«Porto il CETEC ad attraversare con la cultura le barriere»

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Intervista a Donatella Massimilla, direttore artistico del Centro europeo Teatro e Carcere, cooperativa sociale che da oltre venti anni opera a livello regionale, nazionale ed europeo

Il CETEC Onlus, Centro europeo Teatro e Carcere, è una cooperativa sociale che da oltre venti anni opera a livello regionale, nazionale ed europeo. La sua compagnia teatrale è attiva dentro e fuori il carcere di San Vittore, con la direzione artistica di Donatella Massimilla, che oltre a realizzare regie e drammaturgie si occupa da un punto di vista pedagogico a condurre laboratori e workshop intensivi non solo all’interno dei carceri ma in diversi luoghi edge, in collaborazione con artisti e professionisti dello spettacolo.

Nella sua compagine sociale il CETEC conta più di 10 persone che prestano la loro collaborazione per l’organizzazione, la progettazione, la promozione e la comunicazione di tutta l’attività. Negli anni molti stagisti e tirocinanti hanno pubblicato tesi e studi sulle attività della compagnia. CETEC è impegnato, fin dalla sua fondazione, a fare networking artistico e sociale a livello cittadino, regionale, nazionale ed europeo. Nel corso della sua attività il CETEC ha ricevuto sostegni e patrocini dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero della Giustizia, Regione Lombardia, Comune di Milano, Carcere di San Vittore, Università degli Studi di Milano, Fondazione Cariplo.

Eurocomunicazione ha intervistato Donatella Massimilla:

Hai debuttato come attrice a Roma a 15 anni: come hai scoperto l’interesse per il teatro?

«Fin da bambina ero accompagnata a teatro da mio padre, un vero appassionato che aveva recitato durante i suoi studi universitari a Napoli. Erano spettacoli tradizionali, da Il Giardino dei Ciliegi diretto da Giorgio Strehler, ai tanti Shakespeare e Pirandello, alle opere più contemporanee come Affabulazione di Pasolini interpretato da Vittorio e Alessandro Gassman. Ricordo ancora molte di queste messe in scena in modo vivido, presente. Poi crescendo cominciai ad andare da sola, grazie alla passione alimentata nel mio Liceo classico Socrate, da un professore di latino e greco e da un insegnante di inglese, entrambi veri amanti del palcoscenico. Con altri studenti frequentammo un corso pomeridiano diretto da Franco Molè al Teatro La Ringhiera di Roma, un piccolo teatro con una grande anima nel cuore di Trastevere. Debutto a quindici anni continuando a conciliare studio e teatro, ma diciamo che il teatro mi aveva ormai definitivamente conquistato».

Puoi raccontarci qualcosa sulla tua esperienza al Festival Internazionale di Teatro di Strada?

«Appena iscritta all’Università La Sapienza a Roma in Lettere moderne il piano di studi era l’unico che poteva consentire esami di teatro, frequentai la scuola di drammaturgia di Eduardo de Filippo e poi ebbi la fortuna di essere scelta per il corso trimestrale di antropologia teatrale del grande maestro polacco Jerzy Grotowsky. Seguendo lui arrivai a Santarcangelo di Romagna, dove il direttore artistico, Ferruccio Merisi del Teatro di Ventura, mi chiese di lavorare prima per il Festival Internazionale estivo e poi durante l’anno per l’Istituto di Cultura Teatrale. Grotowsky partì poi per Volterra – ricordo ancora il suo forte abbraccio – mi consegnava alla mia strada. Sono rimasta sette anni, mi trasferii con gli studi al DAMS dei Bologna, rapita dalla terra di Tonino Guerra che spesso si incontrava a bere il caffè nel bar della piazza principale, la vita artistica era davvero intensa, le possibilità di incontri formativi con tanti maestri del teatro contemporaneo, da Eugenio Barba al Living Theatre, di veder crescere giovani artisti nel corso degli anni e le visioni di spettacoli di ricerca come di teatro di strada, diciamo una decade davvero unica».

Quando e perché hai deciso di fondare la Ticvin Società Teatro?

«Mi sono trasferita dopo Santarcangelo per alcuni anni a Venezia, frequentando la Scuola di Commedia dell’Arte dell’Avogaria, continuando a crescere sul piano delle necessità artistiche e così, spinta anche dal mio amico Claudio Meldolesi mio professore di drammaturgia al DAMS, mi trasferii a Milano frequentando come tutor per un anno la Civica Scuola d’Arte Drammatica e scrivendo la mia prima drammaturgia, Il Decameron delle Donne. In questo romanzo scritto dalla scrittrice rissa Julia Voznesenskaja si parlava di gulag attraverso una metafora felice, quella di un gruppo di puerpere in un reparto maternità che a causa di un’infezione della pelle devono rimanere lontane per dieci giorni dai loro bambini. Ecco che una di loro, regista teatrale, propone di raccontarsi delle storie a turno, ispirandosi a Boccaccio. Così in una di queste storie, che poi inserii nello spettacolo, si narrava di Ticvin, un villaggio dove pare ci fossero molti scemi o “idioti”. A me e alla mia attrice spagnola, Olga Vinyals Martori questa storia piacque molto, e così chiamammo Ticvin Società Teatro la nostra prima associazione.

