«Un luogo simbolo in ogni comune bene riconosciuto dall’Europa»

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Salvatore De Meo, membro del Comitato delle Regioni e vicepresidente Anci Lazio presenta il suo progetto per le prossime elezioni comunitarie

Dal 2010 sindaco di Fondi, di cui precedentemente era stato assessore all’Urbanistica e Assetto del Territorio, Salvatore De Meo è dal 2015 un membro (componente effettivo) del Comitato europeo delle Regioni (CdR) a Bruxelles nelle fila del Ppe, Partito popolare europeo. Nell’istituzione che rappresenta gli enti locali comunitari segue le commissioni Politica economica (Econ) e Risorse naturali (Nat). Avvocato, 48 anni, dal 2014 è eletto consigliere nazionale Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) oltre a essere vicepresidente vicario per la regione Lazio. Si candida alle elezioni della prossima settimana come parlamentare europeo nelle liste di Forza Italia.

Lei fa parte del Comitato delle Regioni a Bruxelles, in che modo gli enti locali possono influenzare il processo decisionale delle istituzioni europee?

«Innanzitutto portando le proprie esigenze, che sono le esigenze dei cittadini che amministriamo. Questa articolazione delle istituzioni europee è sicuramente un modo per garantire la partecipazione degli enti locali. Anche se, a mio modesto avviso, in alcuni temi gli enti locali dovrebbero avere un maggior peso, perché sapete benissimo che i pareri del Cdr, il Comitato delle Regioni, sono pareri preventivi ma non vincolanti. Questo significa che pur avendo, in molti casi, dato delle nostre indicazioni purtroppo non sempre queste trovano corrispondenza nel testo definitivo, sebbene ci siano delle attività di follow-up che vengono ovviamente fatte in collaborazione con il relatore del Parlamento europeo. Io credo che in Europa c’è bisogno di più territori in modo tale che l’Europa possa rigenerare questo grande progetto, che parta dal basso e quindi il basso significa amministratori locali».

In che modo lei personalmente ha contribuito? E quali istanze ha portato dal suo territorio?

«In generale nel Comitato delle Regioni abbiamo condiviso tante linee. La cosa che mi ha sorpreso positivamente è che quando si è in Europa bisogna fare squadra. Quindi la delegazione italiana pur provenendo da diverse sensibilità ha saputo trovare la linea d’intesa su molti temi. Sulla politica agricola comunitaria, sulle fake news, sul tema dell’immigrazione, per esempio, dove noi enti locali avevamo sempre suggerito che su le politiche europee di integrazione si sarebbe dovuto condizionare l’intervento dell’Unione europea affinché tutti gli Stati avessero la loro quota e chi rifiutava avesse dovuto rinunciare ai fondi strutturali. Questo sarebbe stato un elemento dilaniante delle politiche di integrazione perché bisogna fare in modo che l’Europa prenda a cuore quelle che sono le esigenze di alcuni Paesi di frontiera e non vengano poi scaricate solo su alcuni. E in questi sono poi gli enti locali quelli che pagano il prezzo più alto perché tutto ciò che succede sui territori si scarica inevitabilmente sulle politiche degli enti locali che pur non avendo, spesso, competenze e strumenti sono però chiamati a rispondere nei confronti dei cittadini».

Entrando un po’ nel tema delle elezioni, le prossime saranno decisive come spartiacque tra una posizione cosiddetta europeista e una più sovranista. Cosa pensa che cambi? E in che modo?

«Io credo che le prossime elezioni saranno effettivamente il momento in cui bisognerà far prevalere il senso di responsabilità. L’Europa è un grande progetto, un grande spazio culturale prima che fisico all’interno del quale abbiamo riscoperto tante opportunità, ma ci sono state anche delle criticità che vanno affrontate. Io non credo che isolarsi o rivendicare una maggiore capacità di autodeterminazione, cosa che in gran parte abbiamo già fatto nei singoli Stati ma non sembra che alcuni di questi, tra cui anche l’Italia, abbia saputo gestire al meglio questa capacità di autodeterminazione. Non credo che l’isolamento sia la soluzione migliore, bisogna invece recuperare credibilità. L’Europa deve mettersi in discussione, deve avere la capacità di rivedere tutto ciò che è stato fatto in termini positivi, ma anche in termini negativi. Il Partito popolare europeo, in cui confluisce Forza Italia, credo che sia la prima forza che debba fare questo sforzo di rilettura, di critica interna per migliorare ancor di più e per realizzare a pieno il progetto europeo che, ovviamente, nella lettura del “manifesto di Ventotene” credo che possa senz’altro migliorare e dare ai cittadini la vera percezione di sentirsi appartenenti a una comunità, a una Unione europea. Ovviamente i nazionalismi, i sovranismi, la loro sommatoria sicuramente non sarà una maggior risoluzione, ma sarà un’ulteriore divaricazione tra Paesi interni e questo non ce lo possiamo permettere perché i nostri competitors non sono sicuramente gli Stati europei ma sono tutto ciò che sta al di sopra delle nostre prospettive e quindi guardiamo all’Africa, all’America, all’Asia, alla Russia. Queste sono le vere sfide per cui l’unione fa la forza non è un luogo comune ma è veramente la consapevolezza che dobbiamo acquisire per poter affrontare le sfide del futuro».

