La Svezia al voto, le più incerte elezioni della storia recente

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Il tema dei migranti al centro del dibattito. L’ultradestra populista in ascesa vuole chiudere le frontiere e puntare alla “Swexit”. Fine del socialismo al potere da 101 anni?

Domenica 9 settembre si apriranno le urne elettorali per rinnovare il Riksdag, il parlamento nazionale del Regno di Svezia, e tutto pare preannunciare come un terremoto politico nel Paese scandinavo. Gli ultimi sondaggi certificano la crisi dei partiti tradizionali, a cominciare dai socialdemocratici del primo ministro Stefan Löfven, ma anche quelli dell’attuale opposizione di centrodestra. Un trionfo, invece, per i cosiddetti sovranisti locali. Vediamo tutto con ordine. Il punto di base è che quasi un quarto dei 7,4 milioni di elettori chiamati al voto domenica per rinnovare i 349 membri del Parlamento, le Assemblee di 20 contee e 290 Assemblee municipali, è ancora indeciso sulla forza politica alla quale regalare la propria preferenza.

Una percentuale in realtà in linea con quelle registrate alle elezioni precedenti, assicura Annika Fredén, professore di scienze politiche all’Università Karlstad, confermato da quanto risulta da un sondaggio Kantar SIFO commissionato dal quotidiano Svenska Dagbladet e realizzato tra il 30 agosto e il 2 settembre. Un’altra inchiesta commissionata dalla Radio svedese e divulgata oggi fotografa una situazione in cui il blocco dei partiti di sinistra, quello socialdemocratico del premier Löfven – da quattro anni a capo di un governo di coalizione di minoranza – e il suo partner di coalizione, il partito ecologista, sarebbero, assieme al Partito di sinistra, in vantaggio rispetto al blocco (“Alleanza”) di quattro partiti di centro-destra (il Partito Moderato, il Partito di Centro, i Liberali e i Cristianodemocratici) ma non riuscirebbero a ottenere una maggioranza: con i voti sommati dei socialdemocratici, dei Verdi e del partito di sinistra, il blocco si assicurerebbe al massimo il 41,2% delle preferenze, poco più di tre punti percentuali in più rispetto al centrodestra.

A restare aperta sembra dunque la strada di un nuovo governo di minoranza – a meno di un’ipotesi Grande Coalizione, anche se in Svezia non esiste una tradizione di questo genere, “alla tedesca” – con la possibilità per i partiti di governo di collaborare su singoli temi con forze politiche appartenenti all’altro schieramento. Effetto di un’insolita frammentazione del voto, che favorisce principalmente gli Svedesi Democratici (SD), una formazione populista ultranazionalista, di destra radicale, anti-immigrazione. Alcuni sondaggisti si sono spinti anche oltre, azzardando l’ultradestra primo partito del Paese spingendosi fino a un picco del 28,5%: sarebbe un risultato storico, dopo 101 anni di primato ininterrotto da parte del partito socialdemocratico. Anche solo immaginare un simile scenario, nella Svezia campione di tolleranza e accoglienza, è un chiaro segnale dei tempi che cambiano. E così anche l’ultimo baluardo della socialdemocrazia al potere rischia di cadere.

Protagonisti di una campagna elettorale largamente centrata sulla difesa dei valori tradizionali e sulla protezione sociale, gli SD – guidati dal giovane leader Jimmie Åkesson – hanno dettato l’agenda politica degli ultimi anni in tema d’accoglienza, criticando ferocemente le politiche migratorie del governo e i ritardi nei processi d’integrazione. Il premier uscente ha fatto campagna puntando sui risultati ottenuti, in particolare sul più alto tasso di occupazione di sempre per il Paese di dieci milioni di abitanti e ha cercato di equiparare il voto a una sorta di referendum sul welfare, visto l’interesse indicato dai lettori per l’assistenza sanitaria. Eppure si avvia secondo le anticipazioni della vigilia a raccogliere il peggior risultato dal 1920. Altri temi sono andati ad occupare infatti il centro del dibattito, tra cui l’immigrazione e l’integrazione dei migranti oltre alle questioni legate alla legge e all’ordine. Nel 2015 Löfven ha adottato una politica di accoglienza agli immigrati più rigida degli anni precedenti e ha assicurato in vista del voto di voler adottare una politica migratoria in linea con i livelli Ue. Un giro di vite che non è piaciuto ai partner ecologisti dei socialdemocratici ma che riflette le crescenti inquietudini della popolazione, alimentate dal partito di Åkesson. Rispetto al quale però gli altri partiti hanno preso le distanze, indicando che non intendono collaborare con la formazione politica dopo il voto.

Così se solo nel 2015 la Svezia aveva accolto più di 160mila nuovi migranti – un’enormità in una nazione che supera di poco i 10 milioni di abitanti – cui lo Stato paga anche i corsi di lingua, per favorirne l’integrazione, negli anni successivi la quota annuale non ha mai superato le 25mila unità. Ma il danno politico era stato già fatto, se è vero che gli SD nel frattempo hanno raddoppiato le preferenze. Promettendo, se andranno al governo, un referendum per uscire dall’Unione europea (Swexit) e di destinare i soldi attualmente spesi per l’accoglienza nel sistema sanitario nazionale. Che resta la vera priorità degli elettori svedesi, abituati ad un welfare, un tempo modello di riferimento mondiale, oggi evidentemente in crisi. Difficilmente, però, gli SD potranno andare al governo. Nessun partito sembra disposto ad alleanze, per via anche delle passate contiguità con formazioni neo-naziste. Il partito ha saputo approfittare della montante ondata xenofoba e nazionalista soffiando sul fuoco delle paure. La sua campagna elettorale ha ricalcato temi e immagini ben conosciute anche nell’Europa del Sud: quartieri di periferia dove gli abitanti vivono nella paura degli immigrati, lampeggianti della polizia, auto che esplodono. È su questo che ha deciso di puntare il leader del partito. Åkesson oggi ha 39 anni e quando prese in mano il partito ne aveva 30. Era un partito di estrema destra, nato come movimento, così come un movimento era all’epoca il Partito del Progresso norvegese e il Partito del Popolo danese. Arrivato al vertice, il giovane ha fatto quello che è stato fatto anche in altri movimenti della destra europea: mettere da parte e accompagnare alla porta i più impresentabili, favorendo una trasmutazione non genetica, ma estetica. Questo ha permesso lo sfondamento al centro, dove l’elettorato medio in fondo non aspettava altro. Lo stesso processo registrato nel Regno Unito o in Germania.

 

Theo Åkerlund

Foto © The Local Sweden, Twitter

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