L’anno che verrà: dove colpirà l’onda lunga dei partiti anti-Ue

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Marine Le Pen

Forti della Brexit e della vittoria di Donald Trump, gli schieramenti anti-Sistema si preparano ad un anno di sfide elettorali. Che però potrebbero essere vinte solo a metà

«L’anno che sta arrivando tra un anno passerà», cantava Lucio Dalla in uno dei suoi maggiori successi, e l’Ue sta già cominciando a scorrere il calendario perché i prossimi 365 giorni passino alla svelta. L’anno elettorale che comincerà domenica prossima sarà forse quello piú difficile dalla stipula dei Trattati di Roma: cinque importanti appuntamenti che partono dalle elezioni presidenziali in Austria del 4 dicembre, proseguono con quelle politiche nei Paesi Bassi a marzo, con le presidenziali e le legislative francesi in tarda primavera, e arrivano fino al rinnovo del Bundestag tedesco in autunno, senza considerare che anche l’Italia potrebbe essere chiamata alle urne con un anno di anticipo se l’esito del referendum costituzionale dovesse portare alla caduta del governo Renzi.

Milioni di cittadini europei saranno chiamati a decidere del futuro di alcuni dei principali membri Ue, e per questo da qui a dodici mesi l’Unione europea potrebbe avere un volto diverso da quello di oggi. Mesi cruciali, che arrivano al termine di un 2016 che ha rifilato all’Europa comunitaria un sonoro ceffone con le fattezze della Brexit, un evento del tutto inatteso che, oltre ad aver messo a nudo le debolezze dell’Ue (evidenti, ma troppo spesso negate dai piú), ha dato fiato alle trombe dei numerosi partiti euroscettici, che ora, cavalcando in modo improprio anche la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, intendono lanciare sul Vecchio Continente una offensiva elettorale che puó dare il colpo da ko ad una Ue barcollante. Ma davvero l’onda lunga anti-Sistema si schianterà come uno tsunami sull’Europa? A questo punto é necessario fare degli opportuni distinguo.

Austria_euroscepticismAl momento, in termini di vicinanza temporale (ma non solo), la vittoria piú probabile sembra essere quella della Fpö in Austria. Il nazionalista Norbert Hofer, dato per favorito dai sondaggi, potrebbe essere il nuovo inquilino del Palazzo Hofburg a Vienna, realizzando il sogno di quel Jörg Haider che a fine secolo scorso era riuscito a portare un partito minoritario al governo utilizzando slogan anti-immigrazione islamica e anti-Ue: gli stessi che oggi vanno per la maggiore, ma che allora apparivano come una novitá assoluta nel panorama politico europeo. L’ Austria torna alle urne cinque mesi dopo l’annullamento del ballottaggio delle presidenziali dello scorso maggio, che vide il candidato del Fpö uscire sconfitto, per una manciata di voti, dal candidato ecologista Alexander Van der Bellen: tuttavia, proprio l’esigua distanza tra i due e la presenza di irregolarità in numerosi seggi portò nel mese di luglio la Corte Suprema austriaca a dichiarare nullo il secondo turno della consultazione. Ma gli eventi degli ultimi mesi (dalla Brexit alla questione-migranti) sembrano ora giocare a favore di Hofer, che ha spesso parlato di una Oexit, in caso di vittoria (ma altre volte è parso più prudente) e cavalca la ancor più crescente islamofobia nell’elettorato austriaco.

Altro possibile exploit è quello di Marine Le Pen, candidata per il Front National alle elezioni presidenziali francesi, che diranno se la lunga traversata nel deserto dell’ultradestra transalpina è giunta finalmente al termine: la bionda Marine ha compiuto una decisa opera di restyling del partito, epurandolo degli elementi più imbarazzanti e “fascisteggianti” (a cominciare da suo padre Jean Marie, fondatore del FN) e imponendo anche una svolta dal punto di vista della politica economica, che pur restando ancorata a destra nei valori, assume fattezze simil-socialiste nel campo del lavoro, tanto da portare nel 2011 l’edizione francese dell’Huffington Post a chiedersi (provocatoriamente, ma non tanto) se il Fronte Nazionale non fosse diventato di sinistra.

Front National (Foto G. Bouchet)E proprio per questo suo volto alternativo alla droite “liberista” rappresentata dai gollisti e alla gauche “libertaria” dei socialisti e dei comunisti, il Front National può far man bassa di consensi nei ceti medio-bassi dell’elettorato: gli ultimi sondaggi indicano che le intenzioni di voto per la Le Pen arrivano per l’85% da operai e impiegati, che scelgono il FN non più per protesta contro l’esecutivo ma perché ne condividono le politiche antieuro e la ritengono una forza di governo affidabile in termini di sicurezza, lavoro e tutela dell’interesse nazionale contro le decisioni prese in ambito Ue. A tal riguardo si è rivelata vincente la mossa della Le Pen di costituire un governo-ombra proprio per dare ai francesi l’immagine di un partito con una linea politica ben definita, portata avanti da ministri-ombra che così hanno già voluto dimostrare la capacità di prendere decisioni in vista di una difficile, ma non impossibile vittoria alle successive elezioni politiche.

Ma l’onda lunga della nuova destra nazionalista e antieuropea si fermerà qui, perché è molto improbabile che alle elezioni politiche olandesi il Partij voor de Vrijheid (PVV) riuscirà a vincere, e la stessa cosa dicasi per Alternative fur Deutschland in Germania: entrambi i partiti saranno in grado sì di raccogliere consensi, forse anche di aumentarli, ma si tratterà solo di voto di protesta contro i rispettivi governi e contro l’Ue. Sia Geert Wilders che Frauke Petry devono ancora studiare, e parecchio, per presentarsi come leader di partiti in grado di guidare i Paesi Bassi e la Germania.

E se nel 2017 si dovesse votare anche in Italia, l’onda populista e anti-Ue colpirebbe anche le amate sponde? Difficile ipotizzare una vittoria di un ricostituito PdL a guida-Salvini, la cosa invece potrebbe essere probabile con il Movimento 5 Stelle, che già nel 2013, con lo tsunami tour, evocava un’onda anomala che si sarebbe abbattuta sul sistema politico italiano. Ma rispetto ai casi che abbiamo appena visto, i grillini sono una sorta di ibrido: nel senso che potrebbero vincere le elezioni come Marine Le Pen, ma arriverebbero a Palazzo Chigi ancora con l’abito degli anti-Sistema come Wilders e Petry. E con un Paese che fatica a uscire dalle paludi della recessione economica, di tempo per un corso accelerato di capacità di governo potrebbe non essercene tanto.

Alessandro Ronga
© Foto: Wikicommons, G. Bouchet

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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