Adesso ci accingiamo ad andare a votare con una Brexit mai attuata. A suo parere queste elezioni possono essere considerate illegittime data la presenza, per pochi mesi ancora del Regno Unito?

«Ma no, non credo che si debba portare a un formalismo questo momento di transizione che è evidente rappresenta una scelta isterica ed emotiva che gli inglesi hanno voluto fare. Emotività che anche in Italia aveva preso il sopravvento, è stata una scelta non ponderata. Io immagino che loro abbiano molto ripensato ad una scelta che non vede nemmeno la concretezza di un accordo che vada a tutelare tutti coloro che vivono in Europa, tra cui molti italiani, che nel caso in cui dal mese di ottobre prossimo si dovessero raggiungere i termini dell’accordo saranno considerati extracomunitari, perdendo tutte le agevolazioni, andando loro ad essere considerati una diversità, cosa che non ci possiamo permettere, abbiamo invece il dovere di far capire che bisogna ancor di più andare a consolidare il progetto europeo, magari anche allargarlo. Ci sono molti Paesi in attesa di essere valutati per il loro ingresso. Io andrei con prudenza su questi nuovi ingressi, soprattutto perché dobbiamo prima recuperare delle criticità interne. Dobbiamo mettere a punto questo progetto europeo, renderlo veramente efficiente, iniziare ad armonizzare le regole in tutti gli Stati, affinché ci siano uguali, identiche opportunità di sviluppo per tutti i cittadini. Solo in questo modo, i nostri cittadini, i nostri imprenditori si sentiranno parte di questa comunità».

Data la sua candidatura alle elezioni come parlamentare europeo quale sarà la prima cosa che si propone di fare una volta eletto?

«A me piacerebbe lanciare una provocazione, affinché in ogni comune di tutti gli Stati membri venisse individuato un luogo simbolo che possa portare alla richiesta di bene riconosciuto dalla comunità europea. Perché così i cittadini, ogni qual volta che andranno per imbattersi in questo luogo, scelto dai cittadini per i cittadini, gli amministratori locali non dovranno che proporre l’individuazione di un luogo simbolo. Nella mia città c’è il castello, in tanti altri luoghi ci può essere un sito naturale, una strada, un monumento, un personaggio, io credo che si debba far si che quel sito, quel monumento possa essere riconosciuto sito di interesse comunitario, con la possibilità anche di dare ai territori una risorsa per poter ulteriormente valorizzare e poter far si che i territori si sentano, veramente parte integrante dell’Unione europea. È una provocazione, ovviamente, perché se l’Europa vuole rimettersi in discussione deve partire dal basso. “Noi siamo l’Europa”, questo è un mio luogo simbolo di questa campagna elettorale per far capire che noi abbiamo il dovere di far sentire i nostri concittadini cittadini europei. “Noi siamo l’Europa” significa che bisogna mettere in condizione i cittadini di poter dare anche il loro contributo e di poter acquisire questa mentalità perché soltanto in questo modo possiamo affrontare le vere sfide, e ce ne sono molte che sicuramente non sempre vengono centrate perché il dibattito è solito distogliersi con alcune leve psicologiche che fanno leva, appunto, sulle paure, sulle fragilità, cosa che invece andrebbero affrontate con maggiore senso di responsabilità e soprattutto con maggiore moderazione e prudenza. Questo è l’appello che faccio sempre e comunque a tutti i livelli istituzionali, i temi attuali vanno affrontati con credibilità e autorevolezza, che è cosa ben diversa dall’autorità».

 

Ginevra Larosa

Foto © Città di Fondi

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