La Sindone rivisitata da Baima Bollone

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Sindone

La storia del Sacro Telo è stata impervia e piena di rischi ma dato che fin dai tempi antichi era ritenuto importante è sempre stato trattato con riguardo

Per il prof. Baima Bollone, anatomopatologo torinese che ha dedicato buona parte della sua esistenza allo studio della Sindone, il telo è «veramente l’immagine del figlio di Dio». Lo ha affermato, con l’autorevolezza che lo contraddistingue, in occasione dell’evento “Il giorno della Sindone” presso Il Centro Studi Sindone del Caravita a Roma.

Convegno fortemente voluto dal regista e documentarista prof. Alberto Di Giglio, direttore artistico delle giornate internazionali del cinema religioso – Medicinema – di Todi. Prima dell’intervista a Baima Bollone è stato proiettato un interessante video inerente la Sindone. Il professore nel suo apprezzato intervento, ha affermato: «Sin da quando ero bambino, mia madre mi parlava spesso della Sindone. Se a quei tempi mi avessero detto che sarei diventato il primo patologo al Mondo ad analizzarne il sangue non l’avrei mai creduto. Era il 1978 e mi trovavo con altri patologi nella Biblioteca del Palazzo Reale di Torino».

«Il lenzuolo sindonico era appoggiato su un lungo tavolo illuminato da una luce radente, per prelevarne frammenti di stoffa. Guardavo il lino dall’alto, quando ho avuto l’impressione che l’immagine prendesse corpo. Non riuscivo a crederci, la vedevo in tre dimensioni. In quel momento ho pensato che i miei occhi mi stessero facendo uno scherzo». L’allora giovane medico ha visto ciò che anche altri hanno raccontato avendo avuto la medesima sensazione.

Gli esami del sangue rilevati dal telo sindonico

Baima Bollone aveva ipotizzato, prima di avvicinarsi al lino, che la figura sulla Sindone fosse stata prodotta da sangue umano. Gli esami hanno poi svelato che si trattava di plasma del gruppo AB mischiato a particelle microscopiche di mirra e aloe. Dopo le indagini sul sangue ha proseguito gli studi ritrovando sul telo pollini imprigionati nella trama del tessuto dai quali si può risalire a luoghi intorno a Gerusalemme.

La sepoltura del Cristo e la Sindone

Secondo la tradizione popolare e religiosa la Sindone è il lenzuolo funerario che avvolse il cadavere di Gesù dopo la crocifissione e la morte. È l’apostolo Paolo in una lettera scritta a Efeso, ai cristiani di Corinto tra il 54 e 56, che parla della morte di Gesù avvenuta nell’anno 30. Tutti e quattro i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni iniziano con la richiesta di Giuseppe di Arimatea a Pilato di ottenere il corpo del giustiziato mediante crocifissione. Essi descrivono anche che fu Giuseppe che depose il cadavere di Gesù dalla croce e “lo avvolse in un lenzuolo pulito”. Giovanni ci informa, inoltre, che fu Nicodemo “quello che in precedenza era andato da lui di notte” a portare trenta chili di una mistura di mirra e aloe come era usanza per i giudei preparare la sepoltura.

Il cadavere venne sistemato in un sepolcro “scavato nella pietra” il cui accesso venne bloccato rotolando una grossa pietra. Tutti e quattro gli evangelisti concordano sul racconto della sepoltura. È Luca che accenna nel racconto della sepoltura ai tessuti funerari. Giovanni parla anche di soudarion, ed è lui che descrive ciò che avvenne la domenica mattina quando Maria Maddalena e Pietro scoprirono il sepolcro aperto. “Non vide nulla e non trovò nessuno ma videro i panni funebri di Gesù. Vide persone vestite di vesti candide e parlò con essi”. Infine Maria Maddalena “parlò con Gesù, ma fuori dal sepolcro”. Giovanni è l’unico testimone oculare.

Il fine lino della Sindone

Secondo la biblista Maria Luisa Rigato il lino nel quale fu avvolto il Cristo proveniva dai depositi del Tempio di Gerusalemme. Si trattava di lino finissimo “bisso reperibile nel Santuario per le necessità dei leviti sacerdotali, in particolare le tende”. Il che identifica Giovanni come sacerdote del Tempio e di grado elevato con disponibilità di prelevare tale tessuto. Secondo l’uso giudaico nelle sepolture dell’epoca veniva utilizzato un telo in quanto se si fosse trattato di morte apparente, al risveglio, il redivivo poteva liberarsi da solo. Dopo tre giorni si andava a controllare la tomba. Si suppone questo sia il significato della visita delle pie donne la domenica.

