Pollock e Warhol al Vittoriano: cortocircuiti della modernità

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Ribellioni e utopie nelle grandi mostre dedicate ai due artisti e al loro impatto sull’epoca moderna negli spazi espositivi della Capitale

Lo spostamento del baricentro artistico dalle rive dell’Europa alle lontane lande degli Stati Uniti, e in particolare da Parigi a New York, è un evento dalla portata epocale. L’esodo degli artisti, in fuga dalla guerra e dalle dittature che schiacciano il Vecchio Continente, colma la Grande Mela di un fermento inusitato. Sin dagli Anni Quaranta vengono dunque poste le basi per quella centralità dell’America che sarà foriera di tante conseguenze.

Eppure anche la progressiva New York, in qualche maniera, aveva sbattuto la porta in faccia ai propri talenti, colpevoli, agli occhi dei più, di aver spezzato ogni legame con il figurativismo per intraprendere una strada oscura e poco comprensibile. Nel maggio del 1950 un nutrito gruppo di artisti, in seguito noti come Gli irascibilifirma una lettera indirizzata a Roland Redmond, allora presidente del Metropolitan Museum of Art, nella quale viene espresso un deciso disappunto per il disinteresse dell’istituzione nei loro riguardi. Un celebre scatto di Nina Leen, pubblicato sulla rivista Liferesta come testimonianza di quel momento storico di ribellione.

In quel gruppo di uomini ben vestiti e apparentemente innocui, accomunati da un senso di urgenza comunicativa pur nell’eterogeneità delle scelte espressive, spicca al centro la figura di Jackson Pollock, la torsione del busto e il volto tirato a indicare la cifra di una personalità inquieta, emotivamente instabile, lacerata da un profondo conflitto interiore. Proprio Life, nel 1951, gli dedicherà quattro pagine, consacrandolo fra i massimi pittori dell’epoca.

A questo artista roso dal demone dell’autoannientamento, morì infatti in un incidente d’auto causato dal suo stato di ubriachezza, il complesso del Vittoriano dedica una mostra che mira indagare gli esiti della cosiddetta scuola di New York, esponendo opere di Gottlieb, Baziotes, Kline, Francis, De Kooning e Rothko provenienti dal Whitney Museum of American Art.

E non è un caso che il medesimo spazio espositivo ospiti contemporaneamente le opere di un’altra icona dell’arte statunitense come Andy Warhol. Due artisti diversi, ma ugualmente lucidi nel penetrare i meccanismi della società del progresso.

Pollock mina dall’interno l’utopia del benessere mediante un’arte che sfugge qualsiasi progettazione a tavolino. Le sue opere sono manifestazione di un’esperienza fisica, espressione del caos che domina le nostre vite. Il ritmo che Pollock imprime alle proprie tele ha qualcosa del misticismo dei nativi americani, insieme all’improvvisazione propria del jazz. L’arte rifiuta la facile evasione nei prodotti di consumo per immergersi nei perigliosi turbamenti dell’inconscio.

Proprio nel 1950 il giovane Warhol si trasferisce a New York per lavorare come illustratore e vetrinista; un’esperienza che costituirà la base della sua folgorante carriera artistica. La società di massa trova in lui il proprio massimo interprete. Warhol conferisce valore estetico alle immagini prodotte dall’epoca moderna, presentandole usurate e logore in infinite variazioni.

La mostra intende restituire un’intera epoca, proiettando ad esempio il visitatore all’interno di una stanza rivestita di specchi nei quali si riflettono i fiori variopinti partoriti dalla fantasia di Warhol mentre l’immagine dell’artista osserva il tutto con uno sguardo apparentemente annoiato, le braccia adagiate sulla macchina da presa a ricordare il suo sguardo totalizzante sulla contemporaneità.

Sembra di vederlo Warhol, mentre con la sua strana corte di eccentriche figure vaga nella notte newyorkese, passando da un locale all’altro. Proprio durante una di quelle scorribande, grazie al suo infallibile intuito, notò i Velvet Underground, e da allora la musica non fu più la stessa. Decisivo il suo contributo al loro esordio discografico, una pietra miliare nella storia del rock anche nella confezione estetica. Dobbiamo a lui l’ingresso in organico della tenebrosa Nico, che con il suo timbro scuro e velato seppe imprimere al disco atmosfere uniche. La loro musica risuona nelle sale assieme a quella dei Rolling Stones, che l’artista ha omaggiato disegnando le copertine di alcuni album epocali, uno su tutti Sticky fingers, con quei jeans in primo piano e l’evidenza metallica della chiusura lampo.

E ancora i ritratti e le polaroid, cifre inconfondibili di un uomo profondamente legato al proprio tempo, in grado di scandagliarne gli abissi prevedendone gli esiti. La morte si affaccia improvvisa nei suoi orizzonti quando, nel 1968, una femminista gli spara alcuni colpi di pistola. Warhol sopravvive, ma inizia a coltivare una strana parentela con la dama dalla falce affilata, come testimonia la serie degli Skulls variopinti.

Pollock cerca volontariamente la morte, mentre Warhol sembra esorcizzarla. Drammatica la fine del primo, quasi eroica nel tentativo utopico di sottrarsi al sistema perseguendo il fine dell’autodistruzione fino alle più estreme conseguenze, più ordinaria quella del secondo, stroncato dalle complicazioni di un semplice intervento alla cistifellea. Eppure entrambi condividono l’ansia della modernità, la volontà di lasciare un segno indelebile prima di svanire nell’eterno e spietato meccanismo del tempo.

 

Riccardo Cenci

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Complesso del Vittoriano

Pollock e la scuola di New York

10 ottobre 2018 – 24 febbraio 2019

Orari: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30

venerdì e sabato 9.30-22.00

domenica 9.30-20.30

Biglietti: intero € 15,00 ridotto € 13,00

Catalogo: Arthemisia books

www.ilvittoriano.com

Andy Warhol

3 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019

Orari: dal lunedì al giovedì 9.30-19.30

venerdì e sabato 9.30-22.00

domenica 9.30-20.30

Biglietti: intero € 13,00 ridotto € 11,00

Biglietto congiunto Pollock Warhol intero € 24,00 ridotto € 20,00

Catalogo: Arthemisia Books

www.ilvittoriano.com

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Immagini

In evidenza:

Jackson Pollock

(1912-1956)

Number 27, 1950, 1950

Oil, enamel, and aluminum paint on canvas, 124,6×269,4 cm

Whitney Museum of American Art, New York; purchase 53.12

© Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York by SIAE 2018

All’interno dell’articolo dall’alto in basso:

Mark Rothko

(1903-1970)

Untitled (Blue, Yellow, Green on Red), 1954

Oil on canvas, 197,5×166,4 cm

Whitney Museum of American Art, New York;gift of The American Contemporary Art

Foundation, Inc., Leonard A. Lauder, President 2002.261

© 1998 Kate Rothko Prizel & Christopher

Rothko / ARS, New York by SIAE 2018

Duane Michals

Andy Warhol, 1972

Gelatine silver print, 18×12 cm

Collezione Marco Antonetto

Andy Warhol

Marylin, 1967

Serigrafia su carta, 91,40×91,40 cm

Eugenio Falcioni

© The Andy Warhol Foundation for the Visual

Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

 

 

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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