La Corte Suprema britannica frena il divorzio dalla Ue della May

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«Sulla Brexit deve votare il Parlamento». Ma il governo UK prepara le contromosse. Nessuna possibilità di veto concessa a Scozia e Irlanda del Nord

Il gabinetto Tory del primo ministro di Sua Maestà Theresa May dovrà passare per un voto delle Camere per l’uscita dall’Unione europee, non ci sono scappatoie. Nel Paese che il parlamentarismo l’ha inventato, prima di avviare l’iter formale di separazione dal “Continente”, come ci si è sempre rivolti nei confronti degli altri Paesi dell’Ue, attraverso la notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, bisogna passare per i rappresentanti del popolo.

Lo ha deciso in via definitiva la Corte Suprema britannica (nella foto di apertura), con un verdetto in qualche modo storico, che dà torto all’esecutivo e ragione a un piccolo gruppo di cittadini guidati dalla combattiva attivista, filantropa, donna d’affari d’origine guyana Gina Miller (a destra), costretta ad avere una scorta di protezione per le minacce degli ultranazionalisti. Ma esclude pure, in questo caso a vantaggio del governo del Regno Unito, un qualsiasi diritto di veto da parte delle assemblee elettive di Scozia, Irlanda del Nord e Galles.

Un imprevisto nemmeno troppo preso in considerazione da parte della premier che ha preso il posto di David Cameron, sconfitto dal referendum, quella May che nei giorni scorsi ha anticipato una trattativahard“, dura e pesante, senza compromessi, con totale sganciamento dal mercato unico europeo, tanto caro a Londra e alla sua City. Ma subito si sottolinea da Downing Street come la decisione, anche se deludente (per gli interessi del governo, ndr), degli 11 supremi giudici del Regno, non metterà certo in discussione la volontà popolare espressa nel risultato referendario dello scorso 23 giugno. Così come non cambia la scadenza (entro fine marzo) per far partire i negoziati d’uscita.

L’intenzione – ha poi chiarito il ministro per la Brexit, David Davis (nella foto a destra), così come riportato dall’Agenzia Ansa – è a questo punto quella di depositare in aula già domani una «legge il più inequivocabile possibile» che autorizzi lo stesso governo ad attivare l’articolo 50: quasi un prendere o lasciare per deputati e lord, «sfidati» da Davis ad accettare o meno «la volontà popolare» espressa nel voto di 7 mesi fa.

Lord Neuberger

Ma l’incognita che tutti si pongono, ora, è quanto possa esser veloce il dibattito parlamentare, per arrivare alle scadenze decise. «Il governo non può far scattare l’articolo 50 senza un atto del Parlamento che lo autorizzi», ha chiuso i “giochi” il presidente della Corte Suprema, lord Neuberger, illustrando in sintesi le argomentazioni del dispositivo. Che riconoscono, in via teorica, il diritto di appellarsi alla vecchia “Royal Prerogative” e di agire in autonomia, anche scavalcando il Parlamento, in materia di revoca d’un accordo internazionale.

In attesa che ciò avvenga (ma è improbabile, ndr) la parola finale spetterà, dunque, ai Comuni, mentre la Camera dei Lord – non elettiva e in larga prevalenza filo Remain – potrebbe al limite rallentare la procedura. Fra i deputati, però, la disciplina di partito e gli umori della base sembrano garantire l’allineamento della maggioranza conservatrice. Mentre il leader laburista, Jeremy Corbyn, tenterà d’imporre tre emendamenti (niente tariffe doganali con l’Europa anche fuori dal mercato unico, rispetto dei diritti dei lavoratori e spazio a un ulteriore voto parlamentare a fine negoziato prima della firma dei “documenti di divorzio”), ma esclude comunque fin d’ora ostruzionismi contro il volere popolare.

Più coriacei, ma non decisivi, i nove deputati Libdem di Tim Farron, che pretenderebbero un (improbabile) secondo voto popolare prima di dire sì all’avvio dei negoziati. Oltre ai 54 indipendentisti scozzesi della Snp (Scottish National Party), scottati dalla bocciatura unanime da parte della Corte del secondo ricorso che, in nome della secessione (devolution) già più volte minacciata dalla first minister Nicola Sturgeon, avrebbero voluto attribuire voce in capitolo sulla Brexit pure ai parlamenti locali di Edimburgo, Belfast e Cardiff. Ora si tratta di condurre una battaglia di testimonianza a Westminster, con tanti emendamenti quanti sono i Braveheart presenti ai Comuni, così come faranno una sparuta parte dei laburisti (6 ufficializzati fino ad ora) e un Tory “ribelle”, per un totale, sommando anche altre formazioni, che arriva a 76 deputati.

 

Angie Hughes

Foto © BBC

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Angie Hughes
Scrivere in italiano per me è una prova e una conquista, dopo aver studiato tanti anni la lingua di Dante. Proverò ad ammorbidire il punto di vista della City nei confronti dell'Europa e delle Istituzioni comunitarie, magari proprio sugli argomenti più prossimi al mio mondo, quello delle banche.

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