European Health Summit, favorire lo spazio comune dei dati per la sanità Ue

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European Health Summit

Con il lancio dello European Health Data Space si punta a favorire la ricerca, l’innovazione e una cornice normativa unica che riduca gli squilibri in Europa

Si è tenuta a Bruxelles la terza edizione dello European Health Summit, il network che riunisce mondo politico, imprenditoriale, accademico e della società civile. Tema principale di quest’anno, lo European Health Data Space e le trasformazioni che questo comporterà nei sistemi sanitari dell’Unione europea. Si è discusso anche di digitalizzazione, cooperazione transfrontaliera, innovazione e prevenzione dalle (possibili) future pandemie.

European Health Data Space

Guillaume BykLo European Health Data Space (EHDS), se adeguatamente applicato, potrà cambiare lo scenario per quanto riguarda l’accesso alle cure in tutta Europa. Sarà necessario armonizzare le regolamentazioni esistenti nei Paesi Ue. «Dobbiamo creare una cornice comune europea per la raccolta e lo scambio dati», afferma Guillaume Byk, funzionario legislativo della Commissione salute e sicurezza alimentare (Sante). Il programma EHDS dovrà ora passare al vaglio del Consiglio europeo e del Parlamento.

Già poco prima del lockdown di marzo 2020, l’Ue stava ragionando su una nuova strategia e su iniziative per facilitare la condivisione dei dati. «Si tratta di stabilire un registro comune tra Stati e organizzazioni», spiega Federico Milani, vice-capo unità Politica dei Dati e Innovazione della direzione generale Cnect. «Come ora si dona il sangue, avremo pazienti che doneranno dati per la scienza, la ricerca, la sperimentazione».

Investire nella prevenzione

Guillaume BykL’approccio “One Health” è una metodologia che interconnette ambiente, umani e animali nella considerazione della salute globale. Biodiversità e integrità degli ecosistemi sono fondamentali. Le varie pandemie, da Sars a Ebola fino al Covid-19 e al vaiolo delle scimmie, hanno visto un salto di specie dagli animali a noi.

Visti gli effetti sociali ed economici drammatici, adottare sistematicamente il One Health è un’urgenza intersettoriale. Si è sottolineata molto la scarsa preparazione medica che tutto il Mondo ha dimostrato quando il virus SARSCoV2 ha iniziato a circolare in maniera massiccia. Si è parlato in misura minore della prevenzione, ovvero del contatto innaturale che spesso c’è tra umani, animali domestici e selvatici. Sono finiti sotto accusa principalmente i wet market, il bracconaggio e il traffico illegale di animali, ma va riconsiderata tutta l’azione di deforestazione per umanizzare l’ambiente. Per questo, preparazione e prevenzione sono due temi differenti ma inscindibili.

Malattie cardiovascolari

European Health SummitLe malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte ed è possibile che nei prossimi vent’anni abbiano un pesante costo sociale sul sistema sanitario. Secondo studi di settore, investire nella salute porterà a un aumento del Pil, è importante quindi stabilire le priorità. Dopo un calo della mortalità fino al 2010, c’è prima stata una stabilizzazione e poi, negli ultimi cinque anni, un aumento.

«La salute riguarda tutti e la collaborazione tra pubblico e privato non è un’opzione, ma il metodo da seguire», dichiara Rifat Atun, docente di Sistemi di sanità globale ad Harvard. «La cosa più triste è che non abbiamo abbastanza dati su come i sistemi sanitari gestiscano la causa di morte primaria. Non è accettabile».

«Dobbiamo riconoscere la sanità come un settore che crea benessere, impiego, innovazione, quindi investirci», aggiunge Dennis Ostwald, Ceo e fondatore dell’istituto WiFOR. Ad ora, la sanità assorbe circa l’11% del Pil europeo.

«La sanità non potrà mai risolvere e prevenire ogni problema, però si possono indirizzare le risorse in maniera sostenibile», continua MarieFrance Tschudin, Ceo di Novartis. Ad esempio, «l’80% delle malattie cardiovascolari sono prevenibili. Molti fattori sono diagnosticabili con un’analisi del sangue, avremmo le risorse ma serve di più. Non è l’intervento di un solo attore che potrà cambiare le cose».

Malattie rare, accelerare la ricerca grazie alla partnership pubblico/privato

European Health SummitI casi identificati ascrivibili a malattie rare sono circa 6-7 mila nell’Ue, ma il 95% di questi non beneficia di una terapia approvata. Per la maggior parte delle patologie, non esiste una ricerca effettiva e le sfide sono enormi. A questo ritmo, si calcola che servirebbero più di cento anni per sviluppare cure per tutte le condizioni. La partnership tra settore pubblico e privato potrebbe velocizzare i tempi, ridurre la frammentazione e ampliare le iniziative per i pazienti.

C’è bisogno di un modello open science, per creare conoscenza da una ricerca scientifica trasparente e accessibile, attraverso network condivisi. Il progresso tecnologico, soprattutto nel campo della genetica, promette grandi miglioramenti per i pazienti e le loro famiglie. Ma in molti casi, le tempistiche sono ancora lunghe e serve un piano strutturato a livello Ue.

Competitività

L’Europa ha perso, negli ultimi tempi, quel ruolo preminente che ha rivestito almeno fino agli inizi del millennio. Serve un nuovo dinamismo che faccia recuperare la competitività, che rimetta l’Ue al centro, nello sviluppo e nell’innovazione.

«20 anni fa un farmaco di nuova produzione su due era europeo. Adesso siamo a uno su quattro», lamenta Roberto Servi, vicepresidente Global Marketing di Eli Lilly and Company. «La metà dei test clinici sull’alzheimer vengono svolti negli Stati Uniti, appena il 20-22% in Ue».

Bilancio del lavoro Ue

European Health Summit«Negli ultimi tre anni, l’Ue ha lavorato come architetto e pompiere», l’analogia usata da Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione per la Promozione dello stile di vita europeo. «Siamo stati pompieri come risposta alla pandemia, lanciando il più grande programma vaccinale di sempre. Allo stesso tempo, abbiamo cercato di fare gli architetti per progettare un sistema che ci consenta di affrontare le sfide del futuro». Rientra in quest’ambito il rafforzamento di agenzie esistenti, come l’Ema, Agenzia europea per i medicinali, e il lancio di nuove come HERA, Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie.

«Abbiamo stabilito nuovi strumenti, come EU4Health, il Cancer Plan, la revisione della legislazione farmaceutica. La combinazione di iniziative mostra che l’Ue è resistente, più di quanto si pensasse». Per anni «abbiamo creduto di poter aggirare i problemi. Siamo l’Ue, siamo ricchi, l’epicentro della democrazia». La pandemia ha cambiato le carte in tavola, «ci siamo accorti che non producevamo mascherine né respiratori, le materie prime venivano importate. È finita l’era dell’ingenuità. Dovevamo iniziare a produrre in Ue, basarci sulle nostre risorse».

La pandemia ha velocizzato il processo, ma il cambiamento «sarebbe stato necessario anche senza di essa. Abbiamo una legislazione farmaceutica tra le più vecchie, pensata venti anni fa. Adesso dobbiamo assicurare nel modo migliore l’accesso ai farmaci e alle cure, riducendo la frammentazione tra i 27 Paesi e tornando a competere con il resto del Mondo».

 

Raisa Ambros

Foto © Euroactiv, GVM, New Scientist

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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