I retroscena tra Washington, Ankara e Atene porteranno a un ingresso scandinavo col rischio di ulteriori intoppi. Anche per merito di Orban
Dopo una «sessione di riscaldamento» durata più di un anno, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha finalmente dato il suo via libera all’adesione della Svezia nella Nato durante il vertice di Vilnius. L’assenso del leader turco non era affatto scontato, nonostante la mediazione del segretario generale Jens Stoltenberg e i compromessi fatti da Stoccolma. Il Paese scandinavo infatti ha dovuto aggiornare le sue leggi nazionali sul terrorismo per venire incontro alle richieste turche e poche settimane fa è arrivata anche la prima estradizione in Turchia di un uomo curdo vicino al Partito dei lavoratori curdo, il Pkk.
Alla fine però un compromesso è stato raggiunto, anche se Erdoğan ha saputo sorprendere ancora una volta i suoi alleati riportando al centro del dibattito l’adesione all’Unione europea. Una richiesta in discussione dal 1999 e alquanto impossibile da soddisfare nell’immediato, come sa bene lo stesso presidente.
Un altro intoppo
Perché la Svezia entri effettivamente nella Nato manca però l’approvazione dell’Ungheria, l’altro Paese che insieme alla Turchia si è finora opposto. Prima del voto di martedì in Turchia il primo ministro ungherese Viktor Orban ha detto di aver invitato il primo ministro svedese Ulf Hjalmar Kristersson in Ungheria per «negoziare» l’adesione della Svezia, alludendo alla possibilità di richieste di concessioni in cambio del proprio sostegno.
Il sostegno di Erdoğan all’entrata della Svezia nella Nato d’altronde non è stato certo disinteressato. Il capo di Stato turco ha ottenuto diverse concessioni da Stoccolma e la stessa Alleanza atlantica si è impegnata a creare un organismo di coordinamento per la lotta al terrorismo, un progetto che ha trovato il sostegno anche dell’Italia.
Ma ciò a cui Erdoğan puntava davvero erano gli F–16 americani. il Congresso statunitense aveva bloccato la vendita dei nuovi jet e la fornitura di kit di ammodernamento per quelli già in dotazione all’aviazione turca a causa delle ripetute minacce mosse dalla Turchia alla Grecia, a cui non solo sono stati forniti gli F-16 ma anche promessi gli F–35.
Adesso però il Congresso sembra aver cambiato idea, grazie anche alle pressioni del presidente Joe Biden e alla momentanea stabilità nelle relazioni tra Atene e Ankara.
I retroscena tra Grecia Usa e Turchia
Per molto tempo, l’ex presidente della Commissione per le Relazioni Estere del Senato, Robert Menendez, ha interrotto tutti i rapporti impropri con Erdoğan. Il senatore filelleno ha anche posto delle condizioni per consentire questa vendita, che riguardava anche le minacce turche contro la Grecia, in particolare i sorvoli sulle isole greche. Quando Menendez è stato costretto a lasciare l’incarico dopo la “cospirazione democratica” contro di lui, la Casa Bianca ha aperto la strada alla Turchia, collegando la vendita a un altro acquisto di materiale militare statunitense: i caccia F-35 in Grecia. Questa connessione è un’azione inaccettabile e anti-alleata che ha irritato Atene. A Chania, il primo ministro ha chiesto a Blinken di sbloccare gli F-35, cosa che ha promesso, anche se quando se n’è andato, i diplomatici americani hanno cambiato la loro narrativa. La promessa, tuttavia, non è stata ancora mantenuta.
Notiamo che la Svezia ha chiesto di aderire alla Nato subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina. A partire da maggio 2022, la richiesta rimane congelata sotto la responsabilità della Turchia principalmente e del “suo satellite” all’interno dell’Unione europea, l’Ungheria. Per tutto questo tempo la Turchia ha portato gli americani e il resto dei suoi partner occidentali a … rubinetto, ma non permette loro di bere acqua per dissetarsi, ha riassunto la situazione con la richiesta svedese, un diplomatico a Washington. La Turchia ha prima chiesto concessioni alla Svezia, e poi ha chiesto apertamente alla Casa Bianca, dicendo che avrebbe permesso l’adesione della Svezia solo se il Governo Usa avesse proceduto con la vendita degli F-16 ad Ankara.