Le tappe del telo sindonico

Il vescovo monaco Epifanio di Salamina che visse tra il 315 e il 403 scrisse nel 393 al vescovo Giovanni di Gerusalemme, di avere veduto in una chiesa di Anablata, appeso alle porte, un manufatto tessile di notevoli dimensioni con l’immagine di Gesù. Inoltre afferma di aver sgridato i custodi in quanto si sarebbe trattato di un sacrilegio. Potrebbe trattarsi della prima traccia della Sindone. Certo è il fatto che nel 544 il telo sindonico era a Edessa, città dell’Anatolia, oggi Urfa.

Nel 639 gli Arabi conquistarono Edessa e consentirono il culto locale dei cristiani del Mandylion il Telo con l’effige di Gesù. L’imperatore di Bisanzio Romano I Lecapeno (920-944) esercitò forti pressioni politiche affinché gli venisse consegnato il sacro Telo. Poiché non riuscì a ottenerlo assediò la città e gli occupanti arabi di Edessa cedettero il Mandylion. In cambio ottennero la liberazione di 200 prigionieri islamici e la somma di 12.000 argentei.

Il trasferimento del Mandylion a Costantinopoli (il nome della città deriva da Costantino l’imperatore che nel 330 la conquistò) è ricordato in due libri liturgici della chiesa bizantina. In un manoscritto custodito nella biblioteca Vaticana, scoperto da un ricercatore nel 1986, l’arcidiacono Gregorio, esperto della delegazione imperiale Bizantina, così lo descriveva: «i tratti del viso si sono formati nel tessuto di lino». Narrava anche che durante il trasporto dall’Anatolia alla capitale vi furono numerosi miracoli tra cui la guarigione di un indemoniato. Il 15 agosto il Mandylion giunse a Costantinopoli (oggi Istanbul in Turchia). Ciò trova riscontro in numerosi documenti. Verso il 1150 un pellegrino inglese segnalava che nella cappella dell’imperatore c’era il sudario del Cristo.

Il saccheggio di Costantinopoli

Il cavaliere Robert de Clari, proveniente dalla Piccardia al seguito della quarta crociata, scrisse che nella conquista di Costantinopoli nel 1203 e poi nel 1204 la città fu completamente saccheggiata. Lì grandi ricchezze erano state ammassate durante i secoli. L’espugnazione della città con l’aiuto dei veneziani, fu seguita da saccheggi e uccisioni. Importanti tesori furono portati dai veneziani, nella Cattedrale di San Marco a Venezia come la Pala d’Oro e i 4 cavalli bronzei che ne ornano le facciate. La Sindone che era custodita nella cappella del Faro di Costantinopoli scompare. Ricompare ad Atene ma dopo qualche anno se ne perdono le tracce. L’impero Latino di Costantinopoli durò fino al 1261 quando l’imperatore Baldovino II Porfirogeneto (1217-1273) venne sconfitto da Michele VIII Paleologo, che reinsediò l’impero greco con l’aiuto dei genovesi rivali dei veneziani.

I Templari e la Sindone

Secondo la studiosa Barbara Frale officiale dell’Archivio segreto Vaticano (con la quale chi scrive ha presentato a Roma qualche anno fa il libro “La sindone di Gesù Nazareno”), furono i Frati Guerrieri Templari a custodire per un certo tempo la Sindone di Torino. Essi conservarono il telo ripiegato in modo che si vedesse solo il viso. Disperso l’ordine templare nel 1307, per qualche tempo la Sindone potrebbe essere stata trasferita su territorio inglese, in una caserma del Tempio. Nel 1944 infatti a Templecombe cittadina del Somerset nell’Inghilterra sudoccidentale, è stato rinvenuto un antico e grande pannello di quercia con buco di serratura. Il quale reca dipinto un volto barbuto del tutto simile a quello della Sindone.

