabile. Molto spesso l’elettore scarica sull’eletto la responsabilità di quello che poi fa, dimenticando che l’ha votato lui, per poi rivotarlo, perché potrebbe trarne un vantaggio, o perché altrimenti vincono gli altri.

I magistrati non vogliono sentirsi responsabili degli effetti dei loro errori, ma, nemmeno i politici se ne rendono conto.

Lo dimostra bene la vicenda di Luigi Di Maio

Dal 2013, o forse anche prima, quindi da più di dieci anni, Di Maio ha sempre detto che l’uno vale uno. E fatto carriera senza mai assumersi una responsabilità, dandola sempre agli errori di chi l’ha preceduto. È stato l’alfiere del populismo.

E oggi fonda un partito dicendo che non è vero che uno vale uno. Bravo. Come direbbe Cassano, chapeau. E ora si vuole presentare come un riformista. E qualcuno gli dà pure credito. Partiti ed elettori. Tutto questo senza dire: scusate. Ho sbagliato. Credevo una cosa, ma non era vera.

Le azioni che DI Maio ha fatto da ministro del Lavoro, dello Sviluppo economico, da vicepresidente del Consiglio nel Governo Conte I, da ministro degli Esteri del Governo Conte 2 e nel Governo Draghi, tutte queste azioni hanno avuto degli effetti, dei costi, delle conseguenze. Pensiamo al Reddito di Cittadinanza, del caso Ilva, dei Navigator, per non parlare di quanto approvato dai Governi da lui sostenuti: Decreti Sicurezza, Quota 100. Queste cose sono accadute anche perché c’era lui. E potrei continuare.

Queste cose saranno presto dimenticate dall’elettore medio. Chi se lo ricorderà, non andrà a votare, lasciando che siano sempre i soliti a governare il Paese (non vi è, in nessun schieramento, una persona che non abbia fatto parte di un Governo negli ultimi 22 anni!).

 

Giacomo Zucchelli

Foto © Politico.com, Bbc, EuroTopics

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Giacomo Zucchelli
Giacomo Zucchelli, classe 1973, laureato in sociologia dell’organizzazione, del lavoro e dell’economia. Svolge la sua professione di formatore e consulente per le risorse umane in Toscana. Negli anni ha approfondito le tematiche della comunicazione relazionale, ha realizzato ricerca sociali legate alle relazioni tra gli individui con un’attenzione particolare alle ultime generazioni. Da sempre interessato alla politica e alla sua relazione con la vita reale

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