Rosa e Ghoncheh: il potere rivoluzionario di un gesto

0
347

Una giovane attivista iraniana è in carcere per aver disobbedito alla legge coranica: voleva assistere a un match di pallavolo maschile, proibito alle donne

Era particolarmente stanca Rosa, la sera del 1° dicembre 1955. Aveva trascorso ore e ore in piedi a cucire abiti nella sartoria dove lavorava, a Montgomery, nel cuore dell’Alabama razzista e segregazionista, e, una volta salita sul bus che l’avrebbe portata a casa, scorse con disappunto che il settore riservato ai passeggeri di colore, come lei, era tutto occupato. Le gambe le facevano male, e così andò a sedersi nel settore “misto” della vettura, dove però vigeva un assurdo diritto di precedenza a favore dei passeggeri bianchi. Rosa era ben consapevole di questa assurdità, come era altrettanto consapevole di essere una cittadina americana, a cui avrebbero dovuto spettare non più e non meno diritti dei bianchi, sebbene le leggi razziste dello Stato in cui viveva dicevano il contrario. Così, quando il controllore le intimò di alzarsi e cedere il posto a un passeggero bianco salito qualche fermata dopo, non ci pensò due volte a rifiutare: perchè doveva viaggiare in piedi quando aveva pagato il biglietto come quell’uomo ed era salita prima di lui? Così rimase lì seduta, fin quando due solerti poliziotti non la prelevarono di forza e la arrestarono per aver violato la legge.

Rosa Louise Parks non poteva immaginare che quel suo gesto pacifico ma deciso avrebbe avuto un impatto devastante nella storia degli Usa. Lo sdegno unanime suscitato da quella vicenda contribuì non poco a risvegliare le coscienze dell’ala più liberal della società americana, ma soprattutto a rafforzare il movimento antisegregazionista, le cui redini proprio in quel periodo erano state prese in mano da un semisconosciuto Martin Luther King. Con una sorta di effetto-domino, sotto la spinta di manifestazioni pacifiche e di boicottaggi non violenti, l’America nel giro di pochi anni estirpò dal suo corpo la macchia della segregazione razziale, e questo avvenne principalmente grazie al coraggio di quella esile sartina di Montgomery.

Quasi sessant’anni dopo, lo spirito di Rosa sembra essersi reincarnato nel corpo di una giovane attivista, Ghoncheh Ghavami, che ha voluto sfidare un altro segregazionismo, stavolta di genere sessuale, che in Iran nega alle donne numerosi diritti, incluso quello di poter assistere a manifestazioni sportive maschili. Proprio per rivendicare la parità di genere, Ghoncheh lo scorso 20 giugno ha organizzato una protesta dinanzi allo stadio Azadi di Teheran, chiedendo di poter assistere all’incontro di volley maschile Iran-Italia in programma quel giorno: richiesta alla quale il regime degli ayatollah ha risposto con le manette.

Ghoncheh Ghavami, che il 1°ottobre ha iniziato per protesta lo sciopero della fame, è stata condannata poche settimane fa a un anno di carcere, con la pena accessoria dell’isolamento, che dovrà scontare nel sovraffollato penitenziario di Qarchak, a sudovest di Teheran. Quella che sembra la solita, tragica storia di diritti negati da un regime dittatoriale, in realtà si sta trasformando in una spina nel fianco per l’Iran. Tutto è partito dall’Italia, la cui nazionale era impegnata nella gara all’Azadi mentre Ghoncheh veniva arrestata: dalla domenica successiva alla sua condanna, molte squadre italiane di volley scendono sul parquet indossando magliette con il suo volto e con striscioni per la sua liberazione. Da Ravenna a Monza, da Macerata a Mantova, da Brindisi a Corigliano Calabro, da Trani a Comiso e in altre città italiane sono tanti i pallavolisti e le pallavoliste che si sono resi protagonisti di flash-mob all’interno dei vari Palasport, in nome di Ghonceh.

E dopo l’Italia la protesta si è allargata alla Grecia con le atlete del Panatinaikos, AC Markopoulo e Astera, e poi alla Bulgaria con quelle del Maritsa Plovdiv fino anche alla FIVB, la Federazione Internazionale Volley, che è scesa in campo per la ragazza chiedendo alle autorità iraniane la sua immediata scarcerazione. L’ondata di solidarietà per Ghoncheh è tutta documentata dalla pagina Facebook “Free Ghoncheh Ghavami”, dove le foto inviate dalle varie squadre vengono pubblicate, che in questo modo sta permettendo alla vicenda di acquisire, giorno dopo giorno, una visibilità del tutto inimmaginabile fino a pochi mesi fa.

Tanto che ora la teocrazia iraniana pare essere preoccupata del fatto che l’arresto della giovane abbia scatenato un’inattesa catena globale di solidarietà: Mohammed Reza Davarzani, capo della Federazione pallavolistica dell’Iran ha rilasciato ieri un violento quanto surreale comunicato dal quale trapela un certo nervosismo nelle stanze del Potere a Teheran, in cui si parla del solito complotto delle lobby sioniste volto a danneggiare la Repubblica Islamica attraverso questo uso strumentale della pallavolo: «Usano i diritti umani per colpirci».

Ghoncheh per ora resta in carcere, ma non è sola. A combattere con lei sono in tanti ormai. E in attesa che il suo gesto coraggioso venga colto da un Martin Luther King iraniano, la sua battaglia la sta comunque vincendo.

Alessandro Ronga

Foto © Facebook.com/FreeGhoncheh 2014

Articolo precedenteAudiovisivo: forza artistica ed economica, una scommessa tutta europea
Articolo successivoRosetta: un successo tutto europeo
Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui