Addio a Nikolaus Harnoncourt, padre indiscusso della prassi esecutiva della musica antica

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Scomparso a 86 anni, il direttore austriaco lascia un’eredità enorme. Memorabili le sue interpretazioni di Johann Sebastian Bach.

Con la morte di Nikolaus Harnoncourt perdiamo non solo un grande direttore d’orchestra ma anche un artista instancabile e curioso, un filologo per nulla paludato, uno studioso in grado di seguire un percorso rigoroso, mettendo continuamente in discussione i risultati raggiunti. Cosa sarebbe stata la storia dell’interpretazione bachiana senza il suo apporto possiamo solo immaginarlo. Senza parlare della riscoperta di Monteverdi, autore da noi all’epoca eseguito poco e male. Harnoncourt ha gettato le fondamenta della nostra conoscenza della cosiddetta musica antica, ha svolto un lavoro immenso, del quale non possiamo non essergli grati.

Discendente dell’aristocrazia mitteleuropea, nel lontano 1953 Harnoncourt fonda il Concentus Musicus Wien assieme alla moglie Alice. Da allora la prassi esecutiva della musica barocca viene totalmente rivoluzionata. Dinamiche più asciutte, l’adozione di strumenti originali o copie di essi, l’impiego di cantanti lontani dalle sonorità pompose tipicamente liriche, organici più aderenti alle dimensioni del passato depurano dal romanticismo imperante la musica del XVII e XVIII secolo. E poi c’è lo studio appassionato sui testi, sui documenti e sulle partiture dell’epoca.

L’impatto è fortissimo. Una rivoluzione paragonabile solo alla riscoperta bachiana operata da51XDXw5pH5L._SX355_.jpg Mendelssohn nell’Ottocento. Johann Sebastian Bach risorge nuovamente, luminoso come un affresco appena liberato dalla patina del tempo. E con lui un’intera epoca si scrolla di dosso le polveri che la soffocavano, impedendone una corretta valutazione.

Fra le sue imprese più memorabili l’incisione integrale delle cantate di Bach, affiancato da un altro gigante della musica antica come Gustav Leonhardt.

Ogni mutamento radicale porta con sé le proprie conseguenze. L’entusiasmo generale è palpabile, in particolare fra i giovani, ma non mancano i detrattori, contrari a qualsiasi mutamento del punto di vista usuale. Indiscutibile è il rinnovato interesse attorno alla musica barocca, che negli anni Settanta e Ottanta vive una vera e propria seconda giovinezza.

7120vaqsxHL._SL1500_.jpgHarnoncourt non poneva limiti alla propria esperienza. Per questo ha portato la filologia musicale anche in ambiti insospettati, come il grande repertorio sinfonico ottocentesco. Il tutto con risultati sempre originali e mai scontati. Riletture di fronte alle quali, comunque, non si poteva restare indifferenti. Neppure la musica contemporanea sfuggiva alla sua passione onnivora, alla sua volontà di mettere tutto in discussione.

Chi scrive ricorda con nostalgia un colloquio avuto con il Maestro nel lontano 1995, insieme al collega del Messaggero Alfredo Gasponi. Harnoncourt aveva appena concluso l’esecuzione del Re Pastore di Mozart al Teatro Olimpico, una lettura importante tanto da essere consegnata al disco. Un discorso sui caratteri peculiari del teatro mozartiano, ma anche sulla strana idiosincrasia che Harnoncourt nutriva nei confronti di Gluck. Il contenuto di quelle parole si perde in parte nelle pieghe della memoria, ma vivo oggi come allora è il ricordo dell’entusiasmo, della gioia che traspariva dai suoi occhi. E ancora tornano alla mente una straordinaria serata al Musikverein di Vienna, la sua casa e il suo tempio, con un programma interamente dedicato alle cantate di Bach, e un’esecuzione della Creazione di Haydn nella Basilica di San Paolo a Roma.

Lo scorso dicembre il Maestro aveva annunciato il ritiro dalle scene per problemi di salute. A comunicare la scomparsa, avvenuta il 5 marzo, la famiglia. Un duro colpo per l’ambiente musicale viennese e per l’intera cultura del mondo occidentale. Il suo insegnamento è, ancora oggi, un faro per ogni studioso, una luce e un esempio da seguire.

Per chi è cresciuto con le sue esecuzioni, la morte di Harnoncourt rappresenta un colpo durissimo. Peccato che i mass media del nostro Paese non gli abbiano dedicato lo spazio che indubbiamente meritava. Indice di un provincialismo dal quale, ancora oggi, non riusciamo a liberarci. Se la scomparsa di un eminente conterraneo, che sia Abbado o Eco, è certo un evento al quale dare ampia risonanza, in un’ottica europeista eguale riscontro occorrerebbe dedicare a personalità che hanno fatto la storia del vecchio continente, a prescindere da ristretti e ciechi nazionalismi. Anche questo sarebbe un segnale importante di un’Europa più coesa, in primo luogo dal punto di vista culturale.

Riccardo Cenci

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Immagine all’interno (Photo: Marco Borggreve)

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Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

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