Giampiero Rappa mette in scena all’Argot orgoglio, conflitto, perdono

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Nessun luogo è lontano: Giampiero Rappa

Il regista “sfiora” il problema scottante dell’Europa: l’immigrazione. A breve le repliche di Albania casa mia, monologo di Aleksandros Memetaj

Nessun luogo è mai abbastanza lontano per fuggire da tutto e tutti, perché prima o poi il passato torna a galla e bisogna farci i conti. Così il rifugio montanaro dello scrittore Mario Capaldini, impervio e quasi inaccessibile, lo preserva per circa tre anni dal mondo esterno. Ma un’intervista concessa eccezionalmente innesca un profondo e sconvolgente processo di introspezione sulla vita di Capaldini (e non solo). Nessun luogo è lontano è il titolo dello spettacolo scritto, diretto e interpretato da Giampiero Rappa, drammaturgo genovese classe 1973 ma a Roma dal 1997 e al debutto come attore sul palco del teatro Argot di Roma, Trastevere.

Andiamo con ordine. L’isolamento di Mario Capaldini (Giampiero Rappa) è interrotto dall’arrivo di una giornalista, per un’intervista in realtà richiesta dallo stesso scrittore per annunciare il suo ritiro. Che di fatto già c’era stato, con l’allontanamento da tutto da quando, tre anni prima, rifiutò un premio letterario nel corso della cerimonia finale, in segno di protesta contro il sistema importo dalle case editrici. Il video dello “scandalo”, divenuto virale sul web, gli era praticamente costato la rottura con il mondo professionale prima e con la famiglia poi. Caso vuole che la giornalista, Anna Vulli (Valentina Cenni), sia una reporter di guerra e non l’inviata del settore cultura, impossibilitata perché ormai all’ottavo mese di gravidanza. Una professionista abituata ad indagare non si limita alle solite domandine che le erano state preparate, vuole andare oltre, capire la vera essenza di Capaldini: misantropo vero come un nuovo J.D. Salinger, l’autore de Il giovane Holden, o astuto organizzatore di un bluff per far capire al mondo che ancora esiste per poi tornare in attività e suscitare grande interesse?

Nessun luogo è lontano: Giampiero Rappa Quando il muro costruito da Capaldini ha le prime crepe, ecco arrivare il problematico nipote Ronny (Giuseppe Tantillo), aspirante scrittore ventenne carente nel creare l’attesa del finale, dipendente da droghe e sotto analisi per il controllo della rabbia nonostante appaia divertente e quasi spensierato. Ronny è il figlio della sorella psichiatra di Mario – che conduce una trasmissione radiofonica ascoltata dallo stesso Capaldini – e il suo comportamento è bizzarro. Come mai spunta dopo così tanto tempo e fa di tutto per rimanere dallo zio? Sembra nascondere qualcosa, ma il legame fra i due è un altro fattore che mette a dura prova l’orgoglio di Capaldini, testardo nel continuare la vita solitaria sforzandosi di far credere agli altri che va tutto bene. Il turbinio di eventi a cui sono esposti in così breve tempo i tre personaggi è un’analisi dei singoli e forse più in generale di emozioni e sentimenti che contraddistinguono i rapporti umani, positivi o negativi che siano, così come la necessità di affrontare i propri mostri.

Nessun luogo è lontano: Giampiero Rappa Ottima la prova del cast, esaltata dalle musiche cariche di tensione e valorizzata dalla scenografia, la stanza teatro dell’intera vicenda richiama un «ring precario», per usare le parole di Giampiero Rappa, «dove non si può mai stare comodi», fatta eccezione per il camino, «unico luogo caldo davanti al quale sentirsi protetti e dove poter intrecciare legami affettivi. Davanti al fuoco ci si scalda e ci si confessa. Il fuoco riflette l’ombra e la luce della propria anima». E il pubblico apprezza, compresi gli studenti della scuola di recitazione Fondamenta, ospiti della serata, che hanno tributato anche una standing ovation al termine della rappresentazione.

Nessun luogo è lontano: Giampiero Rappa «Nessun luogo è lontano è un testo nato dopo anni di lavoro, di condivisione con altre persone, di continui aggiustamenti», spiega Rappa. «Grazie al produttore Massimo Panici questo spettacolo ha potuto prendere vita. La squadra tecnica e artistica da lui fornita e il cast attoriale supportato dall’assistente alla regia Alberto Basaluzzo hanno permesso una bella coesione in questo lavoro che potrei definire di gruppo, nel senso che questo spettacolo in qualche modo è di tutti».

A breve Rappa tornerà alla regia dello spettacolo Albania casa mia, prossimamente in replica dopo il successo dello scorso dicembre. Scritto e interpretato da Aleksandros Memetaj, attore quasi venticinquenne nato a Valona ma in Italia dalla tenerissima età di sei mesi, il monologo prende spunto dalla caduta del comunismo e del regime albanese, già in difficoltà dopo la morte di Enver Hoxha nel 1985, per congiungersi con l’autobiografia del piccolo Aleksandros, arrivato sul peschereccio Mirdita (buongiorno in albanese), meno noto ma non meno importante della nave Vlora, il cui sbarco a Bari aprì le porte delle migrazioni di massa degli albanesi.

Albania casa miaCresciuto in Veneto, Memetaj non sentirà senso di appartenenza nella sua nuova terra, rimanendo vittima di razzismo e pregiudizio, in un’integrazione che stenta a decollare. Al contrario gli restano un forte patriottismo e amore per il Paese di origine, sentimenti che invece spesso si sono persi in Italia. Ma c’è da aggiungere l’intreccio con la storia di Alexander, arrivato in Italia sulla stessa nave ma da trentenne e divenuto figura paterna per Aleksandros. Entrambi provano sensazioni contrastanti verso Italia e Albania, in qualche modo per loro è come se tutte e due le Nazioni avessero tradito le loro speranze.

Il tutto è rafforzato dalla performance di Memetaj, che senza supporti musicali o scenografici – escludendo un tappetino nero con disegnata la sagoma dell’Albania – regge il palco da solo per circa un’ora ripercorrendo la sua vita e gli stati mentali attraversati, ora salendo ora scendendo di tono. Con il buio che lo immerge, a simboleggiare la solitudine del protagonista – stavolta non cercata, a differenza di Mario Capaldini.

Raisa Ambros

Foto © Manuela Giusto

 

 

 

 

 

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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