La scoperta è avvenuta casualmente a seguito di una deflagrazione di una bomba tedesca. Era in una sorta di deposito privo di finestre che anticamente era l’abitazione di un cappellano templare. Il pannello si trovava nel soffitto da oltre 600 anni. Le dimensioni del pannello corrispondono a quella della Sindone piegata su se stessa in otto. Potrebbe trattarsi del coperchio di un contenitore della Sindone. La datazione con il carbonio lo ha fatto risalire al 1280.

Sindone riappare a Lirey

Passano 150  anni da quando la Sindone scompare a Costantinopoli presa dai cavalieri crociati e nel 1353 compare a Lirey un villaggio della Champagne a cento chilometri da Parigi. Si ha notizia che il cavaliere del Re di Francia Geoffrey de Charny fece costruire una chiesa apposita in cui la espose. Goffredo morì nel 1356 in una battaglia vicino a Poitiers senza aver rivelato ad alcuno come fosse entrato in possesso del sacro lino. Nel 1390 Clemente VII autorizzò l’esposizione della reliquia, con una bolla che concedeva l’indulgenza a tutti coloro che si fossero recati nella chiesa di Lirey a venerarla.

La cessione ai Savoia della Sindone

Dopo la permanenza della Sindone a Lirey, l’ultima discendente degli Charny, Margherita, a Ginevra il 22 marzo 1453, cede ad Anna di Lusignano moglie di Ludovico di Savoia, il sacro telo. Non esiste un atto scritto in quanto i Savoia non volevano creare attrito con il Papa. La motivazione si adduce al divieto di commercio di reliquie stabilito nel Concilio Lateranense del 1215. Divenuti proprietari i duchi di Savoia e non avendo ancora una unica residenza stabile, si portano dietro la Sindone nei loro spostamenti fino a quando la collocano a Chambery, la loro capitale. In un inventario delle reliquie poste nella Cappella Ducale di Chambery datato 6 giugno 1493 compare la scritta Sanctum Sudarium. Nel 1506 Papa Giulio permette il culto pubblico della Sindone e fissa la festa della Sindone il 4 maggio di ogni anno, giorno dopo di quello della Santa Croce.

Il reliquario in argento per la Sindone

Margherita d’Austria, diventata vedova di Filiberto, nel 1509 ordina una cassetta – reliquario in argento per conservare la Sindone, dove rimarrà fino al 1998. Il costo fu di dodicimila scudi d’oro.

L’incendio del 1532

La preziosa cassetta nella notte tra il 3 e il 4 dicembre del 1532 venne gravemente danneggiata da un incendio scoppiato intorno alla mezzanotte. La combustione provocò la fusione della parte superiore del prezioso reliquiario, alcune gocce di metallo incandescente cadono all’interno della Sindone, carbonizzando un angolo. In questa occasione, ci dice una pergamena dell’epoca, fu salvata da quattro coraggiosi: il consigliere ducale Lambert, il fabbro Guglielmo Poussod e due francescani rimasti sconosciuti. Si sparse la voce che la Sindone era andata perduta.

Il 28 aprile 1533 Papa Clemente VII (1523-1534 ) incaricò il Cardinale Ludovico di Gorrevod, vescovo di Maurienne (Savoia, Francia), di eseguire una ricognizione del telo. Questa fu molto accurata e fu ripetuta per ben tre volte. Per quanto danneggiata la tela non ebbe danni a livello delle immagini. Due anni più tardi la Sindone venne portata al monastero di Santa Chiara ove la badessa affidò a quattro suore la riparazione del telo. Il restauro durò due settimane in cui lavorarono inginocchiate per tutto il tempo e con la costante sorveglianza di quattro guardie che si alternavano giorno e notte. Al termine fu solennemente riportata nella sua Cappella.

La Sindone trasferita a Torino

Nel 1578 Emanuele Filiberto trasferisce la Sindone da Chambery a Torino, nuova capitale del ducato. Ciò avvenne in quanto l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, aveva fatto un voto: se Milano fosse stata liberata dalla peste che infieriva nella città lui avrebbe venerato la Sindone recandosi a piedi a Chambery. Emanuele Filiberto aveva cercato così di alleviare il disagio del lungo viaggio dell’arcivescovo. Nel 1713 il ducato di Savoia divenne Regno di Sardegna ed è del 1717 la notizia di una rara ostensione del Telo Sindonico per celebrare i primi quattro anni di Regno.

