Adriano Olivetti, l’imprenditore geniale che morì misteriosamente

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Adriano Olivetti

L’uomo che inventò il pc e realizzò per i suoi dipendenti un’idea di sviluppo umano e sociale sarebbe stato vittima della politica e delle multinazionali

Il 27 febbraio di quest’anno non vi sarà a Ivrea – sede storica degli stabilimenti Olivetti – il famoso carnevale “Battaglia delle arance“. La pandemia ha cancellato quest’appuntamento che da anni faceva arrivare nella cittadina oltre centomila visitatori. Esattamente lo stesso giorno di 61 anni fa i festeggiamenti carnevaleschi furono annullati per l’imprevista morte dell’amato imprenditore Adriano Olivetti. Da anni mecenate del carnevale locale. Il funerale si svolse tre giorni dopo e vi partecipò tutta la cittadinanza. Mentre si svolgevano i funerali, la sua villa fu messa a soqquadro.

Inizialmente sembrava che non fosse stato sottratto alcun oggetto di valore. Eppure ve ne erano cose preziose da prendere, carte sparse ovunque, cassetti aperti. Poi trapelò la notizia che erano scomparsi, invece, importanti documenti. Chi furono gli autori? Non si è mai saputo.

Tanti interrogativi sulla morte

Adriano Olivetti morì sul treno, quel sabato, che da Milano lo stava portando a Losanna. Si disse per un malore mai diagnosticato, chi ipotizzò per infarto, altri giornali parlarono di emorragia cerebrale. Lo trovarono riverso nell’ultimo scompartimento della carrozza di seconda classe in fondo al treno, lui che viaggiava sempre con biglietto di prima classe. Che ci faceva lì? Da chi stava fuggendo?

Il libro che riapre il caso

Un libro uscito da qualche mese, “Il caso Olivetti” (Rizzoli editore), scritto dall’anziana giornalista Meryle Secrest, inglese di nascita, ma da tempo residente negli Stati Uniti, riapre il caso delle circostanze della morte misteriosa di Adriano. Ricostruisce gli intrighi politici e internazionali, tra cui il ruolo giocato dalla Cia dietro pressione dell’Ibm.

Si parlerà, anche, della strana morte del suo stretto collaboratore italo-cinese Mario Tchou. E del primo computer realizzato in Italia, l’Elea 9003, scomparso mentre veniva portato a Roma su un autocarro. Nonché il ruolo giocato dagli Stati Uniti nel periodo della guerra fredda per bloccare “il progressista” Olivetti e mandare a picco la sua azienda con ogni mezzo. In questi anni la Secrest ha avuto accesso a molti documenti desecretati della Cia e ha potuto mettere insieme notizie. Ha, anche, intervistato parenti e amici di Adriano, ricostruendo come in un puzzle, i fatti che hanno portato la Olivetti, eccellenza italiana, a naufragare.

La vita svolta prima della morte

Quel sabato del 27 febbraio 1960 Olivetti era a Milano, scortato dal suo fedele autista Luigi Perotti, per partecipare a un’importante riunione. Il gruppo Olivetti era in procinto di lanciare in borsa le azioni Olivetti-Underwood, altra casa americana di macchine da scrivere acquistata dall’azienda italiana, sottoscrivendo gravosi impegni finanziari. Le azioni sarebbero state quotate a Milano il lunedì successivo. Dopo qualche giorno sarebbe partito per Gli Stati Uniti per ispezionare gli impianti, in quanto era sua intenzione assemblare lì il nuovo computer, sviluppato dalla Olivetti e da commercializzare in tutto il mondo.

Un mese prima Adriano era stato una settimana a Ischia per ritemprarsi. Aveva cinquantanove anni, ed era tornato rinvigorito e in perfetta salute per affrontare la sfida americana a Hartford nel Connecticut. Qualche giorno prima, si è poi appreso, aveva ricevuto minacce telefoniche di morte. Adriano aveva pranzato al Savini in Galleria, e prima di partire alle ore 17,50 da Milano con il treno per Losanna, si era sentito al telefono con il professor Franco Ferrarotti sociologo e politico, da lunga data amico di Olivetti. Ferrarotti dichiarò giorni dopo che lo aveva trovato “allegro e spensierato”. Ma il motivo principale era che Adriano fosse su quel treno per incontrare, a Gstaad, una ragazza svizzera, Heidi, già baby setter della figlia con la quale aveva avuto una storia. La quale gli aveva comunicato di essere incinta.

Quel giorno Adriano aveva incrociato anche Posy, moglie di suo fratello minore Dino, e vedendola l’aveva salutata dall’auto che lo stava portando alla stazione di Milano. Posy raccontò che l’aveva salutata con un grande sorriso: «non lo avevo mai visto così felice». Ma c’era un’altra persona che quel giorno accompagnò al treno Olivetti, Ottorino Beltrami detto il Comandante, un suo dirigente, che non doveva essere lì in quel momento. Dopo il colloquio con Beltrami, Adriano si rabbuiò e salì con circospezione sul treno.

Chi era il Comandante Ottorino Beltrami (Pisa 13/8/1917 – Milano 17/8/2013)

Adriano OlivettiSi era laureato in Ingegneria e in Scienze Marittime diventando uno dei massimi esperti nel settore delle telecomunicazioni. Beltrami fu ufficiale della Regia Marina nella seconda guerra mondiale e imbarcato su diversi sommergibili fino al 1942. Nel febbraio del 1943 si trovava a Cagliari quando fu ferito e perse una gamba. Dopo l’8 settembre del 1943 fuggi nel sud d’Italia, occupato dagli alleati ed era entrato nel Sis (Servizio Informazioni e Sicurezza) della Marina. Congedatosi nel 1949.

Adriano Olivetti gli propose di seguire la ricostruzione dei porti, con i fondi messi a disposizione dal piano Marshall americano. Beltrami assunto dall’azienda, si dice, continuò ad avere contatti con l’intelligence americana. Nel 1962, dopo la morte di Adriano, avrebbe diretto la divisione elettronica della Olivetti e nel 1964 divenne direttore generale della Olivetti-General Electric. Lasciata la Olivetti ebbe incarichi importanti in Finmeccanica poi dal 1981 al 1984 fu vice presidente della Stet, quindi presidente di Sip – Società italiana per l’esercizio telefonico – e sotto la sua guida questa azienda passò da 70.000 dipendenti a 77.000 (quando chi scrive vi lavorava, ndr), aumentando del 36% gli abbonati. Fu presidente di Assolombarda fino al 1991 poi della Fondazione Cariplo e Consigliere dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Beltrami, e ne parleremo più avanti, secondo la Secrest «membro della cerchia di Adriano, messo alla guida della Divisione dell’elettronica (…) per affossarla».

Il viaggio

Non si è mai saputo cosa si dissero Beltrami e Olivetti in quel frangente. Adirano salito sul treno si sedette in uno scompartimento di seconda classe, ultima carrozza del treno. Un giovane la cui identità è rimasta sconosciuta, che si era seduto davanti a lui, riferì alla polizia svizzera che: «quel signore di mezza età, robusto e stempiato, pareva particolarmente nervoso e agitato».

Il treno si fermò a Domodossola per il controllo dei passaporti e mentre aspettava Adriano incontrò un gruppo di suoi dipendenti che stavano partendo per la settimana bianca. Cenò con loro nel vagone ristorante che era in testa al treno. Quando questo si fermò a Martigny aiutò gli sciatori a smontare le loro cose dalla carrozza.

Era quasi tornato nel suo scompartimento quando si accorse di aver lasciato il cappotto nel vagone ristorante. Alcuni passeggeri dissero di aver visto Olivetti camminare in modo malfermo sul corridoio, tenendosi al corrimano proprio in quel punto in cui la linea passa attraverso numerose gallerie. Qualcuno lo avrebbe urtato e aveva gli occhi vitrei. Tentò di aprire la porta dello scompartimento ma si accasciò sul pavimento. Poco dopo il treno si fermò ad Aigle. Un medico salì a bordo e disse che Olivetti aveva avuto un infarto. Ai giornalisti avrebbe detto, in seguito, che aveva consigliato la famiglia di effettuare un’autopsia. Ma la cosa non avvenne mai.

Il docufilm

Nel 2013 è andato in onda un docufilm trasmesso dalla Rai dal titolo “Olivetti – la forza di un sogno”. Un giorno, mentre si giravano alcune scene a Ivrea, Michele Soavi nipote di Adriano, produttore del docufilm, fu avvicinato da un signore anziano che gli disse: «Ero la guardia di Adriano che di notte facevo il giro dei giardini della villa, so che è stato assassinato». Soavi rimase scioccato per quelle parole e prima che potesse chiedere chi fosse, l’uomo si era già dileguato.

Un nuovo tipo di pistola

L’autrice del libro, Meryle Secrest scrive: «L’omicidio in treno è un classico nei romanzi polizieschi (…) dove non mancano mai contatti ravvicinati tra vittima e assassino». Poi rivela: «la Cia sviluppò in quegli anni una pistola che sparava dardi avvelenati, perfetta per essere usata in un corridoio e studiati per simulare un attacco cardiaco. William Colby direttore dell’Agenzia nel 1975 la mostrò durante un audizione davanti la Commissione del Senato americano che sovrintendeva le attività di intelligence. La pistola sparava un piccolo dardo contenente una tossina letale, inodore, insapore e difficile da rilevare in sede di autopsia. Colby affermò che: «era improbabile che la Cia l’avesse mai sfruttata ma dichiarò anche che non poteva esserne certo».

L’anno seguente, 1961, un altro grave incidente costò la vita all’ingegnere Mario Tchou che da qualche anno dirigeva i laboratori di elettronica della Olivetti.

 

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Giancarlo Cocco

Foto © Starting Finance, Facebook, Assolombardo, Wikipedia

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

1 commento

  1. Dopo che l’Italia si macchiò della colpa di aver scatenato la 2° guerra mondiale, siamo diventati il parco giochi degli Stati Uniti. Chi aveva la sfortuna di diventare, con la propria intelligenza, una minaccia per la loro supremazia (vedi Mattei, Olivetti, Moro, ecc.) veniva fatto fuori senza tanti complimenti. Fine della storia.

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