Serbia-Kosovo: l’anno si conclude con frizioni e dialogo in stallo

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Nuovi dazi alle merci di Belgrado e un esercito nazionale di Pristina da una parte, la battaglia diplomatica di Belgrado per il ritiro del riconoscimento dell’indipendenza dall’altra

Il 2018 finisce come era iniziato, con continui intoppi nelle relazioni tra Belgrado e Pristina, accompagnata da battaglie diplomatiche e decisioni politiche che hanno provocato le reazioni della comunità internazionale, hanno portato a una situazione di grande incertezza nel quadro del dialogo in corso tra i due Paesi per la normalizzazione dei rapporti. Da un versante la decisione, lo scorso novembre, delle autorità kosovare di introdurre dei dazi del 10% sulle merci importate da Serbia e Bosnia, provocando anche le reazioni dell’Unione europea, che ha sottolineato come il provvedimento rappresenti una violazione dell’Accordo centro-europeo di libero scambio (Cefta, dall’acronimo inglese Central European Free Trade Agreement) in vigore fra i Paesi della regione. Non solo, dopo pochi giorni, il governo di Pristina ha deciso di aumentare le tariffe al 100 per cento, e il primo ministro kosovaro, Ramush Haradinaj, ha anche dichiarato nei giorni scorsi che il Kosovo non revocherà la misura, nonostante gli appelli di Bruxelles.

L’aumento dei dazi fino al 100 per cento è stato annunciato poco dopo il rifiuto della candidatura del Kosovo all’Interpol, confermato nel quadro dell’Assemblea generale dell’organizzazione svoltasi a Dubai nel mese di novembre. Il primo voto ha visto 76 Paesi a favore, contro 56 contrari e 22 astenuti. Un esito analogo a quello riscontrato alla seconda votazione, che ha visto 68 Paesi a favore a fronte di 51 contrari e 16 astenuti. Una maggioranza che si è rivelata inutile, dal momento che l’adesione all’Interpol è subordinata all’approvazione da parte di almeno due terzi delle nazioni presenti alla seduta. Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, si è detto “orgoglioso” della battaglia diplomatica condotta da Belgrado circa un’eventuale adesione del Kosovo all’Interpol. «Sono orgoglioso del fatto che la Serbia, (Paese) senza molto denaro e potere, sia riuscita a battersi contro le potenze più forti al mondo e a mostrare quanto è importante tutelare la propria libertà, integrità e indipendenza», ha dichiarato Vučić.

Stando alle dichiarazioni rilasciata da Ana Brnabić, primo ministro serbo, le autorità di Pristina avrebbero cambiato idea continuamente in merito ai motivi per il rafforzamento dei dazi al 100 per cento sulle merci provenienti da Serbia e Bosnia. Sulla stessa lunghezza d’onda si è mantenuto il capo della diplomazia, Ivica Dačić, che ha definito la mancata adesione di Pristina all’Interpol «una grande vittoria». L’Unione delle Comore è l’ultimo Paese in ordine di tempo ad avere ritirato il proprio riconoscimento dato all’indipendenza proclamata da Pristina nel 2008: a dare l’annuncio è stato il 7 novembre proprio il ministro degli Esteri della Serbia, dopo una riunione avvenuta a Belgrado con il capo della diplomazia comoriana, Mohamed El-Amine Souef. Secondo i dati del ministero degli Esteri della Serbia hanno ritirato il proprio riconoscimento l’Unione delle Comore, Grenada, Dominica, Suriname, Liberia, Sao Tome e Principe, Guinea Bissau, Burundi, Papua Nova Guinea e Lesotho. Le autorità di Pristina hanno contestato nei mesi scorsi gli annunci di Belgrado, e il ministero degli Esteri kosovaro continua a sostenere che 116 Paesi hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, includendo così nell’elenco anche la Guinea Bissau e la Liberia, Paesi che secondo Belgrado hanno revocato il riconoscimento.

     Mogherini con Vučić e Haradinaj

A conferma della determinazione nel ribadire la propria statualità, Pristina ha concluso il 2018 con l’annuncio della sua intenzione di formare un esercito nazionale, provocando l’immediata reazione di Belgrado che ha a sua volta richiesto la convocazione di una seduta straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il presidente kosovaro Hashim Thaçi ha difeso, nel corso della seduta, la decisione di Pristina nella trasformazione delle Forze di sicurezza in Forza armata. «Se il Kosovo ha commesso un errore è stato quello di aver atteso cinque anni per istituire un esercito»”, ha commentato Thaçi. La decisione delle autorità di Pristina ha inevitabilmente attirato anche l’attenzione degli attori internazionali. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha avuto due colloqui telefonici con il capo dello Stato serbo, Aleksandar Vucic, e con il premier kosovaro, Ramush Haradinaj, all’inizio di dicembre. Stoltenberg ha invitato Belgrado e Pristina alla calma, e ad evitare ogni azione che possa essere considerata come provocatoria. «Ho sottolineato che tale mossa è stata fatta nel momento sbagliato, e che potrebbe avere ripercussioni negative sulle prospettive d’integrazione euro-atlantica del Kosovo. Ho anche ripetuto che, nel caso in cui la situazione dovesse evolvere, la Nato sarebbe costretta a rivalutare il proprio impegno con le Forze di sicurezza del Kosovo», ha chiarito Stoltenberg.

                                 Sem Fabrizi

Il dialogo fra Belgrado e Pristina, nonostante le difficoltà, resta riconosciuto dalle parti e dalla comunità internazionale come “lo strumento” fondamentale per arrivare ad una piena normalizzazione dei rapporti, come ha ricordato recentemente il capo della delegazione europea in Serbia, Sem Fabrizi, in un’intervista con la stampa italiana a Belgrado. Lo stesso concetto è stato ribadito anche nel quadro del Consiglio europeo della scorsa settimana, durante il quale i presenti hanno sottolineato ancora una volta la necessità di promuovere un dialogo costruttivo e trasparente. Si è espresso sulla questione anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini (nella foto di apertura con Vučić e Thaçi, ndr). Nella conferenza stampa tenuta a dicembre con il primo ministro serbo, Ana Brnabić, a seguito del Consiglio di stabilizzazione e associazione Ue-Serbia, Mogherini ha ricordato che compito dell’Ue è quello di facilitare il dialogo. «Siamo qui per sostenerlo e continuo a credere che sia possibile. Le parti hanno scelto in piena onestà di impegnarsi e di trovare le soluzioni o trovano conveniente continuare su questo gioco? Entrambi dicono di scegliere la prospettiva europea, noi diciamo di cosa c’è bisogno: si devono affrontare le difficoltà attorno a un tavolo, una volta per tutte», ha concluso la Mogherini.

 

Vladislav Borovec

Foto © European Union, European Western Balkans

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