Le prime fotografie della Sindone

Arriviamo al 1898 quando in occasione del matrimonio tra Vittorio Emanuele figlio di re Umberto I ed erede al trono, con Margherita di Savoia, l’avvocato torinese Secondo Pia, fotografo dilettante, in occasione di una Ostensione scatta le prime foto della Sindone. Queste foto daranno impulso a studi, ricerche ma anche a polemiche da parti di scienziati. Le cronache ci parlano di 800.000 pellegrini giunti a Torino per venerarla.

1918 La Sindone trasferita in luogo sicuro

I primi bombardamenti aerei suggerirono di proteggere la Sindone trasferendola due piani sotto il Palazzo Reale. Venne riposta in una cassetta avvolta in una pesante tela di amianto messa in una cassa di ferro dentro una cassaforte.

Ostensione del 1931 del 1933 Anno Santo

In occasione del matrimonio dell’erede al trono Umberto, il fotografo professionista Giuseppe Enrie fu incaricato, durante l’ostensione, di effettuare nuove fotografie della Sindone e così nuovamente per l’Anno Santo del 1933.

1939 il trasferimento segreto della Sacra Sindone

Il problema della salvaguardia del Telo si ripresentò nel 1939 alle prime avvisaglie della seconda guerra mondiale. Si decise l’allontanamento della Sindone da Torino, in quanto le industrie presenti nella città, potevano essere oggetto di bombardamenti da parte degli alleati. Si pensò quindi dapprima a un trasferimento in Vaticano, poi nella abbazia di Montecassino (se lo fosse stato sarebbe rimasta distrutta dalle insensate bombe degli alleati), ma il cardinale Maglione con grande lungimiranza e dietro suggerimento papale, decise di portarla nel remoto Santuario di Montevergine presso Avellino.

La notte del 7 settembre 1939 in gran segreto la cassetta della Sindone venne caricata su un treno come un qualsiasi bagaglio e portata a Roma al Quirinale ove venne sistemata nella Cappella reale. Nei giorni seguenti, sempre in gran segreto avvenne il trasferimento al Santuario di Montevergine in un loculo del muro maestro che è contro la montagna. Solo dieci persone furono messe a conoscenza. Nessuno, neppure i frati, seppero di ciò che c’era in quel loculo, solo il Padre Priore lo era.

Sette anni dopo il problema della riconsegna del Telo

Terminato il conflitto, nell’ottobre del 1946, il cardinale Maurilio Fossati che voleva riprendere la Sindone da Montevergine, si trovò davanti a una situazione complessa. Nel verbale di consegna era scritto che: ”tale reliquia verrà restituita appena ne sarà dato ordine da S.M. Il Re Imperatore”. Ma le cose erano cambiate, non c’era più un imperatore né un re, c’era una Repubblica. Vittorio Emanuele III aveva abdicato in favore del Principe Umberto che sconfitto nelle elezioni del 2 giugno 1946 era partito in esilio per il Portogallo. Il 28 ottobre quando la cassa viene recuperata, accertate le buone condizioni, viene riportata a Torino e ricollocata nel suo altare.

1983 muore Umberto II Re d’Italia

L’ex Re d’Italia, proprietario della Sindone muore in esilio. Per testamento la cede a Papa Giovanni Paolo II, il quale dispose che il Telo doveva essere conservato a Torino nel tempo, nominando come custodi gli arcivescovi che si sarebbero succeduti sulla cattedra della Chiesa torinese.

L’incendio del 1997 nel quale la Sindone rischiò di essere bruciata

La Sindone nel 1993 venne trasferita nel Duomo di Torino, dietro l’altare maggiore. Nel 1997 durante lavori di restauro si sviluppò un pauroso incendio e il Telo rischiò di bruciare. Fu messa in salvo da una squadra di Vigili del Fuoco. Nei giorni seguenti una Commissione certificò che il sacro telo non aveva subito danni.           

Intervento conservativo del 2002

Nei mesi di giugno e luglio la Sacra Sindone ebbe un importante intervento in quanto furono rimosse le antiche toppe messe dalle suore clarisse e che coprivano le bruciature del 1532. Le toppe con i secoli erano divenute vere e proprie tasche piene di polveri e frammenti di tessuto carbonizzato che venne rimosso. La Sindone è stata quindi liberata dalla tela d’Olanda che da cinque secoli rinforzava la Sindone. Il restauro ha consentito di effettuare nuovi rilevamenti fotografici e raccogliere frammenti sindonici per nuovi studi.

