Il Commissario Dosi il super poliziotto che inventò l’Interpol (2)

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Storia dell’investigatore che suonava il violino, dipingeva, poetava e studiava le lingue, seguendo le lezioni di criminologia. Seconda parte. L’operazione Via Tasso

(Seguito della prima parte)

Riuscì a recuperare centinaia di fascicoli grazie all’aiuto di un soldato tedesco che aveva smesso la divisa di soldato. Scoprì più tardi che non era tedesco ma svizzero ed era un pasticcere.

Nella precedente puntata abbiamo parlato di come il Commissario Giuseppe Dosi riuscì a scoprire il “mostro di Roma” nella persona del reverendo anglicano Ralph Lyonel Bridges, di come in seguito fosse stato ritenuto megalomane, squilibrato, internato a Santa Maria della Pietà e dispensato dalla Polizia. Entrato nell’Eiar (l’attuale Rai) si occupò di pratiche amministrative ma anche di inchieste e reportage giornalistici. Invitato a trasferirsi al Nord per lavorare nei servizi radio della Repubblica Sociale Italiana, si rifiutò e fu licenziato.

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Il Gen. Clark sale le scale del Campidoglio il 4-6-44. Il primo a sinistra, in abiti civili, con la macchina fotografica in mano è Dosi

Il 4 giugno del 1944 con l’arrivo degli americani a Roma Dosi, sempre con l’animo e l’istinto del poliziotto fortemente radicati in lui, compì quella che è ricordata come “l’operazione Via Tasso”. Nella tristissima via, al civico 145 l’edificio, che era vicino alla Basilica di San Giovanni (ora sede del Museo storico della Liberazione), durante l’occupazione tedesca era divenuta prigione, luogo di tortura per i politici e caserma del Comando di Sicurezza delle SS. All’alba del 4 giugno, mentre i tedeschi fuggivano verso il Nord, l’ex carcere fu assalito dalla folla che liberò i prigionieri e in segno di protesta gettò in strada le carte contenute negli archivi cominciando a darle fuoco. Dosi abitava poco lontano e mentre la gente si riversava nelle strade per acclamare i liberatori, grazie al suo coraggio e alla sua determinazione entrò nei locali di via Tasso cercando di salvare quanto più materiale possibile per recuperare le carte, i registri, le ricevute, le copie di sentenze del tribunale tedesco di guerra, corrispondenza con uffici militari ma soprattutto gli elenchi dei detenuti da trasferire dal carcere di Regina Coeli alle Fosse Ardeatine. In uno di quei fogli sottratti alle fiamme vi era scritto “75 ebrei prelevati e fucilati dal servizio di sicurezza”, il servizio di cui facevano parte Priebke e Kappler, più tardi processati grazie proprio a questi documenti che ricostruivano il dramma vissuto dalla popolazione romana. L’ex superpoliziotto trasportò con un carrettino e l’aiuto di un giovanotto tutte le carte nella sua abitazione.

In una foto storica, appare il generale Clark che sale le scale del Campidoglio per ricevere le chiavi della città, l’ex commissario Dosi è ritratto sulla sinistra con la sua immancabile macchina fotografica che utilizzava per documentare articoli giornalistici che vendeva per sbarcare il lunario.