Aerei e aerei
Mitsotakis aveva chiesto che la vendita degli F-35 fosse annunciata prima della sua visita a New York – che alla fine non avrà luogo – o al più tardi prima dell’inizio del dialogo strategico tra Grecia e Usa l’8 febbraio a Washington. Durante la telefonata il segretario di Stato americano avrebbe detto al primo ministro greco che dopo l’approvazione della Svezia da parte dell’Assemblea nazionale turca, la vendita di F-35 alla Grecia avrebbe proceduto. Naturalmente, si prevede che la richiesta turca per gli F-16 sarà inviata contemporaneamente. Le stesse fonti affermano che anche se l’Assemblea nazionale turca voterà oggi, Tayyip Erdoğan non firmerà la risoluzione fino a quando non sarà sicuro che la vendita degli F-16 sarà approvata. Quindi la richiesta turca si estende al Congresso Usa.
Senza Menendez sotto i riflettori, cosa accadrà? I legislatori statunitensi accetteranno le richieste turche? Oppure seguiranno la “linea” del senatore filelleno e chiederanno che le condizioni siano soddisfatte. Blinken ha promesso – per addolcire la pillola per la Grecia – che invierà una lettera al Congresso presumibilmente informando che se la Turchia riprenderà le provocazioni nell’Egeo, il programma di vendita degli F–16 sarà sospeso. Ha promesso di inviare una lettera simile al signor Mitsotakis. La dichiarazione del Dipartimento di Stato sulla conversazione di ieri recita come segue:
Il segretario di Stato (americano, Antony Blinken) e il primo ministro (greco, Kyriakos Mitsotakis) hanno sottolineato la profonda e duratura relazione bilaterale tra Usa e Grecia, i loro valori condivisi come alleati della Nato e la significativa cooperazione ellenica nell’affrontare un’ampia gamma di questioni. Il ministro e il primo ministro hanno anche parlato dell’importanza di proteggere i diritti di passaggio e le libertà marittime nel Mar Rosso e della partecipazione della Grecia all’operazione Prosperity Guardian.
Non è finita
Notiamo che anche se l’adesione della Svezia alla Nato fosse ratificata oggi dalla Turchia, questo Paese rimarrebbe un “ostaggio” dell’Ungheria in quanto la sua approvazione da parte del Parlamento ungherese non è immediatamente prevista. Come sapete, la commissione per gli Affari esteri del Parlamento turco ha approvato l’adesione della Svezia il 26 dicembre scorso. Primo passo del processo di ratifica, ritardato per più di 20 mesi. Dopo l’approvazione parlamentare, la risoluzione dovrà essere firmata dal presidente islamista Tayyip Erdoğan.
Eccoci qui e ci rivedremo. Se non otterrà l’approvazione del Congresso, Ankara non permetterà alla Svezia di aderire alla Nato.
Nuove richieste della Turchia
La Turchia però ha già avanzato nuove richieste, in particolare la ripresa dei colloqui per l’ingresso nell’Unione europea. Il processo è iniziato ufficialmente nel 1999, ma dal 2018 è in una «fase di stallo», come decretato dalla stessa Unione in un documento ufficiale sullo stato delle relazioni con la Turchia.
La Svezia si è impegnata a sostenere attivamente la richiesta di Ankara ma la reazione di Bruxelles non è stata molto entusiasta, anche se il presidente del Consiglio Charles Michel ha promesso che nel giro di poche settimane sarà presentata un nuovo documento sullo stato delle relazioni Ue-Ankara.
Aspettarsi una ripresa seria delle trattative sull’adesione però è impossibile. La Turchia non ha ancora raggiunto un accordo con la Grecia sulla divisione di Cipro e ha messo in dubbio la sovranità di Atene su alcune isole, oltre ad aver minacciato gli interessi di diversi Paesi membri che si affacciano sul Mediterraneo.
Vi è poi un problema di rispetto dei diritti e di democrazia: nelle carceri turche ci sono centinaia di prigionieri politici, i media e la magistratura sono controllati dal presidente e le libertà dei cittadini e in particolare delle minoranze sono sempre più ristrette. Senza contare lo stato disastroso in cui versa l’economia del Paese.
Erdoğan d’altronde sa bene che entrare nell’Unione non è un’opzione possibile e forse non è nemmeno davvero interessato. Per il presidente ciò che importa è riprendere il dialogo con Bruxelles sulla gestione dei migranti e sulla liberalizzazione dei visti.
George Labrinopoulos
Foto © Atlantic Council, Inss, France 24