25 luglio 1943, cronaca delle ultime ore alla disfatta di Benito Mussolini

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Mussolini

Quando il regime si frantumò come un vaso di coccio

Alle prime luci dell’alba di sabato 10 luglio 1943, preceduta da molti lanci di paracadutisti, un’immensa flotta di navi americane e inglesi si presentò davanti alle coste della Sicilia sud orientale. L’8ª armata di Montgomery sbarcava a Pachino, Avola e Noto mentre la 7ª del generale Patton a Gela, Licata e Scoglitti. L’operazione denominata Husky per la liberazione dell’Europa nazifascisti aveva avuto inizio. La 6ª armata italiana affiancata da forze tedesche cercò di mettere in difficoltà gli alleati. Le truppe dell’Asse riuscirono a bloccare per un po’ le truppe di Montgomery nella piana di Catania mentre Patton dilagava nella Sicilia occidentale. Ben presto la piazzaforte di Augusta si arrese agli Alleati quasi senza combattere.

Il regime entra in agonia

Il 16 luglio i principali gerarchi del Partito fascista, precettati da Grandi e Farinacci, fecero richiesta di confrontarsi con il Duce. Questi, vista la gravità dei fatti accettò la proposta di riunire a breve il Gran Consiglio del Fascismo, che non si riuniva dal dicembre 1939, sei mesi prima dell’entrata in guerra.

Il vertice con Hitler

Il 19 luglio 1943 Mussolini si incontrò con Hitler a Villa Gaggia in località San Fermo di Belluno. Il capo del Terzo Reich arrivò in auto, è pallido in volto, cammina curvo per il vialetto che porta alla Villa e denota notevole ansietà. La grande offensiva che l’armata tedesca aveva avviato in Russia è miseramente fallita. Il Fuhrer inizia a parlare in maniera forsennata reclama più impegno da parte degli italiani, se vogliono aiuti dalla Germania devono mettere più energie nella lotta. Mussolini ascolta un po’ rassegnato e un po’ irritato il soliloquio di Hitler.

Il bombardamento di Roma

Mentre i due sono a Villa Gaggia giunge la notizia che aerei alleati stanno bombardando Roma in particolare il prenestino e il tiburtino. Una mia parente all’epoca ragazza, ora deceduta, che si trovava in visita al cimitero del Verano mi raccontava, che lei e la madre, si erano salvate riparandosi dentro una tomba e che un lato del cimitero fu colpito da una bomba che scoperchiò delle casse di persone già tumulate. «Una visione agghiacciante» ricordava. Era la prima volta che la Capitale veniva colpita dall’inizio della guerra. In quella occasione il Duce cercò di convincere il dittatore nazista a trattare con Stalin ma non vi riuscì, e l’incontro finì con un nulla di fatto.

Il rientro a Roma di Mussolini

Al ritorno in aereo il duce vide da lontano il fumo degli incendi che si levavano su Roma. Oltre cinquecento bombardieri americani scortati da centocinquanta caccia distrussero scali ferroviari e aeroportuali e il quartiere popolare di San Lorenzo. Chi scrive si trovava quel giorno presso l’aeroporto del Littorio, sulla via Salaria in quanto mia madre vi lavorava dal 1938 come centralinista. Non avendo nessuno cui lasciarmi, pur avendo tre anni, mi aveva portato con sé. Ricordo nitidamente che fuggimmo dall’aeroporto a piedi verso Villa Glori e il Flaminio ove abitavo mentre un treno che transitava sulla ferrovia adiacente la Salaria, si trascinava verso la Stazione Termini con alcuni carri merci in fiamme, colpiti dalle  bombe. Delle vittime di quella incursione non si hanno notizie certe, ma le stime variano tra le 1.600 e le 3.000 che persero la vita. Molti i bambini e le donne.

Mussolini in difficoltà

Incapace di farsi ascoltare da Hitler, spogliato dal popolo del carisma che lo aveva accompagnato per anni, sfiduciato dalle classi dirigenti, giovedì 22 luglio 1943, il duce si recò dal re Vittorio Emanuele III, assicurandogli che entro metà settembre avrebbe staccato l’Italia dall’alleanza con Hitler. Solo lui, diceva, poteva convincere il fuhrer ad accettare la fuga dell’Italia dal Patto. Il generale Ambrosio che aveva visto il duce muto e impotente dinanzi a Hitler, insieme ad altri capi militari aveva già progettato di rovesciarlo. Anche il re si stava convincendo che non c’era null’altro da fare. Si venne a conoscenza, in seguito che al momento dell’incontro con Mussolini teneva in tasca una pistola in quanto affermò poi, «con quello non si sa mai come va a finire».

