Presidenziali in Ucraina: i russofoni voteranno scheda bianca?

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Le regioni orientali dell’Ucraina e il loro “niet” alla politica europeista del nuovo governo insediatosi a Kiev

Per chi voteranno i russofoni d’Ucraina alle prossime elezioni presidenziali del 25 maggio? La domanda è d’obbligo, perché quella consultazione segnerà il futuro della tormentata nazione ex sovietica e perché ad oggi non ci sono in lizza candidati in grado di rappresentare le regioni sudorientali del Paese, dove quattro anni fa il deposto presidente Yanukovic (russofono) aveva ottenuto tra il 60 e l’80 per cento dei consensi. L’ipotesi più scontata è quella di un boicottaggio di massa delle elezioni da parte degli elettori locali, il che sancirebbe di fatto la secessione da Kiev: del resto, fin da prima della caduta di Yanukovic, che da queste parti aveva il suo feudo elettorale, i movimenti pan-russi hanno già pronta la dichiarazione di autodeterminazione delle oblast’ centrali e sudorientali ucraine, che confluirebbero nell’autoproclamata federazione della Malorussia, la Piccola Russia.

A queste latitudini gli “europeisti” hanno poca voce in capitolo. I russofoni sono in maggioranza schiacciante, e l’Europa non la vogliono. Temono che a beneficiare dell’area di libero scambio con l’Ue sarebbero solo le regioni occidentali, quelle al confine con la Polonia, mentre nell’Est del Paese, quello dei bacini carboniferi e degli impianti siderurgici, l’assenza di un apparato produttivo minimamente competitivo significherebbe scivolare ancor di più lungo il crinale della miseria. Qui l’unica Europa che piace è quella calcistica, terra di successi dello Shakhtar Doneck, divenuta negli ultimi anni una potenza del football europeo grazie agli investimenti milionari del presidente Rinat Akhmetov, figlio di un minatore e ora influente oligarca a capo di una potente holding operante nel settore minerario e metallurgico. Come nella Catalogna del Barcellona, anche qui nel Donbass il calcio è fenomeno sociale, che dà consenso e identità territoriale: il primo è tutto per Akhmetov, eletto parlamentare nelle fila del partito di Yanukovic, la seconda è quella dei russofoni che riconoscono alla sua squadra di calcio un senso di identità, un po’come i tifosi catalani fanno con i blaugrana. Non è forse un caso che tra le lingue del sito ufficiale dello Shakhtar (o Shaktjor, come dicono da queste parti) il russo venga prima dell’ucraino.

Ma nel Donbass del carbone gli equipaggiamenti obsoleti e i bassi standard di sicurezza troppo spesso hanno trasformato le miniere in trappole mortali: come nel 2007 a Doneck, nella miniera di Zasjadko, dove trovarono la morte ben 101 minatori. Un bollettino di guerra che colloca le miniere Ucraine, e soprattutto quelle della oblast’ di Doneck, tra più pericolose al mondo. Quelle stesse miniere che però pesano per più del 25% sulle entrate di bilancio della nazione e rappresentano una fonte di occupazione per gli abitanti di queste zone, ma che senza le forniture energetiche russe e l’export verso Mosca non possono sopravvivere: se Kiev dovesse rompere, o comunque ridimensionare, i rapporti commerciali con la Russia, ciò significherebbe un colpo mortale per queste comunità che vivono intorno alle deboli strutture produttive di questa regione, già fiaccate dalla recessione economica e dalla mancanza di lavoro. “L’impatto sulla società, esposta al rischio di ulteriore povertà e disoccupazione, sarebbe esplosivo”, ammoniscono alcuni esponenti locali del partito di Yanukovic. Una società che sembra ancora quella sovietica, dove il nemico viene sempre da occidente.

L’Unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan piace molto qui nell’Est dell’Ucraina: “Sono sempre stati nostri fratelli, perché li dovremmo lasciare?” si chiedono in tanti, consapevoli di esser parte di un ensemble geopolitico non ben definito che, ad ogni modo, è più vicino alla Russia che all’Europa comunitaria. Si tratta di coloro rimasti scottati dall’Ucraina a due velocità figlia della Rivoluzione Arancione del 2004, targata Yuschenko-Timoshenko. La modernizzazione e l’occidentalizzazione, promessi dieci anni fa, nelle regioni orientali hanno comportato solo un peggioramento delle condizioni di vita, con chiusura di fabbriche e miniere, e conseguente spopolamento dei villaggi circostanti. “Ma con la vittoria presidenziale di Yanukovic nel 2010 le cose hanno cominciato lentamente a migliorare”, ripetono gli abitanti del Donbass. La loro paura di perdere quel poco che hanno è forte, quasi quanto la voglia d’Europa urlata per mesi da piazza Maidan a Kiev.

Alessandro Ronga

Foto © European Community, 2014

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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