Giorno della memoria. Storia di Don Emilio Recchia

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Una luce nella tenebra nazista si prodigò per salvare donne, bambini e perseguitati. Per il “Giusto fra le nazioni” è in fase avanzata il processo di beatificazione cattolico

A Roma, in via Guido Reni, nel quartiere Flaminio, a trecento metri da Ponte Milvio, è operativo da qualche anno il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Il complesso, che è accanto alla Basilica di Santa Croce, durante la Seconda Guerra Mondiale era sede della caserma Montello. Non molti sono a conoscenza che nel periodo dell’occupazione nazista a Roma dopo l’8 settembre del 1943 e fino al giugno del 1944 la basilica fu rifugio sicuro per centinaia di ebrei.

Fu Don Emilio Recchia, Padre stimmatino, di cui è in corso il processo di beatificazione e parroco di Santa Croce, ospitò a rischio della propria vita in alcuni locali segreti della chiesa una nutrita comunità ebraica salvandola dalla deportazione. Don Emilio, con l’ausilio di sette sacerdoti, aprì le porte della Chiesa a tutti coloro che si sentivano in pericolo. Si raggiunsero i duecento ospiti, si trattava di borghesi, uomini politici ed ebrei che avevano abbandonato le loro case per sfuggire ai campi di concentramento e alla morte.

C’erano anche alcuni ufficiali del disciolto esercito italiano, tra cui quattro generali. Don Recchia con tutti i suoi “ospiti” si mise d’accordo per un sistema rapido di allarme in caso di pattuglie naziste. L’organista della chiesa come per la prova di una cerimonia avrebbe cominciato a suonare l’Ave Maria di Gounod. Un certo imbarazzo vi fu un giorno quando una coppia di sposi voleva celebrare le nozze con quella musica sacra. Furono dissuasi quando Don Recchia disse loro che non aveva lo spartito.

Per nascondere gli ebrei e gli altri c’erano altarini portatili che venivano disposti davanti alle porte che immettevano nei cameroni dove alloggiavano coloro che erano nascosti. Sopra il locale dell’organo era stato ricavato un ballatoio riempito di paglia che offriva un dormitorio sicuro immediatamente sotto il tetto della chiesa. In quell’intercapedine erano sistemati altri letti. Erano i posti più sicuri perché in caso di allarme si poteva fuggire sui tetti delle case intorno. Coloro che invece alloggiavano più in basso, in caso di allarme avevano piccoli rifugi dietro a quadri sacri.

Un momento drammatico si ebbe quando a seguito di una delazione vi fu una irruzione di nazisti nella Chiesa. Don Emilio Recchia in un estremo tentativo di difesa, alla presenza di alcuni ebrei che, inginocchiati fingevano di pregare, salì sul pulpito e con la sua voce stentorea si scagliò contro «coloro che violavano la Casa di Dio» e disse: «fate il vostro dovere come lo facciamo noi ma rispettate la chiesa e andatevene senza profanarla». Si accese una discussione tra gli stessi invasori e poco dopo se ne andarono.

Don Emilio Recchia era nato a Verona nel 1888 ed è scomparso il 27 giugno del 1969. Entrato nella congregazione degli Stimmatini a 15 anni divenne sacerdote nel 1911 e dopo varie esperienze pastorali fu inviato nella parrocchia romana di Santa Croce al Flaminio. C’è comunque un Santo che pur non avendo mai incontrato Don Emilio sapeva tutto di lui; era San Pio da Pietralcina che talvolta, quando si imbatteva per le confessioni o per consigli con fedeli provenienti da Santa Croce al Flaminio, rispondeva loro con il suo modo burbero: «ma perché non andate dal vostro Don Emilio ?».

Nel 2014 Yad Vashem l’istituto israeliano per la commemorazione dei martiri e degli eroi dell’olocausto ha assegnato ai parenti di Don Emilio Recchia e a quelli di Padre Alberto Tambalo che fu suo vice nella stessa basilica in quel periodo, la medaglia di “Giusto fra le nazioni” alla memoria. Per Don Emilio Recchia è in fase avanzata il processo di beatificazione e l’attuale parroco spera di portare a Roma i resti di questo Santo Sacerdote che in piena invasione nazista, si prodigò con coraggio e profonda umana solidarietà nel salvataggio di tante famiglie ebree e perseguitati.

C’è infine da aggiungere che nel periodo nazista nella zona del Flaminio era presente uno spolettificio per la produzione di ordigni bellici  e la caserma Montello che inglobava la basilica di Santa Croce, secondo documenti storici, doveva essere bombardata dagli americani. La cosa non  avvenne e si ipotizza che il Vaticano, a conoscenza di chi si nascondesse  nella basilica, avesse avvertito gli alleati che rinunciarono al lancio delle bombe.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Wikicommons

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

1 commento

  1. Molto esemplare ed interessante Sono stato per anni un parrocchiano di Santa Croce al Flaminio ma non conoscevo questo storico precedente e la figura di don Emilio. Grazie per la pubblicazione

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