La drammatica seduta di sabato 24 luglio 1943

Iniziato nel primo pomeriggio, il dibattito dell’organo supremo del regime, di cui purtroppo non si ha stesura stenografica – in quanto nessuno la prese – ma si hanno solo testimonianze degli intervenuti, pose all’ordine del giorno la sfiducia a Mussolini. Il dibattito si prolungò fino alle due del mattino del 25 luglio. Mussolini assunse un atteggiamento di uomo rassegnato a uscire di scena. Quando il duce mise ai voti il suo defenestramento – l’ordine del giorno Grandi – raccolse 19 sì su 28 presenti. Tra coloro che lo approvarono: Ciano, che già in precedenza aveva messo in guardia Mussolini dalle mire di Hitler; i due quadrumviri superstiti della marcia su Roma, De Bono e De Vecchi; Acerbo; gli ex ministri De Stefani e Federzoni; il sottosegretario agli esteri Bastianini.

Le dimissioni al re Vittorio Emanuele III

MussoliniDomenica 25 luglio nel pomeriggio il duce  si recò dal re. Sperava forse di trovare una via di uscita, in quanto il voto del Gran Consiglio non era vincolante. Vittorio Emanuele decise di cogliere la palla al balzo. Da tempo non sopportava più il duce, per cui fece scattare l’azione architettata dai militari. Il capo del fascismo venne arrestato, caricato su una ambulanza per non destare sospetti e trasferito in una caserma dei Reali Carabinieri. Alla guida del nuovo Governo furono messe persone fedeli alla corona e il re nominò Badoglio comandante. Alle 22,45 del 25 luglio l’annuncio per radio della svolta, il Partito fascista e la Milizia vennero sciolti. Gli italiani festeggiarono nelle piazze e si accanirono contro i simboli del regime.

Condanne a morte

Per dovere di notizia l’11 gennaio 1944 con l’Italia spaccata in due tra Repubblica di Salò e Monarchia, alcuni degli ex gerarchi fascisti che avevano partecipato alla seduta di sfiducia del Gran Consiglio, Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli, e Carlo Pareschi, dopo un processo svoltosi a Verona dall’8 al 10 gennaio, nella città veneta che all’epoca era sotto la giurisdizione della Repubblica sociale italiana (Rsi) e controllata dai nazisti, furono condannati a morte per fucilazione alla schiena.

Fino all’ultimo Galeazzo Ciano aveva sperato di poter essere risparmiato dal suocero Benito Mussolini. Più volte la moglie Edda era intervenuta con il padre, si era parlato anche di una fuga improvvisa, ma non se ne fece nulla. Alle 6,30 dell’11 gennaio in quella fredda giornata “i traditori” vengono svegliati. I condannati conversano con il cappellano della prigione sino alle 8 quando un capitano tedesco li fa uscire. Le richieste di grazia sono state respinte, indossano cappotti perché l’aria è pungente.

Nel cortile li attende un furgone che velocemente li porta sul luogo della esecuzione. Fanno scendere i condannati, Marinelli è agitato ha 65 anni e soffre di disturbi cardiaci. Ciano, Pareschi e Gottardi sono sereni e anche il vecchio De Bono camminano spediti. Ciano indossa un pastrano color nocciola, dal taschino sporge un fazzoletto candido, si toglie il cappello, un borsalino chiaro, che porge a una persona che gli sta accanto. È elegante, profumato, i capelli imbrillantinati e pettinati con cura.

Tutti vanno alle seggiole, Ciano è l’ultimo a sedersi. I militi gli legano le mani dietro la schiena. Il plotone è pronto, si ode un “Viva l’Italia” si dice che lo abbia gridato Galeazzo Ciano. Si ordina il fuoco e i condannati cadono riversi. Ciano è stato colpito alla schiena, il cappotto nocciola porta macchie di sangue ma il suo volto non è stato deturpato. Caricati su un furgone vengono portati alla camera mortuaria del cimitero. Il 12 gennaio alle ore 16 la sepoltura nel campo nuovo, denominato “campo dei bambini”.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Sergio Lepri, Vistanet, YouTube

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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