La Serbia si trova a un bivio tra l’Europa e la Russia

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Alla vigilia del Vertice di Trieste sui Balcani la neo-premier Brnabić si smarca da Mosca: «Se fossimo obbligati a scegliere, sceglieremmo l’Unione europea»

L’aquila a due teste che campeggia sul tricolore panslavo ben rappresenta il sentimento di una Serbia che guarda contemporaneamente a Occidente e a Oriente, o per meglio dire a Bruxelles e a Mosca: è il sentimento della Serbia di Ana Brnanbić, da fine giugno nuovo primo ministro al posto di Aleksandar Vučić, eletto la scorsa primavera presidente della Repubblica. È stato proprio l’ex premier a conferire l’incarico alla 42enne già ministro della Pubblica Amministrazione, che rappresenta di per sè una doppia novità nel panorama politico nazionale: la Brnabić è la prima donna a guidare un governo in Serbia, ed è la prima esponente della comunità omosessuale a presiedere un esecutivo nei Balcani.

Ana BrnabicLa laurea in Inghilterra e il curriculum vitae ricco di esperienze in agenzie internazionali per lo sviluppo (e in particolare nella USAID) indicano Ana Brnabić come la persona più adatta a traghettare Belgrado da una posizione oggi alquanto isolata nel contesto continentale ad una di maggiore integrazione con l’Unione europea, nella quale punta a far entrare il Paese entro il 2020. «L’Ue il posto è dove stiamo andando, è chiaro – ha dichiarato alla Bloomberg la scorsa settimana, in vista del Vertice Ue sui Balcani di Trieste -. Tuttavia i nostri rapporti con la Russia, originati dalla nostra comune tradizione, cultura e religione, vanno mantenuti. Ci sono tante persone in Serbia che percepiscono in modo netto la Russia come il nostro fratello maggiore, il nostro protettore. Questi sentimenti non possono essere trascurati, ma il nostro percorso strategico si chiama Unione europea».

Un obiettivo difficile da raggiungere per via della strada irta di ostacoli, uno dei quali è proprio lo stretto rapporto tra Mosca e Belgrado, che pure ha portato la Serbia a non seguire l’Ue nel campo delle sanzioni per la crisi in Ucraina. E se Bruxelles lo chiedesse nuovamente come condizione per l’accesso? La risposta del premier è assai diplomatica: «Non posso commentare questa ipotesi ora, perchè nei Balcani è difficile prendere impegni su qualcosa. È una regione molto complicata».

Bandiere albanesi a Pristina (Kosovo)Ma il futuro europeo della Serbia ruota soprattutto attorno ad un’altra spinosa questione: il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, l’ex provincia secessionista serba a maggioranza albanese, che però obbligherebbe a una modifica della Costituzione (in cui il Kosovo è indicato come parte integrante della Repubblica serba) e soprattutto a fronteggiare una forte opposizione da parte dei nazionalisti. Ana Brnabić sembra non voler prendere una posizione definita: «Un’azione di normalizzazione dei nostri rapporti dipende adesso dalla disponibilità del Kosovo a garantire autonomia ai serbi che vivono nelle aree settentrionali dell’ex provincia: poi il discorso sullo status giuridico nel suo complesso verrà affrontato nell’ultima fase del nostro percorso (d’integrazione europea, ndr)».

Alessandro Ronga
Foto © European Community
Foto © Wikicommons/Government of Serbia

 

 

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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