Fán Huā Chinese Film Festival, intervista a Bertolin

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Fán Huā Chinese Film Festival

Il consulente artistico della manifestazione racconta a Eurocomunicazione la prima edizione della rassegna cinematografica

Si è svolta dal 14 al 17 ottobre a Firenze, presso il Cinema La Compagnia, la prima edizione di Fán Huā Chinese Film Festival. L’evento è organizzato dalla Zhong Art International, attiva dal 2013 con sede a Firenze e uffici a Pechino, Chongqing e Zhengzhou, presieduta dal fondatore Xiuzhong Zhang.

L’intervista

Il titolo della rassegna 繁花, letteralmente “varietà di fiori che sbocciano”, fa riferimento con un’immagine poetica alla florida e variegata produzione di opere cinematografiche che si sta sviluppando in Cina. L’intero festival è un viaggio nella Cina contemporanea, quella meno conosciuta e più autentica, oltre gli stereotipi.

Ci introduce a questo festival e al cinema cinese Paolo Bertolin, consulente artistico del Fán Huā Chinese Film Festival, critico e curatore cinematografico, membro del comitato di selezione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

  • Qual è stato il processo di curatela per il Fán Huā Chinese Film Festival?

«Il lavoro di selezione dei film era già iniziato l’anno scorso perché il progetto di questo festival è qualche cosa che si è costruito lungo un arco di tempo che data ormai 3 anni fa.  Originalmente l’idea era quella di fare un festival nel 2020. Alcuni film erano già stati opzionati, film validi e aveva senso mantenere questo programma e ampliarlo. L’anno scorso si doveva fare una sorta di “anno zero” con 4 o 5 film. Si trattava veramente di una piccola rassegna sul cinema cinese per mettere le basi per quello che poi doveva essere un vero e proprio festival. E che, in termini di progettualità, dovrebbe diventare qualcosa di più esteso sia per la durata che per numero di film».

«Quest’anno sono utilizzati film già opzionati l’anno scorso più altri, che sono stati selezionati con una serie di limitazioni. Limitazioni dovute a tutte le contingenze create dal Covid, a cominciare dal fatto che sapevamo che nonostante ci fosse un grande desiderio di portare anche i registi a Firenze, questa cosa non si sarebbe potuta fare. Una linea di programmazione di questo tipo – con omaggio a un regista – ha molto più senso nel momento in cui si può avere quella persona nel modo più funzionale. In particolare in termini di possibilità di incontro con il pubblico. Speriamo che l’anno prossimo questa limitazione non ci sia e che ciò ci permetta di scegliere i film in maniera più completa. Con l’idea anche di poter ospitare i registi».

  • Qual è il fine?

«Non si tratta di un festival che vuole fare competizione all’interno dell’ecosistema dei festival italiani, ma che vuole portare i film alla platea fiorentina. Non abbiamo necessariamente ricercato delle prime internazionali, europee o italiane. Quello che ci interessava era portare il cinema cinese attraverso le sue identità più diverse alla platea fiorentina».

«La discussione sulla diversità, sulla molteplicità di queste identità si è ramificata su varie dimensioni e cioè il fatto che questo programma presenta una scelta di film che ci portano in una serie di realtà regionali molto diverse. Curiosamente non c’è un solo film, tra questi 11, ambientato a Pechino. Questo non è successo per disegno implicito, non era un paradigma di partenza, ma si è venuto a creare alla fine».

«Poi oltre a questo c’è anche una stratificazione in termine di quelli che sono i generi. Si va da un film di animazione, scelto con l’intento di invitare un pubblico più giovane, al thriller, al genere storicobellico, alle arti marziali, ma anche al dramma declinato sulle più diverse sfumature (leggero, intimista, incentrato sui bambini o adulto). L’intento è stato quello di rendere conto di questa diversità e diversificazione andando anche un po’ contro gli stereotipi».

  • Quale direzione direbbe che stia prendendo la scena cinematografica cinese in questi giorni?

«In questo momento, anche per via del Covid, il cinema cinese conosce un grandissimo boom commerciale sul mercato interno. La produzione locale ha un controllo molto forte e solido di quello che è il botteghino cinese in questo momento. Anche per via della debolezza causata dal Covid sul mercato nord-americano, è diventato il box office più importante a livello globale. In Cina il pubblico è tornato in sala, grazie anche alle misure di contenimento della pandemia estremamente rigide. C’è una flessione rispetto ai dati di box office degli anni scorsi, ma certamente più contenuta che in altre realtà globali. E ciò ha permesso, in quest’ultimo anno, di registrare dei risultati impressionanti per alcuni dei titoli più commerciali che sono usciti».

«Questo cinema cinese che funziona molto bene con il pubblico locale è però anche un cinema estremamente insulare e cioè che parla a quel mercato, pubblico, e che forse non funziona altrettanto bene nel momento in cui attraversa i propri confini. Mentre i risultati di botteghino dei grandi blockbuster di Hollywood derivano dall’incasso interno nord-americano e da una componente altrettanto grande sul mercato globale, i grandi successi di box office cinesi rimangono limitati al mercato interno. Questo ha tutta una serie di corollari che possiamo anche comprendere nel momento in cui si va ad analizzare cosa sono questi grandi successi del botteghino cinese. E si va a scoprire che sono film che fanno riferimento a una serie di coordinate culturali e storiche che sono molto locali».

