Luciano Artusi, l’anima di una città

0
1454
Luciano Artusi

Entrare in simbiosi con Firenze e diventare un simbolo contribuendo ad aumentare e divulgare la civiltà fiorentina e toscana

Luciano Artusi è il pronipote di Pellegrino Artusi notissimo gastronomo per aver dato alle stampe il libro “La Scienza in Cucina e l’Arte di mangiar bene” presente in tutte le case italiane.

Luciano nasce l’11 gennaio 1932 a Firenze nel quartiere di Santa Croce. In questa città passa tutta la sua vita in un rapporto di connessione con essa. Studioso e divulgatore della storia fiorentina, è autore di ben 99 pubblicazioni sul calcio storico e sulla storia e le tradizioni cittadine e toscane, oltre a collaborare con articoli e rubriche per quotidiani, riviste e periodici.

Scrive con lucida e colorita prosa dando particolare risalto all’aneddotica, al costume, alle curiosità e a tutti quegli avvenimenti minori che si pongono ai margini della grande storia ma che pure contribuiscono a aumentare e divulgare la civiltà fiorentina e toscana.

Ha ricevuto tantissimi riconoscimenti fra i quali il 2° Premio Bancarella Sport nel 1971, il Perseo d’oro nel 1976. Il 2° Premio San Giovanni di Dio nel 1991, il Premio Firenze nel 2000, il Fiorino d’oro nel 2003 e il 1° premio Giuseppe Berti Bagno di Romagna 2012. Premio letterario Spiga d’Argento 2013 – Comune di Montespertoli, Premio Donatello 2015, Premio Vallombrosa 2015, premio Mario Conti 2016 Camera dei Deputati Roma, XVI Premio Porcellino 2019, Premio europeo Lorenzo il Magnifico 2019.

È stato direttore del Calcio Storico Fiorentino per ben 55 anni e promotore delle istituzioni quali la federazione italiana Sbandieratori e quelle degli antichi Giochi storici italiani e della Toscana.

Abbiamo intervistato Luciano Artusi per Eurocomunicazione dandogli la possibilità di raccontarsi.

Signor Artusi, come si descriverebbe?

«Un testardo. Sono un capricorno, quindi quando mi metto in testa una cosa cerco di realizzarla. Se ho un’idea in cui credo cerco di mettergli le gambe come a un tavolino e renderla operativa portandola a compimento fino in fondo». 

E come è nata la sua passione per la scrittura?

«Da direttore del Calcio storico fiorentino, nel 1966, quando ci fu la famosa e terribile alluvione che afflisse tutta Firenze, mi ritrovai a dover ripristinare tutto il materiale del Calcio che avevamo sia nel magazzino di Piazza Santa Croce al piano terreno, sia in quello situato nel chiostro del complesso della chiesa di Santa Maria Novella, completamente distrutti da quell’acqua che conteneva di tutto. Quindi perdemmo quasi tutti i costumi, le bandiere e le minuterie. Fortunatamente ritrovammo le armi e le armature che ripristinammo subito da noi stessi. Menomale che, studiando a fondo la storia del calcio in tutti i particolari – anche perché per fare il direttore volevo esserne all’altezza – avevo moltissimi appunti che mi ero scritto durante le assidue permanenze in biblioteche e archivi».

«Proprio grazie a queste annotazioni, fummo in grado di rifare con esattezza i costumi, le bandiere, le drappelle delle chiarine come dovevano essere in tutti i loro particolari. E nel giugno dell’anno dopo si poterono riorganizzare le partite del torneo. Allora, a quel punto mi domandai: ma se ci fosse stato un libro in cui potevamo trovare quanto ci occorreva sapere? Come sarebbe stato importante! Una tale testimonianza invece mancava. Un libro così non esisteva! Quindi, confrontandomi anche con il grande amico Silvano Gabrielli, contattai la casa editrice Sansoni di Firenze e “L’antico Gioco del Calciovenne alla luce nel 1971, che fu anche il 2° Premo Bancarella-Sport. Un grande successo tanto da essere pubblicato anche in lingua inglese. Ecco perché da quel momento mi venne la voglia di scrivere».

Signor Artusi, lei che ha dedicato la vita alla sua città natale, cosa ricorda della Firenze della sua infanzia?

«Ho vissuto praticamente due epoche, molto diverse e ben distinte fra loro. Quando ebbe termine la seconda guerra mondiale avevo 11 anni e quindi ricordo bene la scuola, le adunate e i saggi ginnici da balilla, i bombardamenti, la liberazione, la borsa nera. A quell’età la memoria e le emozioni rimangono indelebili, addirittura con i loro odori e sapori. Una vita molto inserita nella società, ci si conosceva tutti, le porte erano sempre aperte. Quando suonava la sirena per annunciare gli allarmi aerei tutti i pigionali del palazzo scendevano da noi che abitavamo al piano terreno, con coperte e guanciali; i miei genitori avevamo addirittura attrezzato una sala del nostro appartamento con poltroncine e sedie per tali circostanze».

Luciano Artusi«Io ero l’unico bambino di tutto l’immobile e per me quegli eventi erano come una festa, nonostante sapessi bene che invece vivevamo una tragedia. La vita dell’infanzia me la ricordo vissuta con tante persone, in amicizia, cortesia, rispetto, educazione. Tutte le domeniche mio padre mi portava a visitare musei, e chiese, con giratine indimenticabili, erano come un rito per noi che terminavano dal giornalaio per comprare il giornale, il radiocorriere e il Corrierino dei piccoli per finire poi alla pasticceria Robiglio per il consueto pacchettino delle paste dolci. Queste liete passeggiate iniziarono a farmi conoscere Firenze». 

