Brescia celebra l’artista Giacomo Ceruti con tre mostre

0
553
Giacomo Ceruti

Nel programma di Capitale italiana della cultura 2023, un tributo al pittore definito “il più avventuroso del Settecento”. Capace nei suoi ritratti di dare pari dignità a nobili e poveri

Siete appassionati d’arte ma il nome Giacomo Ceruti non vi dice nulla? È tempo di venire a Brescia, Capitale italiana della cultura 2023 insieme a Bergamo, per scoprirlo. Qui il grande artista lombardo del Settecento è protagonista assoluto di tre mostre, aperte al pubblico dal 14 febbraio. Quella che segue il percorso umano e artistico di Ceruti (1698-1767) a luglio approderà negli Stati Uniti, dove sarà ospitata dal prestigioso J. Paul Getty Museum di Los Angeles.

L’artista attento agli ultimi

giacomo_ceruti_autoritrattoGiacomo Ceruti (a destra, in un autoritratto) non è un pittore di paesaggi: il suo punto di forza sono i ritratti e la rappresentazione delle figure umane. Nella mostra “Miseria & Nobiltà. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento”, presso il museo di Santa Giulia, lo seguiamo passo per passo, dai primi lavori degli anni Venti, il suo esordio sulla scena artistica, al momento in cui compie quel balzo che lo renderà celebre come il virtuoso degli stracci”. Ad attirare il suo interesse, infatti, sono i ceti inferiori, i poveri e i marginali, che diventano protagonisti assoluti, nei loro gesti di quotidiana semplicità.

Le donne che lavorano al tombolo, filano e cuciono, gli uomini che spillano il vino dalla botte, i ciabattini, i ragazzini portaroli con le loro gerle ma anche i mendicanti. Tutti ritratti con meraviglioso realismo, e con un rispetto che rifugge dal grottesco e dal caricaturale. Guardateli e lasciate che vi guardino: sono persone, i loro sguardi, vecchi di trecento anni, sembrano interrogarci con sorprendente modernità.

Riscoperto solo nel Novecento

giacomo_ceruti_scuola_di_cucitoIl clou della mostra è il Ciclo di Padernello di Giacomo Ceruti, 14 tele a tema pauperista provenienti dalla Pinacoteca Tosio Martinengo (qui a sinistra, “Scuola di cucito”, 1720-1725 circa) e da una serie di prestiti da collezioni private e pubbliche. Per la prima volta sono riunite quasi tutte le creazioni (14 su 16) di questo momento particolarmente felice per il pittore lombardo. Osservando queste opere, anche chi non si intende d’arte può capire che siamo di fronte a un maestro, non a un artista provinciale qualsiasi. Eppure, come spiega la mostra, Ceruti fu a lungo dimenticato dagli studiosi d’arte. Solo la tardiva riscoperta di un suo dipinto, raffigurante una lavandaia, innescò nel Novecento una caccia ai suoi lavori. Alcuni erano stati infatti attribuiti per errore ad altri pittori, come “La ragazza con il ventaglio”.

A Venezia il suo stile si evolve

giacomo_ceruti_vecchio_caneDal 1736 il milanese Giacomo Ceruti diventato ormai bresciano d’adozione soggiorna a Venezia e poi a Padova. Lavorerà per una ricca committenza, in particolare per Johann Matthias von der Schulenburg, austriaco al servizio della Serenissima. Il suo stile si evolve ulteriormente: nei suoi ritratti, figureranno ancora nobili e poveri, acquisendo però maggiore eleganza e raffinatezza (nella foto, “Vecchio con cane”, 1740-1745 circa). In ogni momento della sua carriera, Ceruti si relaziona con altri artisti italiani ed europei del Settecento: i curatori della mostra hanno selezionato delle opere precedenti o coeve per consentire un utile confronto.

L’importanza delle stampe

La seconda mostra, “Immaginario Ceruti. Le stampe nel laboratorio del pittore” presenta il repertorio grafico di respiro europeo a cui l’artista attingeva. «Ceruti, come i suoi contemporanei, usava le stampe per integrare le sue invenzioni», commenta Roberta D’Adda, co-curatrice di entrambe le mostre. «Ci raccontano la cultura di un pittore». Insomma, per la prima volta è come entrare nel suo atelier per scoprire che cosa usava per ispirarsi. La mostra si trova sempre a Santa Giulia e completa il viaggio nel mondo di Giacomo Ceruti.

Inedito dialogo Ceruti-LaChapelle

lachapelle_gated_communityA Giacomo Ceruti e al suo interesse per il mondo dei diseredati si ricollega l’ultima sorpresa che attende il visitatore. La Pinacoteca Tosio Martinengo, che conserva ben 17 opere di Ceruti, ha fornito alcune di esse – in particolare, quelle del Ciclo di Padernello – alla mostra, che chiude a maggio per poi partire per Los Angeles. Il direttore Stefano Karadjov si è domandato che cosa offrire, al posto loro, al pubblico. È nata così l’idea di coinvolgere David LaChapelle, commissionandogli un’opera che entrasse a far parte delle collezioni.

Il progetto, curato da Denis Curti e intitolato “David LaChapelle per Giacomo Ceruti. A nomad in a beautiful land”, è ospitato in un’ampia sala del museo. Oltre alla serie “Jesus is My Homeboy” (2003), campeggia sulla parte centrale l’opera Gated Community” (nella foto). «In prossimità del Los Angeles County Museum of Art (LACMA), che ha raccolto 750 milioni di dollari di donazioni per le sue attività e dove il parcheggio costa 20 dollari al giorno, c’è una tendopoli di homeless», commenta Curti. Aggiunge Karadjov: «Sono 70 mila i senza tetto nella metropoli, risultato della crisi economica e della dipendenza da oppioidi. Queste zombietown crescono in contaminazione con i luoghi più prestigiosi».

Una società sempre più diseguale

lachapelle_tosio_martinengo_bresciaLaChapelle reinterpreta l’attenzione di Giacomo Ceruti agli ultimi ricreando delle tende in laboratorio con tessuti d’alta moda delle griffe, posizionandole nella tendopoli e fotografando quest’immagine surreale. Tutte le tende realizzate per l’operazione sono poi state donate agli indigenti. Come in una macchina del tempo, l’artista americano ci porta dal Settecento al XXI secolo, dove le disuguaglianze polarizzano sempre di più la società contemporanea. Una città come Brescia, che attualmente ospita più di 140 nazionalità – ha ricordato Francesca Bazoli, presidente della Fondazione Brescia Musei – ha nel suo Dna la capacità di accogliere. Di guardare agli emarginati provando empatia. Come fece Ceruti, come fa LaChapelle.

 

Maria Tatsos

Foto © Adicorbetta

Articolo precedenteTerremoto Turchia-Siria, sale il bilancio dei decessi
Articolo successivoL’auto elettrica spalanca le porte a Pechino
Maria Tatsos
Giornalista professionista, è laureata in Scienze Politiche e diplomata in Lingua e Cultura Giapponese presso l'IsiAO di Milano. Attualmente lavora come freelance per vari periodici femminili, collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e con il Centro di Cultura Italia-Asia. Tiene corsi di scrittura autobiografica ed è autrice di alcuni libri, che spaziano dai diritti dei consumatori alle religioni asiatiche. È autrice del romanzo storico "La ragazza del Mar Nero" sulla tragedia dei greci del Ponto (2016) e di "Mai più schiavi" (2018), un saggio su Biram Dah Abeid e sulla schiavitù in Mauritania, entrambi editi da Paoline. Nel tempo libero coltiva fiori e colleziona storie di giardini, giardinieri e cacciatori di piante che racconta nel corso "Giardini e dintorni".

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui