Tajani: “Flessibilità? Non basta una chiacchierata con la Merkel”

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Il Vicepresidente vicario dell’Europarlamento in un’intervista-dialogo sul Semestre Europeo, la flessibilità e il ruolo dell’Italia nell’Ue

Si dice d’accordo con il governo per aver posto flessibilità al centro del dibattito europeo, meno per aver creato l’illusione che tutto possa essere risolto durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue, e rimprovera i nostri partiti di essere divisi nel tutelare gli interessi nazionali, e vorrebbe un Commissariato economico affidato ad un italiano: è stato Antonio Tajani, esperienza ventennale nelle istituzioni comunitarie e neo Vicepresidente Vicario del Parlamento Europeo, l’ospite della seconda intervista-dialogo condotta dal giornalista Rai Angelo Polimeno (Tg1) per la serie “Le priorità della legislatura UE 2014-2019”, iniziativa organizzata a Roma dalla Rappresentanza dell’Ue in Italia. Ecco i passi più importanti dell’intervista.

Impressioni sul nuovo Europarlamento: gli euroscettici crescono non più di tanto, le forze europeiste reggono.

«Gli euroscettici son tanti ma sono diversi tra loro. Chi li ha votati non è contro l’Europa ma contro i sacrifici imposti per la tenuta macroeconomica a scapito del sociale e dell’industria. La nuova legislatura dovrà far politica per la crescita: serve dunque un bilanciamento per uscire dalla crisi e consolidare i risultati finora raggiunti. Il che vuol dire che oltre al risanamento dei conti bisognerà puntare all’economia reale e al suo rilancio. Ovvero, preparare il terreno per la creazione di nuove attività, che significa anche più produzione e quindi maggiori entrate per l’Erario, e conseguentemente una riduzione della pressione fiscale su imprese e cittadini».

Il Parlamento Europeo è più forte o meno forte di prima?

«L’Europarlamento deve contare di più. È un organo elettivo, rappresenta i cittadini e deve giocare un ruolo importante. Ma noi italiani dovremmo incidere di più sulle decisioni, così come fanno i tedeschi, che sono sempre presenti nel lavoro delle commissioni per tutelare i propri interessi, senza divisioni imposte dal colore politico. Essere presenti in Europa come politici dovrebbe esser la regola, ma spesso in Italia l’importanza di Bruxelles viene sottovalutata. Centrodestra e Centrosinistra guardano all’Europarlamento come terzo ramo del Parlamento italiano: ci si presentano divisi senza considerare invece che solo restando uniti avranno la forza politica per tutelare gli interessi nazionali. Perchè più forte sei, più ti rispettano e più riesci a imporre il tuo punto di vista».

All’Europarlamento esiste una divisione tra nazioni del Nord e del Sud Europa, più che tra Popolari e Socialisti?

«Nel Sud Europa ci sono visioni diverse, ad esempio, sull’inflazione, che vien considerata come un mezzo per rilanciare i consumi, mentre nel Nord i tedeschi la avversano per ragioni storiche, visto che fu proprio l’inflazione elevatissima nella Repubblica di Weimar a spalancare le porte alla dittatura nazista. La costruzione di una politica comune europea deve cominciare dentro gli stessi partiti che compongono l’Europarlamento, ma ci vorrà del tempo».

Che idea si è fatto delle prime mosse di Renzi in Europa?

«Il premier ha fatto bene a porre il problema della flessibilità, ma ha sbagliato a far intendere che una chiacchierata con la Merkel avrebbe portato a risultati rapidi: ci vorranno anni e non basterà certo la presidenza italiana, che è pur sempre una presidenza di routine. Non carichiamola di attese, rischiamo di restare delusi. La crisi dura dal 2008 e nessuna presidenza l’ha finora risolta. Vediamo quali saranno i risultati concreti».

Più titolo di giornale che sostanza, dunque?

«Bisogna essere in grado di incidere in Commissione. Il governo vorrebbe un italiano come Alto Rappresentante per la Politica Estera (il ministro degli Esteri dell’Ue, ndr) ma per un Paese che vuole pesare di più in Europa questo sarebbe un errore: è un ruolo che prevede continui viaggi all’estero, e di conseguenza una scarsa influenza nelle decisioni della Commissione Europea. E comunque l’erede di Catherine Ashton dovrebbe essere un personaggio come lei, di peso ed esperienza, non me ne voglia il ministro Mogherini. No, se vuole imporre la propria politica in modo incisivo, all’Italia serve un commissario economico, opinione condivisa pure da Scalfari e da Bini Smaghi. Se fossi in Renzi, chiederei per l’Italia il Commissario al Commercio internazionale».

Gli analisti dicono che all’Italia serve una manovra aggiuntiva…

«Il peggio è alle spalle ma siamo ancora nel tunnel. Non possiamo chiedere flessibilità senza portare in cambio riforme e risultati: va agevolato chi crea lavoro, ma l’eccesso di burocrazia, la malagiustizia e la pressione fiscale pesano ancora troppo sulle imprese. Ecco, a Bruxelles bisogna presentare riforme avviate e non compromessi».

C’è spazio per negoziare una soluzione che eviti una manovra correttiva all’Italia?

«Mi auguro di sì ma temo che la manovra serva».

Fra due anni e mezzo bisognerà eleggere il nuovo presidente del Parlamento Europeo. Considerato l’enorme consenso ottenuto per la nomina a Vicepresidente vicario, può essere lei il candidato del Ppe alla prossima presidenza dell’Europarlamento?
«Quello che per ora conta per me è lavorare bene, con impegno e serietà. Poi vedremo cosa accadrà tra due anni e mezzo».

Alessandro Ronga

Foto © European Community, 2014

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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