L’ambiguo Lukashenko tra Russia e Unione europea

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Il leader bielorusso vince le elezioni presidenziali e ottiene anche la sospensione delle sanzioni da Bruxelles. Ma intanto non disdegna i vecchi rapporti con Mosca

La scontatissima vittoria elettorale di Alexander Lukashenko alle elezioni dell’11 ottobre scorso ha trovato poco spazio sui media occidentali: l’affermazione del presidente bielorusso del resto era certa e così, l’assenza di una forza di opposizione degna di questo nome e il plebiscitario successo del Batka (il “piccolo padre”, come si fa chiamare) ha derubricato la consultazione elettorale a un deja-vu. Si tratta di una valutazione sbagliata, perché, nonostante l’uomo al comando resti sempre lo stesso, i prossimi cinque anni saranno per la Bielorussia probabilmente molto diversi da quelli appena trascorsi. La contestata elezione del 2010 aveva scavato intorno a Lukashenko un solco. La dura repressione delle susseguenti manifestazioni di protesta dell’opposizione gli erano costate un poco gratificante epiteto di “ultimo dittatore d’Europa” dall’Occidente e soprattutto sanzioni economiche da parte dall’Ue, che la tremenda crisi economica della primavera 2011 aveva di fatto acuito spingendo Minsk sotto l’interessata ala protettrice di Mosca.

Ma quando il regime bielorusso ormai sembrava prossimo al collasso, ecco arrivare l’inattesa resurrezione: nell’agosto 2014 il leader bielorusso riceve l’endorsement di paciere dall’allora commissario europeo agli Affari Esteri Katherine Ashton (nella foto in apertura), e si prende la soddisfazione di mediare tra Russia e Ucraina per la crisi del Donbass nello storico vertice di Minsk. Da allora i rapporti con Bruxelles sono nettamente cambiati, e il fatto stesso che l’Occidente – diversamente da quanto avvenuto nel 2010 – stavolta non abbia sostenuto apertamente alcun movimento d’opposizione nella corsa presidenziale denota che sull’asse Bruxelles-Minsk si respira un’aria nuova. Della quale forse Mosca dovrebbe cominciare a preoccuparsi.

Se il post-elezioni 2010 si caratterizzò infatti per un irrigidimento dell’Ue verso la Bielorussia, ora sta accadendo l’opposto: Bruxelles non solo non ha cavalcato le denunce di brogli arrivate dagli avversari di Lukashenko, ma ha addirittura sospeso per i prossimi quattro mesi le sanzioni contro Minsk, inclusa quella che impediva ad alcuni funzionari di governo, tra cui lo stesso presidente, di recarsi in Europa in quanto “persona non grata”. Una decisione presa già la scorsa estate, quando Lukashenko aveva liberato un gruppo di oppositori, ma formalizzata solo ora, a conferma di come quella luna di miele iniziata prima del vertice di Minsk del 2014 stia continuando, tanto che il leader bielorusso ora potrebbe anche prendere le distanze da Mosca.

La scorsa settimana, Batka ha dichiarato che il suo Paese non avrebbe ospitato una base militare russa, nonostante i governi russo e bielorusso ne stessero discutendo la costruzione da un anno e che Vladimir Putin avesse già ordinato ai suoi diplomatici di giungere a un accordo entro settembre. «La persona che dovrebbe prendere questa decisione, cioè il sottoscritto, non sa nulla di questa vicenda», ha dichiarato Lukashenko all’agenzia di stampa nazionale Belta. «Forse a Mosca sono preoccupati del fatto che ci stiamo avvicinando all’Occidente, e sollevano questa questione in modo che in Occidente comincino a chiedersi se vogliamo veramente normalizzare le relazioni con loro». Le parole del presidente bielorusso hanno avuto un tempismo quasi perfetto, giungendo poche ore dopo una manifestazione di protesta a Minsk contro la base, a cui hanno partecipato centinaia di persone.

Questa presa di distanze da Mosca è stata solo l’ultima di una serie di mosse simili da parte di Lukashenko: la penultima era stata a maggio, quando aveva rifiutato l’invito russo a prender parte alle celebrazioni a Mosca per il 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, ponendosi sulla stessa linea della maggior parte dei leader occidentali. Nonostante ciò, un rovesciamento delle alleanze da parte di Minsk è alquanto improbabile: al di là di questo apparente feeling verso l’Ue c’è solo una tattica per ottenere aiuti finanziari ed energetici da Mosca, più volte giunta in soccorso del piccolo vicino quando era sul punto di affondare, l’ultima volta nel 2011, all’indomani della cruenta svalutazione del rublo bielorusso. Lukashenko non è uno stupido, ma Putin neppure: sembrano due amici che non vedono l’ora di sfidarsi a poker con il reciproco intento di fregarsi vicendevolmente. Lukashenko sa benissimo che principale partner strategico della Bielorussia è, e rimarrà la Russia, come pure sa bene che i russi – dopo la vicenda ucraina – sono disposti a tutto pur di tenere in piedi quello “Stato cuscinetto” per evitare che l’Occidente si avvicini alle porte del Cremlino. Quello che forse non ha ben calcolato è fino a che punto Putin potrà assecondarlo in questo pericoloso gioco al rialzo.

 Alessandro Ronga (twitter @alexronga)

Foto: Wikicommons

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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