  • Con così tanti consumatori di piattaforme di streaming, qual è il ruolo del festival cinematografico?

«Non ho un’idea negativa rispetto al ruolo delle piattaforme streaming, nel senso che credo che in realtà si tratti di un’opportunità, in generale, rispetto all’industria dell’audiovisivo. Si è aperto un nuovo canale di fruizione del prodotto».

«Al fianco di queste piattaforme generaliste, magari limitate rispetto al tipo di produzione che presentano, si stanno creando tutta una serie di piattaforme più mirate, più specifiche che permettono di scoprire un prodotto di nicchia che altrimenti rischia di essere dimenticato dai grandi operatori globali. In tal senso, ho sempre visto questa possibilità di raggiungere un pubblico nazionale o globale per una serie di film in qualche modo complementare rispetto a quello che il mercato della sala propone nella distribuzione regolare, quanto nei festival».

  • Un punto di vista diverso dal solito

«C’è da capire quanto il pubblico che viene in sala trova questa esperienza del vedere i film in streaming come una reale alternativa all’esperienza della sala. E non è stato ancora specificamente quantificato in particolare rispetto a quella che è l’esperienza del cinema d’autore. È certo che le esperienze che ci sono state nel contesto specifico dei festival, sono state comunque positive. Durante il periodo più rigido della pandemia molti festival sono andati completamente online e hanno scoperto di poter raggiungere un pubblico che va al di là di quello della città dove si tengono. L’avere supporto di una piattaforma nazionale permette di ampliare la platea e magari per il festival anche di avere un piccolo ulteriore introito rispetto a quello della vendita dei biglietti in loco».

«Per un festival piccolo e appena nato come il Fán Huā, è troppo presto per pensare di costruire un tipo di discorso come questo. È un po’ presto per parlare di una forma ibrida. A mio avviso sarebbe importante, in primo luogo, costruire un rapporto con il pubblico della sala fiorentino. Credo che sia importante che il festival costruisca una relazione con il tessuto della città e il pubblico dei cinefili locali. Se riesce ad ampliare questa cassa di risonanza al di là di Firenze, forse ha più senso creare un tipo di iniziativa che accompagni l’evento in presenza con l’online. In quel caso, vedo solo una serie di ripercussioni positive in termini di visibilità del festival, del prodotto che presenta e di accessibilità per una platea più ampia. Rispetto a un prodotto che non è necessariamente così facilmente raggiungibile».

  • Data la sua esperienza con altri festival cinematografici internazionali, cosa distingue il Fán Huā Festival?

«È un festival che è appena nato, è quindi molto importante cercare di identificare il suo pubblico, di costruirsi una reputazione. Credo che la cosa molto bella e importante fin qui riscontrata è che da un lato c’è stato un forte sostegno da parte delle autorità locali. A livello della città di Firenze e della Regione Toscana è stato compreso come ci sia stato, da parte del presidente Gianni Zhang, un tentativo di creare un ponte culturale che vuole veramente lavorare su un processo di comprensione reciproca. Trovo che sia stato coraggioso fare ciò in questo momento in particolare. Perché la Cina – a parte il suo appeal come grande mercato – non è al momento a un picco di popolarità».

«Questo è un altro fattore che dobbiamo ammettere: lavorare sulla cultura, come fa da anni Gianni Zhang in ambito dell’arte contemporanea, e ora sul cinema, è un importante strumento di comprensione reciproca in termini di identità e di questioni umane. Al di là degli stereotipi è rilevante cercare di comprendere come ci sia una serie di questioni aperte che si possono discutere, illustrare in maniere diverse da quelle del modo occidentale di vedere le cose. Quindi questo supporto istituzionale da un lato e questa idea di creare un canale, un ponte di reciproco avvicinamento e comprensione è qualche cosa che è un po’ la guida rispetto a quello che è stato fatto. E che si spera di fare nel futuro anche con la possibilità di connettersi con le realtà delle comunità cinesi locali».

  • Quale film, tra quelli presentati al Festival, suggerisce o le è particolarmente caro?

«Questa domanda la si può prendere da diverse angolazioni e cioè cercare di dire quale è il film il più rappresentativo del tipo di progetto che è stato portato avanti e cioè di presentazione di una Cina diversa con tutta una serie di identità, anche locali, lontane dallo stereotipo di quello che è la Cina.  Quindi si potrebbero prendere ad esempio quei film che sono ambientati in Tibet. O nella parte Nord-Ovest del Paese. O magari vicino alla Corea del Nord».

«Ma se la domanda è di gusto personale, devo dire che il film al quale forse tengo di più e che credo sia interessante scoprire da un punto di vista esclusivamente cinefilo è Suburban Birds di Qiu Sheng. È un’opera prima tra le più interessanti e fresche di questi ultimi anni nel panorama cinese. È un film che non è necessariamente il più accessibile, con delle complessità di struttura, ma è un film che rivela del talento. Questo è un regista che personalmente sono curioso di seguire. Sono molto impaziente di vedere cosa farà con il suo secondo lungometraggio a cui sta lavorando in questo momento. Quindi mi pareva essenziale mostrare i film che raccontano la Cina, ma anche di aver un film propriamente d’autore che rivela un talento che sicuramente merita di essere seguito».

 

Cecilia Sandroni & Bianca Chellini

Foto © Fán Huā Chinese Film Festival

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Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

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