Ipotesi sulla formazione dell’immagine Sindonica

Dagli esami è stata assolutamente esclusa la presenza di pigmenti ovvero che la tela sia stata dipinta ma non si è a conoscenza di come si sia formata l’immagine sindonica sul telo. In proposito sono state avanzate diverse ipotesi: una irradiazione, un lampo di luce o un fascio di particelle (protoni o neutroni). Nessuno, fino ad oggi, ha spiegato la causa che avrebbe sprigionato questa radiazione. Si è parlato  anche di “effetto corona” ovvero di un particolare tipo di scarica elettrica, ma non è chiaro come questo campo elettrico possa essersi generato.

La statura dell’uomo della Sindone

Sin dai secoli passati si è tentato di misurare attraverso al Sindone la statura del Cristo. Si ha notizia che i Savoia usavano donare agli ospiti dei nastri con lunghezza corrispondente all’altezza dell’uomo della Sindone, 183 cm. Stessa altezza indicata, nel XIV secolo, dallo storico bizantino Callisto Niceforo. Il ché significa che l’altezza dell’uomo della Sindone era significativamente superiore agli standard della razza ebraica dell’epoca.

L’esame medico legale del prof Baima Bollone

Secondo quanto ci ha riferito il prof. Baima Bollone nel suo intervento all’oratorio del Caravita: «La figura impressa sulla Sindone è quella di un corpo crocifisso irrigidito dal rigor mortis (…) il telo fu teso a ponte sul cadavere irrigidito nell’atteggiamento di lieve flessione del capo. Si nota la marcata rigidità dei muscoli mimici e del collo, comprovato dalla posizione del capo permanentemente flesso verso il torace. La rigidità cadaverica è mostrata anche dalle grandi masse muscolari del petto e delle cosce».

«In corrispondenza del cuoio capelluto, si notano numerose impronte puntiformi da cui si dipartono colature di sangue. Ciò identifica che sul capo dell’Uomo della Sindone fu posta una corona di spine. Non si hanno notizie storiche di altri casi di coronazione di spine in crocifissi, ciò avvalora che fu una trovata estemporanea dei soldati per deridere Gesùre dei giudei”. È stato accertato che i chiodi non furono infissi nelle mani ma nel polso, solo così il corpo è trattenuto dallo scheletro e dai legamenti che possono reggere il peso del crocifisso. Un chiodo infisso in questa posizione lede il nervo mediano (si tratta dello stesso nervo interessato dalla sindrome del tunnel carpale) e causa la flessione del pollice. Infatti i pollici dell’uomo della Sindone non sono visibili». I chiodi di ferro, è stato calcolato, avevano una lunghezza di circa 11,5 cm.

Monete sugli occhi

Esaminando attentamente le foto scattate del telo, sono state osservate, in corrispondenza degli occhi dell’Uomo della Sindone, due piccoli oggetti, identificati come monete con coniazioni risalenti al primo secolo.

Si tratterebbe di due monete coniate da Ponzio Pilato negli anni 29-32 e messe sugli occhi del cadavere probabilmente per tenere chiuse le palpebre. Hanno una stretta concordanza cronologica con la sepoltura di Gesù che gli specialisti ritengono sia da collocare al 7 aprile dell’anno 30.

«Il prof. Baima Bollone ha affermato che nei suoi accertamenti ematici sul Telo ha individuato che l’Uomo della Sindone apparteneva al gruppo AB. In Europa, – ha affermato il professore – corrisponde al 5% della popolazione mentre negli ebrei è presente nel 18%. Ancora da chiarire, perché le macchie di sangue sulla Sindone conservano il loro colore originario rosso carminio, mentre le tracce ematiche si anneriscono rapidamente per il degradare dell’emoglobina. La spiegazione potrebbe essere la presenza di aloe e mirra».

Al termine della prolusione, abbiamo chiesto al prof. Baima Bollone se la Tela che ha avuto modo di visionare fosse realmente quella che avvolse il Cristo. «Dopo tanti anni sono fermamente convinto che l’Uomo della Sindone si identifica con Gesù. Tutte le mie indagini sono state successivamente confermate da grandi ricercatori, e sono grandemente soddisfatto di questo».

 

Giancarlo Cocco

Foto © Giancarlo Cocco

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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