Se il successo di Yatsenyuk non è una buona notizia per l’Ue

0
307

Il dopo-elezioni in Ucraina: la netta crescita dei nazionalisti complica i rapporti di forze con Ue e Russia

La coalizione moderata legata al presidente Petro Poroshenko non sfonda, il Fronte Popolare, lo schieramento nazionalista guidato dal premier Arseni Yatsenyuk, sì: è questo il risultato che emerge dalle elezioni tenute in Ucraina domenica scorsa, le prime dopo la rivolta di Piazza Maidan che ha deposto l’ex presidente russofono Yanukovic. Pur non ottenendo la maggioranza relativa dei seggi alla Verkhovnaja Rada, Yatsenyuk si aggiudica moralmente la consultazione e assesta un bel colpo al suo alleato di governo Poroshenko, ridimensionandone non poco le aspirazioni di vero leader dell’Ucraina. E pensare che queste elezioni anticipate, che servivano a dare al Paese un nuovo potere legislativo che rispecchiasse gli equilibri del dopo-Yanukovic, nelle intenzioni dello stesso Poroshenko dovevano anche rafforzare il suo schieramento a danno dei nazionalisti del Fronte Popolare e del Partito Radicale, ma anche degli estremisti dell’ultradestra di Svoboda, che all’interno del governo provvisorio nato lo scorso inverno avevano acquisito un ruolo troppo ingombrante e imbarazzante.

Se n’era accorto il presidente ucraino. L’aveva provato sulla sua pelle,  quando a settembre la sua proposta pacificatrice di concedere ai russofoni uno status speciale (peraltro respinta da Donetsk e Luhansk) fu duramente contestata dai neonazisti di Pravij Sektor e di Svoboda, a cui Yatsenyuk con troppa leggerezza a febbraio aveva schiuso le porte del governo e delle forze di sicurezza:  sui rapporti con la minoranza russofona il Primo Ministro sembra concordare con l’ultradestra. Putin ha certo le sue colpe per aver alimentato l’incendio che dallo scorso inverno divampa nell’Ucraina sud-orientale, ma l’innesco è inequivocabilmente opera di questo quarantenne con la faccia di un nerd da college americano.

È stato Yatsenyuk, appena giunto al potere assieme al suo compare Turchinov, a firmare il decreto che revocava il bilinguismo in Ucraina e ad annunciare una imminente e radicale riforma delle autonomie locali, finalizzata a revocare privilegi agli odiati russofoni del Donbass, feudo elettorale di Yanukovic. Una decisione, lontana chilometri dai principi liberali ed europeisti ostentati (neanche più di tanto) durante le proteste di Euromaidan, che altro risultato non ha avuto se non quello di risvegliare i mai sopiti istinti secessionisti tra i russi della Crimea e di generarne di inediti tra gli ucraini russofoni del Donbass. Perchè in sostanza l’europeismo di Yatsenyuk è così annacquato di retorica nazionalista e revanscista che sembra una copia di quello dei gemelli Kaczynski nella Polonia di metà anni Duemila, o, per restare nell’attualità, di quello del premier ungherese Viktor Orban.

Le cancellerie occidentali plaudono alla vittoria in Ucraina del “fronte comune europeista ed occidentale”, i media parlano di “chiara scelta europea del popolo ucraino”: se di scelta verso l’Europa si tratta, tanto chiara poi non sembra. Le forze nazionaliste, più o meno moderate, hanno ottenuto un consenso inatteso, e non ci vuole molto a capire che ciò si ripercuoterà sulla tenuta del sopracitato fronte filo-occidentale, che ad oggi si regge sopratutto per la presenza del comune nemico russo.

Il premier ucraino è cresciuto politicamente  sotto l’ala protettrice di Julija Timoshenko e del suo clan di affaristi e oligarchi. Ne aveva sposato la causa nazionalista non perchè ci credesse davvero, ma perchè aveva capito che gli slogan antirussi e la treccia tradizionalista della bella Julija potevano significare un consenso popolare enorme tra l’elettorato ucraino. Negli anni della carcerazione della sua mentore ha saputo far fruttare bene il capitale politico affidatogli, fatto di agganci politici in patria e accrediti internazionali all’estero. Giochi di potere dai quali Poroshenko si era (o era stato) tenuto lontano: anch’egli protagonista della Rivoluzione Colorata del 2005, si vide infatti scippare dalla stessa Timoshenko la premiership che sembrava invece certa, considerato il suo sostegno finanziario alla campagna elettorale del presidente Yushenko.

Frizioni che si sono materializzate anche nei mesi di governo insieme, soprattutto nei rapporti verso Mosca, a cui il presidente ucraino ha spesso teso la mano mentre il Primo Ministro denunciava improbabili invasioni militari russe delle regioni orientali. Per non parlare poi dell’eterno contenzioso  sul gas, che Poroshenko è ormai riuscito a risolvere attraverso la trattativa con Mosca usando come “sponda” l”Ue, mentre Yatsenyuk – con una provocatoria norma di legge – decideva di aprire la gestione dei gasdotti ucraini agli investitori esteri, purchè non fossero russi.

Il matrimonio d’interesse tra Yatsenyuk e Poroshenko è atteso a prove di convivenza difficili: in base a ciò, al di la delle parole di circostanza, è davvero difficile ritenere che l’Europa possa ritentersi soddisfatta di come sono andate le elezioni in Ucraina.

Alessandro Ronga

Foto © European Community 2014

Articolo precedenteTurismo, Franceschini: «Principio inscindibile del turismo culturale come vera vocazione europea»
Articolo successivoSi chiude a Roma la V edizione del Festival della Diplomazia
Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui