Il giorno che Napoli visse una tragedia come quella avuta a Beirut

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Il 28 marzo 1943 la nave da trasporto “Caterina Costa” esplose nel porto provocando una strage che ancora oggi in città molti ricordano

Le immagini della disastrosa esplosione avvenuta nel porto di Beirut, che il 4 agosto scorso ha provocato oltre 150 morti e migliaia di feriti e sfollati nella capitale libanese, hanno indubbiamente scioccato l’opinione pubblica dell’intero pianeta. Ma ci sono persone che più di altre hanno sentito un brivido correre lungo la schiena: sono tutti quei cittadini napoletani ultraottantenni ai quali è tornato in mente un nome, “Caterina Costa“, e il ricordo della strage legata ad esso. Erano dei bambini quando, quella maledetta domenica di 77 anni fa, la catastrofe si compì a pochi metri dal molo Vittorio Veneto.

La “Caterina Costa” era una moderna unità navale della Regia Marina varata nel 1942, lunga 135 metri e con una stazza di 8.060 tonnellate, adibita al trasporto di rifornimenti per le truppe italiane di stanza in Africa Settentrionale. All’alba del 28 marzo 1943 la nave si trovava nel porto di Napoli, dove aveva imbarcato un consistente carico di armi e carri armati, oltre a quasi duemila tonnellate di esplosivi e munizioni e a 800 tonnellate di carburante da trasportare in Tunisia. Nella stiva di poppa, dalle prime ore della mattina, iniziò a sprigionarsi un incendio, pare per cause accidentali: buona parte dell’equipaggio tuttavia riuscì a mettersi in salvo tuffandosi in acqua e raggiungendo la vicina banchina antistante il quartiere di Sant’Erasmo, nella zona est della città.

La situazione, sebbene rischiosa, era tuttavia ancora controllabile: visto il carico, per evitare che la città venisse investita da un possibile scoppio sarebbe bastato allontanare la nave dalla costa, o quantomeno di puntare la prua verso il mare. Ma nulla di tutto ciò venne fatto. L’allarme nella caserma dei Vigili del Fuoco scattò per giunta con diverse ore di ritardo, tanto che gli stessi, giunti sul posto, non poterono fare molto, anche perchè, una volta informato di cosa trasportava la nave, al dirigente capo dei VV.F non rimase altro che portare via i suoi uomini dall’imbarcazione.

Col passare delle ore, restava solo l’opzione rischiosa di affondare la nave per spegnere l’incendio prima che giungesse alle stive ma, secondo alcuni ufficiali della Capitaneria di Porto, il fuoco si sarebbe estinto grazie all’acqua che intanto aveva iniziato a entrare copiosa. Nonostante fossero consapevoli che la “Caterina Costa” era una polveriera galleggiante, le autorità politiche e marittime cittadine continuarono ad aspettare lo sviluppo degli eventi e non presero alcuna decisione, nemmeno quella, che poi si sarebbe rivelata fatale, di far suonare precauzionalmente l’allarme aereo per spingere la popolazione a correre nei rifugi. Di fatto, la sottovalutazione dell’emergenza spalancò la porta alla tragedia che sarebbe avvenuta nel pomeriggio, precisamente alle 17.39, quando il fuoco divampò nella stiva e la “Caterina Costa” saltò in aria con tutto il suo carico bellico.

L’esplosione fece sprofondare la banchina prospiciente e una parte della nave abbatté due fabbricati nella limitrofa via Ponte della Maddalena dopo essere stata scaraventata sopra dalla deflagrazione, la metà di un carro armato cadde a oltre un chilometro, sul tetto del Palazzo Carafa di Montorio, nei Decumani, mentre pezzi roventi della nave arrivarono nelle ben più distanti via Atri e Piazza Carlo III, e decine di frammenti di acciaio piovvero sulla collina del Vomero. I Magazzini Generali del porto presero fuoco come pure diversi vagoni in sosta alla Stazione Centrale, dove dal cielo giunsero schegge infuocate, mentre lamiere di acciaio, sparate come proiettili, seminarono morte ovunque, dal Borgo Loreto al più distante Corso Umberto, dalla vicina settecentesca Caserma Bianchini alla zona industriale, dal Maschio Angioino in piazza del Municipio fino al petrolchimico Agip di San Giovanni. Secondo le autorità locali, le vittime furono in totale 549, ma probabilmente a perire furono più di 600 persone. Anche sui feriti le cifre non sono precise: si parlò di 3.000 persone coinvolte dallo scoppio. Napoli si ritrovò pressochè devastata ovunque.

Forse perchè offuscata da sconvolgimenti politici e bellici immediatamente successivi (di lì a pochi mesi avremmo avuto la caduta del regime fascista, l’armistizio con le forze alleate e l’inizio della guerra di Liberazione), la strage della “Caterina Costa” è praticamente sconosciuta al di fuori dei confini campani. Ma quel tragico 28 marzo è rimasto impresso nella mente dei napoletani, inclusi quelli che non erano neppure nati. Sono in tanti, incluso chi scrive, a conoscere quanto avvenne grazie alla memoria perpetuata dai nonni e di genitori. Una memoria che dovrà necessariamente essere trasmessa ai posteri. Perchè il ricordo di quelle 600 vittime non cada nell’oblio.

Alessandro Ronga
Foto © Autorità Portuale di Napoli, YouTube

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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