DSCN9835(1)Dosi mise a disposizione degli alleati la documentazione acquisita che fu essenziale nei processi che ne seguirono. Per questi suoi importanti servigi e per l’ottima conoscenza dell’inglese oltre che del francese e del tedesco, gli alleati lo nominarono “Special Investigator” addetto alla German and Political Section. Grazie ai suoi meriti nel dicembre del 1944 fu reintegrato nella Pubblica Sicurezza e designato dal Ministero dell’Interno come “corrispondente italiano per lo scambio di informazioni ufficiali con gli Stati Uniti”. Il suo contributo si rivelò prezioso per risalire a delatori italiani e a gruppi a favore dei tedeschi che operavano ancora a Roma. Così verso la fine del 1944 mise gli alleati sulle tracce di alcuni sacerdoti georgiani che erano in contatto con le SS, e che avevano acquistato sulla via Portuense una villetta ove avevano apposto una targa con la scritta “Centro apostolico georgiano – Proprietà della Santa Sede” sperando nella extraterritorialità. Si trattava in realtà di un centro di spionaggio e nel corso di una perquisizione nel sottotetto, fu rinvenuta una radiotrasmittente tedesca e molta corrispondenza a firma Kappler. A Giuseppe Dosi fu conferita la Medal of Freedom dal Comando alleato che appoggiò la sua reintroduzione in Polizia. Nel maggio del 1946 fu riammesso dapprima come Commissario Capo poi promosso Vice Questore e gli venne affidato l’incarico di Direttore dell’Ufficio di Polizia criminale internazionale. Nel giugno del 1947 a Parigi fu delegato italiano alla Assemblea Generale dell’Ufficio Internazionale di Polizia Criminale al quale parteciparono oltre 50 funzionari di polizia provenienti da 25 Paesi europei ed extraeuropei, in quanto nel dopoguerra si erano manifestati numerosi problemi di ordine sociale, come la dilagante delinquenza giovanile, la prostituzione, la tratta delle donne. Fu proprio Dosi che in quella occasione propose la costituzione della Polizia femminile che in Italia sarebbe diventata realtà nel 1959. DSCN9881Fu lui che fece adottare il termine Interpol, abbreviazione di Interpolice. Quando Dosi andò in pensione nel 1956, in nove anni della sua dirigenza all’Interpol aveva portato a termine 100.000 note informative, fatto arrestare oltre 850 persone anche all’estero, malfattori, assassini, trafficanti di stupefacenti (si interessò al caso di Salvatore Lucania meglio conosciuto come Lucky Luciano), tratta delle bianche, recupero di opere d’arte. Svolse una intensa attività di conferenziere anche all’estero e di docente, contribuì con articoli apparsi su riviste specializzate al miglioramento di tecniche investigative come la falsificazione di documenti, di banconote, ma anche di sottrazione di quadri importanti. Tra i casi complessi riguardante la sottrazione di opera d’arte di grande valore trattati dall’Interpol c’è “l’affare Ludinghausen” avvenuto nel 1949. Un furto clamoroso perpetrato ad Agen nel nord della Francia in un piccolo museo di provincia che deteneva un prezioso autoritratto del pittore spagnolo Goya. Il custode stava per chiudere il portone quando sopraggiunse un distinto signore che si presentò come uno studioso venuto espressamente da Parigi per studiare quel quadro. Il custode lo fece entrare e chiuse la porta. Poco dopo dovette riaprirlo, una vecchia signora supplicava di aiutarla in quanto una piccola scimmia, che teneva sul petto, squittiva e stava morendo. Il custode cercò di consolare la signora accarezzando l’animale ma la scimmietta sfuggì. La gentildonna cadde in terra pesantemente e chiese al custode di chiamare un taxi per andare da un veterinario. Nel trambusto il forestiero uscì dal museo e ringraziando si eclissò in auto con la vecchia signora. Poco dopo il custode scoprì che il Goya era sparito. L’Interpol subito informata individuò nel Barone di Ludinghausen lo specialista dei furti di opere d’arte, camaleontico truffatore e falsario con ben 34 nomi falsi.

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Dosi mentre esamina banconote false

Ritornando indietro nel tempo, 16 ottobre 1943, giorno della razzia dei tedeschi nel Ghetto di Roma, Dosi mostrò ancora una volta il suo coraggio. Infatti quando era presso la Direzione Generale dell’EIAR (odierna RAI), che aveva sede nella adiacente via delle Botteghe Oscure, parlando perfettamente il tedesco, in quel giorno riuscì a convincere un sottufficiale delle SS che aveva arrestato due donne, assicurandolo che le conosceva bene che erano cattoliche e non ebree e che si trovavano lì per caso. Intervenne inoltre a favore di altre arrestate permettendo loro di prendere con sé della biancheria. Dichiarerà più tardi Dosi: «il mio intervento fu poco gradito dalle SS sia pure in funzione di interprete occasionale e per quel poco che potetti fare fui aiutato da una monaca sopraggiunta, fu certo pericoloso e azzardato».

Uomo brillante e di grande vivacità intellettuale, Dosi aveva affinato le sue qualità cimentandosi con perizia e abilità nei vari settori della ricerca investigativa, ed era convinto della necessità che il salto di qualità di un investigatore non potesse prescindere dai nuovi moderni metodi di indagine che prevedevano una accurata raccolta dei dati, la loro elaborazione e la successiva attenta e ponderata analisi. Nello svolgere il nuovo lavoro di responsabile dell’Interpol italiana comprese l’importanza dello scambio di informazioni tra le Polizie dei vari Paesi, coniugò il suo sapere con uno straordinario intuito fu “il grande traghettatore dell’attività di polizia nei tempi moderni”.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Giancarlo Cocco

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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