Donatella Finocchiaro, attrice, regista, donna e mamma

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Donatella Finocchiaro

«Nel 2022 sono 20 anni che faccio questo mestiere. Prima ho cominciato con il teatro, lo facevo all’Università»

La carriera di Donatella Finocchiaro inizia per passione mentre frequenta la facoltà di Giurisprudenza a Catania. Nel 1996 debutta al Teatro dell’Orologio a Roma e si renderà conto che fare l’avvocato non è la sua strada. Ma porta comunque a compimento gli studi e mentre prepara la tesi partecipa ai provini per la scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania, dove viene ammessa poco dopo.

Nel 2001 si presenta a un casting per il nuovo film di Roberta Torre, viene scelta e diventa la protagonista di “Angela“. Il film, dopo la partecipazione al Festival di Cannes, viene proiettato in numerosi festival internazionali, dove Donatella Finocchiaro vince vari premi come miglior attrice. Tra i suoi ultimi lavori “Sorelle per sempre“, la storia di due bambine scambiate in culla.

Quali sono i passaggi fondamentali della sua carriera di attrice e di regista. E quale momento per lei ha più influito nel disegnare la Donatella Finocchiaro di oggi?

«Nel 2022 sono 20 anni che faccio questo mestiere. Prima ho cominciato con il teatro, lo facevo all’Università. Poi ho continuato, ma con il cinema più tardi. Nel 2000 ho debuttato con “Angela”, la regia di Roberta Torre. Diversi altri registri, poi l’incontro Bellocchio, la commedia di Veronesi con Verdone. Fino a “Emma Dante” che mi ha dato tante soddisfazioni e riconoscimenti».

Il momento della sua carriera che ricorda come determinante in qualche modo?

«“Angela” è stata l’inizio per me. È come se fosse il primo amore. Angela è stato il momento fondamentale perché per la prima volta mi sono ritrovata davanti alla macchina da presa. Non sapevo come muovermi, non sapevo niente. E devo dire che Roberta Torres è stata la mia mamma artistica. Mi ha insegnato a sedurre la macchina da presa, a vederla, sentirla ma non guardarla mai e quello per me è stato un momento fondamentale. Poi sicuramente l’incontro con Marco Bellocchio con cui abbiamo, poi approfondito la retrospettiva e l’indagine psicologica del testo. Mentre con Roberta avevamo tanto giocato sull’interpretazione, sul qui e ora. Le tappe sono tante, sicuramente anche l’incontro con Emanuele Crialese è stato molto fortunato dove si giocava molto sulle emozioni, sui sentimenti che si dovevano provare in quel momento e basta, l’immediatezza e la spontaneità».

Quali sono le differenze principali tra il Teatro e il cinema? Non solo nella recitazione ma anche dal punto di vista delle emozioni provate, dell’atteggiamento e di come si calca un palcoscenico

Donatella Finocchiaro«A livello emotivo secondo me la differenza non esiste. Devi essere tu il tramite di queste emozioni e quindi devi essere a servizio delle stesse. Questo sempre mentre fai l’attore. Diciamo che è una sorta di trans, le vivi in prima persona. Quindi per il cinema e il teatro è uguale. Ovviamente a teatro devi avere più tecnica, devi impostare la voce, cambiare il ritmo continuamente. Devi avere una voce bella, calda, impostata, in modo tale che arrivi al pubblico. Dei tecnicismi che al cinema non sono necessari. Per il resto è uguale, non cambia molto».

Qual è l’ultimo lavoro che ha svolto? E, parlando di futuro, qual è il prossimo ruolo che vorrà interpretare?

«Alla fine di luglio 2021 ho finito di girare un film e una serie. Il film si chiama “Greta e le favole vere” ed è diretto da Berardo Carboni. Siamo io, Raul Bova, Sabrina Impacciatore, Darko Perić e due bambini che sono i protagonisti della storia. Io interpreto la mamma di Greta, questa bambina di 12 anni che improvvisamente vuole salvare il Mondo, sulle orme di Greta Thunberg. Con la raccolta differenziata, poi cerca di salvare un orso portandolo al Circolo polare artico. Spera, insomma, di salvare il Mondo. Si tratta di una favola bellissima perché ha anche i toni della commedia. Un family con effetti speciali. A gennaio gireremo altre riprese in Trentino».

