Italia-Turchia: chi di regime stampa ferisce, di regime stampa può anche perire

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Italia Turchia

Il silenzio stampa sulle intimidazioni che fanno rischiare la chiusura de Il Riformista, denunciate da Piero Sansonetti, e sul calo di ascolti di Radio 1, denunciato dal Codacons, sono due facce della stessa medaglia. Quella della limitazione della libertà di stampa e del conseguente diritto di critica dei giornalisti verso alcuni santuari inviolabili. Nonostante il dilagante giustizialismo mediatico riservato agli altri. Che non rende l’Italia molto diversa dalla Turchia di Erdogan

Il 16 Aprile, su Libero ( “Perché Mario Draghi su Erdogan ha sbagliato. Siamo più a terra della Turchia“), dopo aver precisato che con Erdogan non berrebbe neanche un caffè, Vittorio Feltri ha dato ragione al presidente turco. Quando, in risposta alle dichiarazioni di Mario Draghi a proposito del Sofagate, ha scritto che ”l’Italia in fatto di regimi tirannici ha un’esperienza abbastanza importante”.

Oltre a quella del Fascismo, Feltri ricorda che “nelle classifiche internazionali riguardanti la libertà di stampa, che non è secondaria ai fini di valutare il livello di democraticità di una Nazione, l’Italia figura negli ultimi posti per motivi concreti”. Perché “la stampa di casa nostra è quasi interamente di proprietà di imprenditori che, per quanto liberali, antepongono la propria tasca a quella dei lettori. Idem le radio e le televisioni, di sicuro non asettiche”.

L’albo dei giornalisti

Prosegue nel ricordare che l’Italia è sola al mondo a disporre di un Ordine dei giornalisti. “Di ispirazione fascista e deputato a sanzionare i soggetti più indomabili”.

Quando si parla di autonomia dei giornalisti, si scherza ben sapendo di scherzare: la categoria a cui non appartengo da un po’ è la più incline ad attaccare l’asino dove vuole il datore di lavoro. L’indipendenza, come si evince soffermandosi su ciò che ci circonda, è un mito, una illusione che tutti seduce e che nessuno è in grado di volgere in pratica”.  Concludendo nel definire i giornalisti italiani “forse non schiavi, ma camerieri sì”.

Personalmente, ai tempi del compianto storico vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Gino Falleri, ho spesso difeso in Europa l’unicità italiana dell’Ordine dei giornalisti. Soprattutto nell’ambito della rete dei comunicatori anti-frode dell’Olaf (OAFCN), da me creata all’inizio del millennio. Ma anche con la Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ). Perché ritenevo utile per i cittadini, in epoca di fake news dilaganti, avere un organo indipendente e imparziale, che possa vigilare e garantire la libertà di stampa, ma anche il rispetto dell’etica della professione del giornalista.

Alcune cronache mi pongono tuttavia degli interrogativi. Che spero non mettano in maggiore dubbio quella che sinora è stata una mia convinzione. Ne cito solo due, molto recenti.

L’Ordine dei Giornalisti e l’assalto per via giudiziaria a Il Riformista

La prima è quella del trattamento che il direttore del Riformista, Piero Sansonetti, ha pubblicamente denunciato di avere subito dall’Ordine dei giornalisti dopo una ventina di querele ricevute da diversi magistrati italiani. Che farebbero seguito a prese di posizioni del suo giornale sulla situazione della giustizia italiana che Alessandro Sallusti e Luca Palamara hanno raccontato e documentato nel libro “Il Sistema: Potere, politica affari: storia segreta della magistratura. “Sistema” che rende torto a tantissimi magistrati, eroi nel silenzioso lavoro quotidiano. Oltre a troppi magistrati eroi martiri. Vittime tra le tante vittime innocenti di quello che non si può esitare a definire una cloaca puzzolente. Che, sebbene scoperchiata e ormai sotto gli occhi di tutti, ha suscitato sinora il silenzio assordante della gran parte dei media italiani. E che non riguarda solo i magistrati, ma anche la complicità, attiva o omissiva, di pezzi della politica, dell’avvocatura, delle forze dell’ordine e, soprattutto della stampa. Lo stesso silenzio che, fatta eccezione per Il Giornale e pochi altri, ha accolto il grido di denuncia di Sansonetti (Vogliono chiudere il Riformista, offensiva intimidatoria dei Pm contro il nostro giornale).

Piero Sansonetti (direttore de Il Riformista, a sinistra) e Carlo Verna (presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti)

La delusione

Per coerenza con la mia visione forse romantica del giornalismo, seppure nella consapevolezza di quanto giustamente ricordato da Feltri sull’illusoria indipendenza di ogni direttore dal proprio editore, non ho esitato a pubblicare su Infosec (Il sistema di Marcello Minenna imbarazza Il Riformista anti «sistema») una personale delusione nell’ambito della mia collaborazione con Il Riformista.

Non ho però voluto ritirare per questa la mia firma dal mio blog sul sito del giornale. Perché continuo a considerarlo una voce relativamente libera e contro corrente del garantismo pluralista, contro la piaga del giustizialismo mediatico e manettaro. In danno di milioni di cittadini divenuti “presunti colpevoli”. E a vantaggio dei tanti veri delinquenti che operano impuniti nel nostro Paese. E penso che il giorno che venisse messo a tacere, come Sansonetti teme e giustamente denuncia, calerebbero le tenebre sulle nostre libertà democratiche. Che comprendono la libertà di stampa, di manifestazione del pensiero e di critica. Verso tutto e tutti. Purché basata su fatti. Compresa la doverosa denuncia del “Sistema”.

