Schiaffo alla May su Brexit, Lord approvano diritto veto

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Passa emendamento, governo sconfitto. Ma ultima parola spetterà ai Comuni il prossimo 13 marzo. Si temono inflazione in rialzo e nuova discesa della sterlina

Novità dell’ultimo minuto per la tanto agognata (dai sudditi di Sua Maestà) Brexit: arriva dalla Camera dei Lord – l’assemblea dei saggi o, se volete, dei privilegiati – l’estremo tentativo di mettere un freno al cammino del governo di Theresa May verso il divorzio della Gran Bretagna dall’Unione europea prima dell’avvio dell’iter di uscita.

Niente referendum bis, anche i pari del Regno Unito hanno abbandonato l’idea, e quindi nessuna rivincita dopo quello del 23 giugno scorso. Ma via libera a un emendamento, approvato stasera in barba alla contrarietà dell’esecutivo, che chiede un nuovo voto vincolante delle Camere sul risultato dei negoziati con Bruxelles: di fatto un potere di veto in grado di rispedire a fine corsa la premier al tavolo delle trattative laddove l’accordo di recesso non fosse gradito ai parlamentari.

Lo schiaffone è stato assestato a maggioranza dai banchi rossi della Camera Alta di Westminster, con 366 voti contro 268, a conclusione del dibattito sulla legge destinata a consentire alla May di attivare l’ormai famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona innescando così il percorso formale di divorzio, entro due anni, dall’Unione europea. Ed è il secondo, dopo che la settimana scorsa i lord avevano accolto un primo emendamento per cercare di strappare a Downing Street un impegno preventivo a garantire i diritti dei 3,3 milioni di cittadini dell’Europa comunitaria già residenti nel Regno – fra cui centinaia di migliaia di italiani – senza aspettare di imporre quel “principio di reciprocita'” che la primo ministro considera imprescindibile per gli espatriati britannici.

Ma la partita in effetti non si chiude qui. Entrambi gli emendamenti devono tornare ora alla Camera dei Comuni, a cui spetterà l’ultima parola in quanto unico consesso elettivo. Ed è che il governo confida di poter rovesciare i giochi, in un solo giorno, il 13 marzo, blindando la sua maggioranza a dispetto di qualche mal di pancia e ritornando allo scarno testo originario della legge: un testo che lascerebbe alla May e ai suoi ministri – soprattutto gli euroscettici David Davis, Boris Johnson e Liam Fox – una gestione a mani libere dell’operazione di svincolo dai Ventotto (o, meglio, dai restanti Ventisette).

Salvo ripensamenti, la premier insiste d’altronde sulla volontà di rispettare la propria tabella di marcia e di mettere in moto la macchina prima della fine di marzo. L’obiettivo dichiarato resta quello d’una Brexit senza se e senza ma, addolcita giusto dalle visite che il principe Carlo si accinge a fare con Camilla in vari Paesi (Italia compresa), e il principe William con Kate in altri, per assicurare che il Regno Unito – secondo la vulgata corrente – «lascerà l’Ue, non l’Europa». Ma suggellato comunque da un’intesa che nelle intenzioni della May dovrebbe tornare all’esame di deputati e lord solo nei termini d’un prendere o lasciare: cioè con l’unica alternativa di uscire senza accordi di sorta.

L’idea di un tempo supplementare, secondo le argomentazioni che 366 pari si sono rifiutati di accettare, non avrebbe invece altra conseguenza se non quella di indurre «la controparte a offrire una cattiva Brexit»: nell’attesa di ritrovarsi al tavolo un governo britannico indebolito. Una strategia che profuma di tattica. E che non cancella i timori di chi già scorge le prima avvisaglie dei contraccolpi di un taglio netto carico d’incertezze che comincia a pesare sulla sterlina o a farsi sentire sul mercato immobiliare (in frenata, pare) e sull’inflazione (in ascesa). Timori a cui si contrappone la scommessa della Brexit come “opportunità”. O perfino delle “opportunità di una hard Brexit”, appena evocate da Carlos Tavares, numero 1 di Peugeot, pronto a impegnarsi fin d’ora a investire in Gran Bretagna dopo l’acquisizione di Opel-Vauxhall da parte del gruppo automobilistico francese.

 

Angie Hughes

Foto © The Telegraph, BBC

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Angie Hughes
Scrivere in italiano per me è una prova e una conquista, dopo aver studiato tanti anni la lingua di Dante. Proverò ad ammorbidire il punto di vista della City nei confronti dell'Europa e delle Istituzioni comunitarie, magari proprio sugli argomenti più prossimi al mio mondo, quello delle banche.

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