«E poi ho finito di girare una serie per Amazon con Fabrizio Bentivoglio scritta da Alessandro Robecchi, “Le avventure di Carlo Monterossi”. Anche questo molto bello e ho avuto il piacere di lavorare con Fabrizio Bentivoglio finalmente, un attore che stimo tanto con cui non avevo mai lavorato».

«Dal 30 di novembre andremo in scena con “Taddrarite” alla Sala Umberto. Questo spettacolo parla della violenza sulle donne. Un tema più che mai attuale in questo momento dato che una donna al giorno muore di violenza. Questo spettacolo lo fa in una maniera molto particolare, con un tono tragicomico racconta un pregresso che fa sorridere e poi passa a momenti di grande dolore. Tre sorelle che si trovano davanti alla bara di uno dei mariti a fare la veglia funebre».

«Poi quest’anno riporterò in scena “Il filo di mezzogiorno” di Mario Martone e abbiamo una tournée in tutta Italia».

Nella giornata dedicata alla violenza contro le donne ha trovato un gesto che l’ha particolarmente colpita?

«Quello che vedo in giro in realtà non sono dei bei gesti. Sentire raccontare al telefono da una mia amica che un uomo diceva alla compagna “ora ti stai zitta, se non la smetti ti do un calcio in bocca” fa rabbrividire. O il modo in cui spesso gli uomini si rivolgono alle donne. Mi è capitato una volta di vedere all’aeroporto una donna con il marito che andavano di corsa mentre facevano il controllo dei bagagli dire “Stai zitta, sbrigati” urlando. Purtroppo le donne sono vittime della violenza psicologica esercitata dagli uomini. La violenza fisica fa una vittima al giorno ma quella psicologica chissà quante fa. Si tratta di un tarlo che lede la tua autostima, fa vacillare la fiducia in te. Inizi a pensare “merito questo”, merito di stare zitta, non sono adatta. E piano piano svilisce la figura della donna».

«Poi ci sono quelle che si ribellano, che dicono “non valgo così poco quindi ti lascio”. E spesso l’uomo dà di matto, dice “no, non lo posso sopportare” e quelli malati arrivano fino a uccidere».

Sappiamo anche bene che noi possiamo lavorare sui nostri figli

Donatella Finocchiaro«Il lavoro che si deve fare è quello di riequilibrare la figura dell’uomo e quella della donna. Questo lo devono fare le famiglie, la scuola, è una cosa che inizia dai genitori. Se i figli vedono il padre che abusa della madre è un copione che ripeteranno. Picchiare una donna è un film che tutti abbiamo visto. Io ho visto mia madre che stava zitta quando litigavano, senza arrivare a violenze, però il copione psicologico è quello. La donna che deve stare zitta. Meglio sole che male accompagnate. Poi gli uominisaniesistono. Però dobbiamo lavorare anche sugli spazi che possiamo conquistare. Donne al comando alla pari degli uomini».

Lei crede nelle pari opportunità delle quote rosa? O ritiene che anche quelle siano una limitazione?

«Per me le quote rosa dovrebbero esserci in ogni campo. Perché noi abbiamo bisogno di una parità che non esiste».

Come donna in quale ambito si sente più appassionata? E in quale spazio il suo pubblico le è più vicino?

«Io mi sento realizzata, attualmente nel mio lavoro e nella vita. Come compagna no perché non sono fidanzata con nessuno quindi non ho un ruolo da coprire come fidanzata. Mi ritengo abbastanza soddisfatta del mio ruolo come figlia, come amica, come sorella. Però c’è sempre da imparare, soprattutto come madre non è facile trovare veramente il proprio ruolo».

 

Ginevra Larosa

Foto © Donatella Finocchiaro, Mymovies, Mywhere, Aa

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