Rispetto alla Firenze di oggi, ritiene che si è perso questo senso di comunità?

«Certamente sì. Prima c’era una Firenze coesa e umana, poi dopo il boom economico siamo arrivati ai computer e ai telefonini e oggi non ci parliamo più. Ma ci messaggiamo! Le persone di uno stesso stabile a fatica si dicono buongiorno, manca la comunicazione diretta fra le persone, ci siamo spersonalizzati. Io avverto con nostalgia questa differenza del socializzare rispetto alla mia Firenze d’infanzia».

Lei è console di Parte Guelfa, ci racconti come tutto ha avuto inizio?

«Quando ho lasciato il Calcio Storico, di cui una delle magistrature è Parte Guelfa, istituita nel 1266 da papa Clemente IV, ho cercato di rimettere in piedi questa importantissima istituzione con l’ausilio di 4 amici. Ci siamo riusciti dopo aver rintracciato vecchie carte, fatte vedere sia all’amministrazione comunale e sia all’arcivescovo, che hanno dato la loro approvazione per ridar vita a questa confraternita laicoreligiosa, con la concessione, non da poco, di poter investire cavalieri e dame. Io sono uno dei quattro rifondatori, il più anziano, per cui mi hanno eletto console».

Ci parli del progetto editoriale sulle piazze fiorentine fatto insieme a suo figlio Ricciardo?

«Abbiamo scritto una collana di agevoli guide tascabili per 8 piazze, dove si raccontano storie, curiosità e aneddoti, non sono trattati da nessun’altra guida turistica, perché la nostra ricerca è frutto anche di ricerche archivistiche. Cosa che abbiamo costantemente fatto per tutte le nostre pubblicazioni».

La sua ultima opera pubblicata?

«Un libro sugli antichi mestieri dell’Ottocento scritto con Maria Venturi, dopo 5 anni di ricerche negli archivi. Un libro che ci ha dato modo di scoprire mestieri dei quali non si conosceva neppure il nome».

Ce ne elenca almeno uno?

«Volentieri, il “Panellaio”; uno si immagina subito di essere in presenza di fornai o comunque ai venditori mattinieri di “semmelli” per la colazione, e invece no. Erano gli artigiani che illuminavano la cupola del Brunelleschi e Palazzo Vecchio la notte di San Giovanni Battista e tutte le volte in cui c’era una festa cittadina come il parto della granduchessa. In delle padelle di terracotta dell’Impruneta i panellai ponevano cenci intrisi di acqua raggia, cera vergine e altre sostanze segrete, a formare delle piccole torce dette appunto panelli. Questi panelli venivano con cura alloggiati sui costoloni della cupola e sulle merlature del palazzo, dove gli veniva dato fuoco e quella particolare illuminazione durava tutta la notta anche in condizioni di pioggia e vento». 

Ricollegandoci alla collana dei libri scritti con suo figlio, perché proprio in otto parti avete diviso queste edizioni tascabili sulle piazze fiorentine?

«Perché abbiamo preso il “cuoredel centro cittadino con quelle piazze entro la cerchia ideale delle mura, tralasciando quelle più periferiche e moderne che non hanno il fascino di una passeggiata da poter percorrere a naso all’insù». 

Ed è stato facile lavorare con suo figlio?

«È stato facile perché come mio padre aveva fatto con me, io ugualmente ho fatto con i miei figli. Li portavo a spasso per Firenze specialmente la domenica mattina, per cui li ho appassionati alla conoscenza della città, ed è comprensibile come adesso sia per Riccardo molto dilettevole scrivere sulla città e, come me, soprattutto per diletto e piacere, divertendosi».

Quale è la sua piazza preferita? Che particolari ricordi ha di questa?

«Piazza della Signoria, in modo particolare in quanto ci andavo con mio padre e perché proprio qui ho vissuto emotivamente le partite del Calcio Storico, specialmente quelle giocate in notturna. Dare i comandi alla voce al bagliore delle fiammelle che illuminavano Palazzo Vecchio, alla presenza di un pubblico festante, non posso scordarlo. Partecipai per la prima volta al corteo in questa piazza nel lontano 1951».

25 marzo, capodanno fiorentino da secoli, data in cui l’amministrazione comunale le conferirà di “esser sindaco per un giorno” come fu fatto a Roma per Alberto Sordi. Emozionato?

Luciano Artusi«Sarebbe davvero un’emozione unica, un riconoscimento talmente plateale da non poter evitare la commozione. Vediamo se davvero questo avverrà».

Un’ultima domanda, ritiene che al giorno d’oggi, guardando alle nuove generazioni, ci sia qualcuno in grado di proseguire la sua strada, di dedicarsi ad una città e diventarne un simbolo?

«Sicuramente sì. Non ci vuole mica poi tanto! Basta avere passione, spirito di sacrificio, amare la città e non fare le cose per vanagloria. Gentiluomini ce ne sono tanti e sicuramente uno disponibile ci sarà senz’altro. Non le nascondo che penso anche a Riccardo che ha tutte le qualità per continuare la tradizione familiare».

 

Cecilia Sandroni & Francesca Maccaglia 

Articolo precedentePapa Francesco e il terzo segreto di Fatima
Articolo successivoLa saga di Blackshaw, le campagne scozzesi e l’epoca Regency
Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui