16 Ottobre 1943 – Storia e memorie del sabato nero

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16 Ottobre 1943

80 anni fa la tragedia nel ghetto, il rastrellamento e la deportazione di uomini, donne, anziani e bambini

Specialmente quest’anno, con un centinaio di ebrei catturati da Hamas in Israele e portati prigionieri nella striscia di Gaza dovremmo rileggere le quaranta pagine, definite da Natalia Ginzburg “splendide e brevi”, del libro di Giacomo Debenedetti che rievocò la deportazione nazista degli ebrei del ghetto di Roma il 16 ottobre del 1943.

La preparazione della razzia

Herbert Kappler, capo della Polizia di Sicurezza, nonché il comandante della Piazza di Roma, Rainer Stahel, avevano ricevuto l’ordine da Himmler di preparare la razzia sin dal settembre del 1943. Invano sia Kappler sia il reggente dell’ambasciata tedesca Eitel Moellhausen sia il comandante della Wehrmacht Kesserling avevano tentato di rimandarla, proponendo ai vertici della polizia del Reich di impiegare gli ebrei nei lavori forzati, come era avvenuto in Tunisia, anziché “liquidarli” deportandoli nei campi di sterminio. A Berlino i vertici risposero che la disposizione diretta di Hitler era di deportare “gli 8.000 ebrei di Roma”. Di questo ordine perentorio gli alleati vennero a conoscenza subito tramite l’OSS statunitense (Office of Strategic Services) che aveva infiltrato un diplomatico tedesco, Fritz Kolbe (1900-1971), che faceva da collegamento tra il ministero degli Esteri e la Wehrmacht e collaborava con gli alleati.

La compilazione degli elenchi

Furono compilati elenchi di persone da arrestare, con l’aiuto di poliziotti italiani che però tentarono di sabotare la retata, mettendo insieme indirizzi di persone che abitavano lontani l’uno dall’altro e avvertendo alcuni ebrei romani dell’imminente pericolo. Fu Stahel quindi a mettere a disposizione oltre 300 uomini delle SS che si trovavano a Roma per sorvegliare le strade di accesso alla “Città aperta”, ma anche in Piazza San Pietro sulla linea bianca che limitava il territorio della Città del Vaticano da quello italiano, erano anche all’ingresso di Regina Coeli il carcere di via della Lungara. Una unità di questa Polizia, si ha notizia, aveva preso alloggio nel convento del Monastero della Visitazione in via Salaria 227.

Pio XII sapeva di quello che si stava preparando?

Il 9 ottobre del 1943, esattamente sette giorni prima della razzia degli ebrei al ghetto, l’ambasciatore tedesco fu ricevuto in udienza dal Papa. Era a conoscenza l’ambasciatore di ciò che sarebbe avvenuto? E cosa disse al Papa?. C’è un dibattito storiografico su questa udienza. Manca un verbale del colloquio sia di fonte vaticana che tedesca. Non c’è alcuna documentazione dalla quale si potesse evincere che Pio XII fu messo a conoscenza della razzia.

Il conteggio

Il 16 ottobre del 1943 l’azione di rastrellamento iniziò alle 5,30 di mattina e si protrasse fino alle 14 e portò alla cattura di 1.265 persone, che furono ammassate tutte nel Collegio militare di via della Lungara, a poche centinaia di metri dal Vaticano. Alcuni poi liberati perché non ebrei. Secondo le ultime ricerche il numero di coloro che furono coinvolti nell’arresto ammonta a 1.018, sono compresi Caterina Milani, non ebrea che assisteva l’invalida Enrichetta De Angeli e che non la volle lasciare e altre due persone, Samuele Valbrega e Sofia Soria, che morirono durante l’arresto. Al Collegio Militare, ove tutti furono trasportati, si aggiunse Isacco Sermoneta che non fu arrestato ma si consegnò alle SS per seguire la moglie Pacifica Efrati e le tre figlie. Durante la prigionia, in quelle ore Marcella Perugia partorì un e bambino.

Il 18 ottobre 1943 tutti furono portati alla stazione Tiburtina e messi in 18 carri merci, 56 in ogni vagone senza distinzione di uomini donne e bambini. A queste persone si aggiunsero sul treno diretto ad Auschwitz Massimo Darmon, arrestato il 20 settembre, e 16 Ottobre 1943Costanza Sermoneta che salì sul treno per seguire il marito Eugenio Calò. In seguito si è venuti a conoscenza che solo il 43% degli ebrei deportati, provenivano dalla zona del ghetto, altri furono rintracciati in altri quartieri di Roma, Prati, Flaminio, San Saba. In quest’ultimo sempre nell’ottobre del 43, avvenne un incidente molto grave a opera della soldataglia germanica del quale non vi è traccia nei giornali dell’epoca in quanto rimasto segreto. Si tratta dell’aggressione subita dalla sorella del Papa Pio XII, che poteva essere abilmente sfruttata dalla Santa Sede.

Solo 16 ritornarono a vita normale

La Villa Pacelli a San Saba, un pomeriggio, fu assalita dalla soldataglia teutonica e fu ucciso anche un dipendente della principessa. Furono rubati molti oggetti preziosi finché la stessa sorella del Pontefice, per fermare gli aggressori, donò loro bottiglie di liquori con le quali riuscì ad allontanarli. Questo episodio è stato raccontato da un appartenente dell’Ovra – la polizia segreta fascista – in un suo rapporto poi ritrovato. Il Papa ordinò che del fatto nulla doveva trapelare. Ritornando ai deportati del 16 ottobre 1943, solo 16 ritornarono alla vita normale.

I non ebrei liberati

Nel pomeriggio del 16 ottobre dal Collegio Militare vennero liberati 252 tra gli arrestati. Si trattava di vari non ebrei arrestati erroneamente quella mattina in vari quartieri di Roma, e di componenti di famiglie miste. È il caso della famiglia Foligno. Dario Agostino Foligno era un avvocato della Sacra Rota capo di una famiglia “mista”, che si ipotizzò fosse stato liberato grazie all’intervento diretto di Padre Pfeiffer nei confronti degli ufficiali nazisti. I tedeschi avevano avuto direttive precise, non dovevano essere deportati i nati damatrimoni misti e i coniugi di ariani”. Comunque quel giorno furono liberate 29 persone dal Collegio Militare.

La linea prudente del Vaticano

C’è da ricordare ai lettori che più volte, in quei mesi, la Santa Sede fu accusata dai tedeschi di trattenere in Vaticano e in aree extraterritoriali, come conventi e parrocchie, rifugiati politici, renitenti alla leva e militari, ma anche ebrei. La Chiesa si presentava quindi come un luogo di asilo per chi era in pericolo di vita. La Santa Sede dovette adattarsi a una prassi di contatti con le autorità tedesche che avevano il coltello dalla parte del manico, insomma una sorta di “concordato privato”. Il clero quindi si impegnava a far rispettare l’autorità costituita pur animando clandestinamente una vasta attività di accoglienza a favore dei perseguitati, e i tedeschi si impegnavano a rispettare gli ambienti ecclesiastici mantenendo l’ordine pubblico.

Il punto debole dell’accordo era la presenza in Roma, Città aperta, delle SS che avevano una certa libertà d’azione rispetto al comando militare ed erano restie ad accettare compromessi o “concordati privati”. Una radicalizzazione dei contrasti avrebbe rotto l’equilibrio, dando spazio alla resistenza armata. Questo aiuta a capire la prudenza con cui il Vaticano si trovò a muoversi riguardo la questione degli ebrei. Pio XII, comunque, non rinunciò ad agire su diversi piani: quello diplomatico, formale e informale; quello clandestino per venire incontro ai perseguitati in pericolo di vita.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Mosaico-cem, Biblioteche di Roma, Anpi Lissone

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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