Oltre il “sofa-gate”: una comunità internazionale in crisi di nervi

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Sofa-gate

Di quanto accaduto ad Ankara in settimana si è detto e scritto tanto. Ma al di là della gaffe restano alcuni punti su cui riflettere

Per un’oscura legge non scritta, le gaffe arrivano sempre nel momento meno adatto. Il sofagate di Ankara non fa eccezione. Probabilmente, fosse accaduto in un’altra epoca, tutto si sarebbe risolto in qualche sorriso imbarazzato e stop. Ma non in questi tempi di pandemia, nei quali la politica sente le tensioni come mai prima d’ora. Del comportamento censurabile di Recep Tayyip Erdogan e di Charles Michel nei confronti di Ursula von der Leyen si è detto e scritto tanto. Ma al di là della gaffe stessa e dei numerosi meme ironici che hanno fatto impazzire la Rete, restano alcuni punti su cui riflettere.

La debolezza di Ursula

Il primo riguarda la vittima del gesto, ovvero la presidente della Commissione europea. Fosse successo alla Thatcher negli anni Ottanta, sarebbero volate borsettate. Ma non poteva capitare in un periodo peggiore per la povera Ursula, già alle prese con la malagestione della campagna vaccinale in Europa, la grana-AstraZeneca e le fughe in avanti di diversi Paesi sull’acquisto dei vaccini, che di fatto hanno sconfessato il suo operato. Quanto accaduto in settimana ad Ankara sembra il colpo di grazia alla sua figura, già molto debole, a opera non tanto del padrone di casa, quanto piuttosto di quella stessa Ue di cui lei è la massima rappresentante.

Commissione vs Consiglio?

Ha infatti stupito, e questo è il secondo punto di riflessione, l’imperturbabilità del presidente del Consiglio europeo nel momento in cui la von der Leyen s’è ritrovata senza una poltrona e ha dovuto accomodarsi su di un divano di fronte a quello dove era seduto il ministro degli Esteri Cavusoglu. Una “declassazione” sul campo e in piena regola ad opera di Charles Michel. Voluta? A guardare le immagini, si vede come l’ex premier belga si vada a sedere sotto la bandiera europea senza nemmeno un cenno d’intesa con la von der Leyen. Quasi a intendere “qui l’Unione europea la rappresento io, che ne capisco più di te”.

La nemesi

Il terzo punto riguarda Erdogan, che ha respinto le accuse di sessismo e ha scaricato le colpe della gaffe sugli addetti al cerimoniale, dicendo di essersi semplicemente attenuto a quanto stabilito da altri. Forse è vero, anzi è probabile sia andata così. Ma certo questa giustificazione non libera il presidente turco da un’altra mancanza, questa sì grave, ovvero quella di aver ritirato la Turchia dalla Convenzione internazionale contro la violenza sulle donne. Per una sorta di nemesi, ora Erdogan (senza neanche volerlo) si è trovato accusato per un comportamento scorretto nei confronti di una donna. A conferma di come quella decisione, presa poche settimane fa, abbia lasciato scoperto un nervo destinato a fare male al Governo di Ankara.

Realpolitik

DraghiIl quarto concerne Mario Draghi, e quell’appellativo di “dittatore di cui si ha bisogno” riferito a Erdogan, con cui è entrato a gamba tesa nella vicenda scatenando le ire di Ankara. Perché il premier ha voluto soffermarsi sull'”utilità” di determinati personaggi come il presidente turco, abbastanza lontani dal concetto di democrazia tipico dell’Occidente? Draghi, da fiero europeista, è parso sinceramente seccato di quanto successo alla von der Leyen, dando anche l’impressione di non condividere a pieno la realpolitik europea nei confronti della Turchia. Come dire, Erdogan ci è utile ma fino a un certo punto: se l’Ue continua ad abbassare lo sguardo davanti a certi comportamenti, poi è ovvio che si finisce per farsi umiliare.

Crisi di nervi

Un’uscita che di diplomatico ha ben poco, e che arriva a poche settimane dalkillercon cui Joe Biden ha bollato Vladimir Putin, e alla replica al vetriolo di quest’ultimo che di fatto metteva in dubbio la salute mentale del suo omologo. Fatto sta che, alla luce degli eventi della settimana, i tempi del diplomatichese sembrano sempre più un ricordo lontano. Forse è colpa delle restrizioni del Covid-19, magari anche del linguaggio un po’ cafone sdoganato dai social media e che pervade la politica, fatto sta che la comunità internazionale è sull’orlo di una crisi di nervi, come la società che rappresenta.

 

Alessandro Ronga

Foto © European Union, Wikicommons, Il Sole 24 Ore

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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