                    Diego Sileo a San Vittore

Società perchè, subito dopo il debutto dello spettacolo al Teatro Verdi, volevamo lavorare con progetti artistici che volevano sconfinare dai palcoscenici alle azioni di teatro nel sociale, e dopo il debutto de Il Decameron delle Donne al Teatro Verdi, lo spettacolo ebbe molto successo, chiedemmo a Luigi Pagano, direttore del carcere di San Vittore, di poter inaugurare un laboratorio teatrale prima nella sezione femminile di San Vittore, poi anche in quella maschile. Diciamo che la visione degli scemi del villaggio russo Ticvin si concretizzò in particolare con i nostri primi spettacoli a San Vittore, al femminile ad Alice nel paese delle meraviglie, mentre al maschile ispirati a “La Nave dei Folli” opera di Sebastian Brandt che diede poi nome alla storica compagnia.

Il prossimo 10 novembre debutta al Piccolo Teatro Grassi di Milano Il Decameron delle Donne. Trenta anni dopo. Diciamo che forse anche questa è una follia: insieme come CETEC saremo di nuovo con Olga Vinyals Martori e il musicista Gianpietro Marazza, compagno di viaggio anche lui da tre decadi, a rimettere in scena con le attrici detenute di San Vittore un nuovo spettacolo. Partecipano anche attrici ex detenute e alcune attrici trasferite a Bollate. Se non è follia questa! Prove separate e poi tutti riuniti in scena, ma si sa ai folli, ai fool, agli scemi del villaggio, nulla fa paura».

Dal 2015 hai diretto l’Edge Festival oltre le barriere: puoi spiegarci in cosa consiste?

«In realtà è dal 2005 che abbiamo importato dall’Inghilterra a Roma un Festival concepito per dare visibilità a realtà artistiche inclusive di soggetti svantaggiati a livello europeo. Abbiamo sempre puntato a compagnie di teatro e carcere spagnole tedesche, inglesi. Promosso meeting e incontri di formazione dal 2010 anche a Milano e negli ultimi anni, in collaborazione con la Fondazione Pio Istituto dei Sordi e il Comune di Milano, abbiamo anche realizzato la versione Oltre le Barriere, ovvero spettacoli tradotti in LIS (Lingua dei segni italiana) e sovra titolati, audio descritti per spettatori non vedenti. Un lungo viaggio EDGE che speriamo qualche Fondazione adotti per garantirgli continuità e visibilità sempre maggiore».

Perché hai scelto di lavorare con i detenuti e le detenute di San Vittore e di altri carceri anche stranieri? Questa lunga esperienza cosa ti ha insegnato?

«Direi che all’inizio siamo entrate motivate ma inconsapevoli e poi man mano che il tempo passava sentivo che era una scelta giusta per me. Olga invece stava per tornare a lavorare in Spagna e credo che per lei sia stato diverso, il distacco l’ha aiutata a trovare anche altre strade di teatro nel sociale. Anche io l’ho fatto lavorando ad esempio con il teatro in alcune realtà con pazienti con disagio psichiatrico, o con giovani tossicodipendenti. Ma il carcere è sempre stato il cuore della mia ricerca. Non pensavo che mi sarei ammalata anch’io di “carcerite” come spesso si sente dire da chi frequenta il carcere da lungo tempo. Ma io mi sono sentita quasi sempre a casa, nonostante le mura. L’esercizio di Attraversarle con il teatro ha coinvolto la mia persona oltre che le nostre allieve al punto di far divenire per tutti noi “teatro” la piccola sala di socialità dove lavoriamo, o la biblioteca o il cortile all’aria. Poi abbiamo ripreso negli ultimi anni a portare fuori da San Vittore i nostri spettacoli, nei grandi teatri, di nuovo al Piccolo Teatro, al Castello Sforzesco, ultimamente anche in luoghi non convenzionali come i Musei e gli Orti Botanici, con Diarios de Frida. Viva la Vida dal MUDEC alla Triennale. Ecco questo mi ha insegnato questo lungo viaggio, che l’impossibile può divenire possibile, che l’Arte e il Teatro possono davvero trasformare persone e anche Istituzioni».

Che progetti hai in corso e quali hai in mente per il futuro?

«Debutteremo al Piccolo Teatro Grassi il prossimo 10 novembre con il Decameron delle donne. Trenta anni dopo. Lo spettacolo che segnò il mio debutto di regista e drammaturga riscritto in parte con le attrici del CETEC Dentro/Fuori San Vittore. Stiamo provando intensamente con attrici detenute a San Vittore, a Bollate, anche con alcune ex detenute ormai definitivamente conquistato».

 

Antonio Vanzillotta

Foto © Antonio Vanzillotta

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Antonio Vanzillotta
Giornalista pubblicista, laureato in lettere indirizzo cinema e teatro, appassionato di tematiche socio-politiche ha iniziato all’agenzia stampa Adn-kronos di Milano. Dopo una breve collaborazione con la facoltà di scienze politiche, si è trasferito in Liguria per continuare la sua attività giornalistica presso testate cartacee e on-line. Attualmente nel capoluogo lombardo si occupa di viaggi e terzo settore con il prezioso ausilio della sua macchina fotografica.

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