Vita, arte e follia di Vincenzo Gemito, ’o scultore maledetto

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La casa editrice Neri Pozza pubblica il romanzo di Wanda Marasco sul grande artista napoletano

Artista dalla personalità apocalittica, intimamente scisso come il dott. Jekyll e Mr. Hyde, Vincenzo Gemito, ’ o scultore maledetto, è il protagonista del nuovo romanzo di Wanda Marasco, edito da Neri Pozza, già finalista della prima edizione del concorso letterario promosso dalla stessa casa editrice. Ci imbattiamo in lui mentre è appena fuggito dal manicomio di Villa Fleurent, «intrappolato in una notte soggettiva», preda di un male misterioso e terribile. Come tutti i grandi outsider, da Friedrich Hölderlin al Rosso Fiorentino, da Vincent Van Gogh a Dino Campana, Gemito emana una forza devastante, persino nel ristretto esilio del manicomio dove è stato trascinato a forza.

Temperamento irrequieto, naturalmente attratto dall’arte teatrale che pratica anche nelle mura dell’istituto, ricorda un poco certi personaggi di Thomas Bernhard, persi nei labirinti tormentati delle loro anime e nella contemplazione di improbabili spettacoli (e infatti proprio una citazione dello scrittore austriaco campeggia all’inizio del romanzo, accanto ad una frase di Eduardo De Filippo che marca la napoletanità della materia narrata). Ad un certo punto si mette a scassare il teatro, facendo ruotare all’impazzata il meccanismo della giostra. Sin da fanciullo l’irrequieto genio sente la fascinazione dell’arte circense, l’ardita temerarietà degli acrobati e la violenza bruta delle fiere. I pazzi, d’altronde, fanno paura come le bestie feroci. Egli stesso si definisce triste e posseduto, segnando la propria alterità rispetto al mondo esterno.

Riemerge all’improvviso dalla segregazione forzata come da un buco nero. La famiglia lo accoglie con un misto di sollievo e timore. «Gemito quel giorno non uscì dalla stanza. E per vent’anni non uscì di casa», una notazione che ci fornisce la misura della portata abissale della sua malattia. Scarno e inquieto appare come un eremita, restituito all’arte per inseguire l’utopia estrema.

13_50_are_f1_989_a_resize_597_334Gemito è pazzo per eccesso di forza generatrice, come recitano gli appunti del dottore. La sua immagine biancheggia e si raddoppia negli specchi, frantumata in innumerevoli schegge che ne riflettono le fattezze sbagliate e terribili. «Succede ca uno fernesce dint’a nu specchio e nun se trova», dice l’artista cercando di cavare le proprie fattezze in uno sforzo sovrumano. L’autoritratto diviene un esercizio continuo e solitario, un frugare caparbio negli enigmi.

Il caso gli impone un nome che significa dolore. Si doveva chiamare Genito, ovvero nato, ma l’errore nel registro appare come un segno del fato. Il piccolo Gemito viene deposto nella ruota dell’Annunziata, affidato alle cure di Giuseppina Baratta, che ha appena perso un figlio. «Per te c’è stato un genio, il genio dell’abbandono, Vicie’. Perché, se non ti abbandonavano, tu forse non saresti mai diventato Gemito, il grande scultore Vincenzo Gemito!», gli dice l’amico Cangiullo.

Frammenti di memoria vorticano nell’animo del protagonista, sferzando la narrazione come una pioggia violenta. Vediamo così Mastro Ciccio, il mite e caro patrigno, o ancora Mathilde Duffaud, amante dell’artista e vittima dei suoi instabili umori, destinata a morte precoce. Ci sono poi la moglie Nannina, pallida e malinconica, costretta ad un quotidiano calvario della sopravvivenza, e la figlia Peppinella, la coscienza che tiene a freno l’oscurità incombente, il rigore morale posto come argine al caos.

Seguiamo il suo apprendistato, la nascita prepotente della sua forza creativa. Vediamo prendere forma le sue opere più note, come il busto di Giuseppe Verdi. All’inizio i due si scrutano come da una grande lontananza. Il musicista pare una sfinge impenetrabile. Poi, all’improvviso, ecco nascere il capolavoro. «Vicienzo c’era riuscito. Dopo giorni di abbattimento aveva creato il pensiero nel bronzo, la sintesi tra genio e concentrazione nella fronte del Maestro, colta mentre si abbassava sulla partitura diventando quello che era, movimento delle idee, movimento intimo in posa titanica».

Lo scenario è quello di una Napoli che «faceva storia a parte, era n’atu paese, con regole di usurpazione e miserie». Una città esagerata dove il mistero striscia sottoterra, un mondo nel quale la pazzia è quasi una condizione atmosferica. Quando l’artista va a Parigi trova una realtà straniera e nuova, una «collisione stregata tra merci e uomini» che parla di progresso e velocità. E’ la capitale della cultura europea, dove agiscono figure del calibro di Boldini, De Nittis e Degas. Gemito visita i musei, tocca le opere nonostante i rimproveri dei custodi perché, da buon napoletano, deve intrattenere un rapporto fisico con le cose. La città francese lo impegna in una lotta senza tregua. «Vincere su Parigi voleva dire vincere ’o munno». Eppure Gemito, povero e incolto, in quel contesto si sente fuori luogo. Torna a Napoli assieme all’amico Antonio Mancini detto Totonno, con il quale ha condiviso la vita parigina. Entrambi hanno contratto la sifilide.

«Dottò, la vita mia è un romanzo», dice ad un certo punto l’artista. E lo stesso dottor Virnicchi che lo ha in cura descrive il suo volto come un romanzo oggettivo, che porta impressi nei suoi tratti la tragicità e l’ossessione. Di tutto questo Wanda Marasco si fa interprete, con una scrittura inquieta come l’animo del protagonista, sostenuta da un immaginario multiforme. Il dato storico viene plasmato e modellato in una forma romanzesca non immemore della vocazione teatrale della sua autrice. La vicenda artistica di Gemito risalta nella sua qualità demoniaca e terribile, grondante di dolente umanità.

Riccardo Cenci

 

Wanda Marasco

Il genio dell’abbandono

Neri Pozza – pagine 352 – € 17,00

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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