Non posso quindi che esprimere tutta la mia solidarietà a Piero Sansonetti ed al Riformista.

Il sorpasso di Radio 1 da parte di Rtl 102,5

La seconda è l’altro assordante silenzio della stampa italiana seguito a una denuncia del Codacons: “Flop Radio 1, continua la perdita di ascolti e viene doppiata da RTL che registra 3,4 milioni di ascoltatori in più al giorno”.

Il Codacons l’8 aprile ha annunciato infatti di avere realizzato uno studio che mette a confronto i dati di ascolto di Rtl 102,5 (prima radio in Italia per numero di ascoltatori) e Rai Radio1 (ammiraglia della radio pubblica) resi noti dalla rilevazione ufficiale di RadioTer.

Lo scorso 13 marzo Viale Mazzini diramava una nota in cui commentava con toni trionfalistici le ottime performance di share registrate da Radio1 in determinate fasce orarie nel confronto II semestre 2019/II semestre 2020” – spiega il Codacons – “In particolare si esaltava lo share delle prime ore del mattino (quando cioè gli ascoltatori cercano fondamentalmente notizie legate all’emergenza Covid e seguono i Gr, costosissimi in termini di risorse e giornalisti), enfatizzando con risibili dichiarazioni solo la crescita di Radio1 in tale fascia oraria”, riporta il comunicato stampa assieme al link di un articolo di Prima Comunicazione.

Peccato che la nota non facesse riferimento al numero di ascoltatori giornaliero di Radio1 in forte calo (-1,8% nel periodo considerato) e dimenticasse di specificare i pessimi risultati registrati in alcune fasce orarie chiave per il servizio radiofonico”.

Il fatto che Radio1 perda ascolti e sia lontana dai dati registrati da altre radio private, dovrebbe essere una notizia che dovrebbe meritare l’attenzione della stampa nazionale. Perché la radio pubblica, a differenza di quella privata, è pagata dai cittadini attraverso il canone. E non dovrebbe permettersi performance così deludenti in fasce orarie fondamentali per il servizio pubblico.

Lo scontro Sala-Rienzi

Simona Sala e Carlo Rienzi

Ma “quando da una parte ci sono le lobby dei sindacati che nominano dirigenti a tutto spiano la stampa si tappa la bocca e chi paga il canone viene preso per i fondelli“. Ha dichiarato Carlo Rienzi, presidente del Codacons a Eurocomunicazione. Con la spesso ruvida schiettezza che lo contraddistingue. Senza risparmiare la sua aspra critica soprattutto alle dichiarazioni dei vertici di Radio1, diretta da Simona Sala, che secondo Rienzi “nascondono i disastrosi risultati enfatizzando solo la crescita di share in determinati orari, rendendo ai cittadini una informazione fuorviante e ingannevole sul reale stato di salute di Radio1, una radio oramai sempre più moribonda a causa di una gestione inadeguata”.

Quella stessa Rai che, secondo Vittorio Feltri, sebbene non sia privata e “teoricamente non dovrebbe essere asservita a interessi personalistici, in realtà è un feudo della politica, dominio dei partiti di maggioranza”.

C’è davvero differenza tra scrivere e non scrivere in epoca di fake news dilaganti?

Quando ero portavoce dell’Olaf, ho spesso affermato pubblicamente di apprezzare la qualità media dei giornalisti italiani accreditati a Bruxelles. Che nulla ha da invidiare a quella dei migliori giornalisti degli altri Paesi. E non mi riferivo solo ai bravissimi corrispondenti Rai. Quali Antonio Preziosi e Marilù Lucrezio. Tanto per citare solo gli ultimi due in ordine di tempo. Ma penso ai tanti altri corrispondenti del loro livello.

Antonio Preziosi e Marilù Lucrezio

“Ma perché io giornalista devo rischiare il carcere e risarcimenti da nababbi quando potrei limitarmi a non scrivere? Tanto tra scrivere e non scrivere non c’è molta differenza: sono pochi oggi i giornalisti che vengono pagati, quindi chi ce lo fa fare? E la disinformazione ha modo di espandersi”. Mi ha però detto uno li di loro commentando le intimidazioni subite da Sansonetti. Ed è uno storico corrispondente di importante testata italiana. Oggi in pensione.

Ed è una domanda, provocatoria ma tutt’altro che infondata, che merita senz’altro più di una riflessione. Perché, accompagnata dal silenzio stampa sui due fatti ricordati, giustifica la forse rude ma schietta conclusione di Feltri.

Il guaio non è Erdogan, bensì siamo proprio noi, perdio”.

 

Alessandro Butticé

Foto © Ordine dei Giornalisti, Il Giornale, Il Riformista, Rai, Codacons

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Da sempre Patriota italiano ed europeo. Padre di quattro giovani e nonno di quattro giovanissimi europei. Continuo a battermi perché possano vivere nell’Europa unita dei padri fondatori. Giornalista dall'età giovanile, poi Ufficiale della Guardia di Finanza e dirigente della Commissione Europea, alternando periodicamente la comunicazione istituzionale all’attività operativa, mi trovo ora nel terzo tempo della mia vita. E voglio viverlo facendo tesoro del pensiero di Mário De Andrade in “Il tempo prezioso delle persone mature”. Soprattutto facendo, dicendo e scrivendo quello che mi piace e quando mi piace. In tutta indipendenza. Giornalismo, attività associative e volontariato sono le mie uniche attività. Almeno per il momento.

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