“Parlamenti nazionali e Unione europea nella governance multilivello”

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Riflessioni dall’Europa e sull’Europa in occasione del convegno dello scorso 13 maggio a Roma, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio

L’Unione europea è una macchina complessa, che vive autonomamente ma è alimentata dalle sue stesse istituzioni e da quelle nazionali, nonché dalle Autorità indipendenti. Tutti questi dovrebbero operare armonicamente, per creare politiche coordinate e unitarie. Eppure, proprio la peculiarità e la complessità dell’Unione e di tutti i suoi organismi, rendono il compito non sempre di facile esecuzione. Di questi problemi e di come affrontarli è stato discusso nella giornata del 13 maggio presso la Sala del Mappamondo, a Montecitorio, in occasione del convegno “Parlamenti nazionali e Unione europea nella governance multilivello“.Nuova immagine (3) Una giornata intensa, di conferenze, dibattiti e relazioni in un clima altamente competente e multiculturale. I temi affrontati rimandavano a una matrice comune, questione accesa e sempre attuale che desta perplessità e dubbi, ma anche speranza e voglia di cambiamento: i rapporti (a volte controversi) tra i Parlamenti nazionali e le istituzioni dell’Unione europea. Nel dettaglio, sono stati presi in esame quelli che intercorrono tra i Parlamenti e le Autorità indipendenti. Le maggiori preoccupazioni a livello europeo sono destate dall’influenza parlamentare, piuttosto che governativa, al fine della tutela dell’autonomia delle Autorità indipendenti, col serio rischio di una nefasta influenza dei partiti.

Montecitorio plaza- Italian chamber of deputies, Roma

Partendo da un excursus sul rapporto tra Parlamenti nazionali e Corte di Giustizia europea, è stato ravvisato come sia scarsa la resa dell’accesso indiretto dei primi alla seconda ed è stato indagato il ruolo delle varie Corti Costituzionali nazionali. Ambigua è la formulazione dell’art. 8 comma 1 del Protocollo sul ricorso dei Governi alla Corte di Giustizia che lascia la scelta agli Stati membri in tema di sussidiarietà. Esistono due idee, due dottrine e due modalità di comportamento: da una parte si predilige il campo parlamentare multilivello, per cui il deficit democratico si fa risiedere nel ruolo autonomo dei Parlamenti nazionali; dall’altra vige l’idea fautrice di una rigida separazione tra Parlamento europeo e quelli nazionali, attribuendo al primo il compito di colmare il deficit democratico riconoscendolo come organo legislativo in uno Stato costituzionale di diritto.P0028150410H All’inizio prevalse la visione multilivello privilegiando il rapporto diretto tra i Parlamenti e la Corte di Giustizia. Ma qualcosa nella fase applicativa dell’art. 8 è cambiato: con l’appiattimento agli interessi nazionali, è venuto meno il confronto tra maggioranza e minoranza, ossia quel meccanismo necessario a un sistema democratico. Dunque, i Parlamenti nazionali sembrano aver esportato il deficit democratico a livello europeo. Il ruolo della Corte di Giustizia è collegato alla simmetria esistente tra i diversi Parlamenti nazionali, ma è ben evidente che tra questi ci sia una sostanziale asimmetria che si riflette inesorabilmente anche sui rapporti tra le varie Corti Costituzionali. Momento centrale del controllo parlamentare del diritto dell’Unione europea che influenza gli Stati membri è il ruolo dei Parlamenti nella ratifica dei trattati. In questo viene riconosciuto alla Germania il merito di essere stato precursore nella convergenza delle politiche monetarie ed economiche, nel riconoscimento da parte della Corte tedesca del ruolo del Parlamento nella ratifica dei trattati e nel controllo ex post. Le istituzioni europee non seguono logiche nazionalistiche e manovre di potere statale e le assemblee legislative importanti dialogano con le istituzioni in tutte le fasi decisionali coordinate per accrescere lo standard di democrazia, operando in nome dei valori fondativi dell’Unione quali la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà e il rispetto della dignità. Le Autorità amministrative indipendenti europee nascono in deroga al principio di separazione dei poteri e vanno a incidere sulla sfera legislativa e costituzionale nazionali, con obiettivi e finalità proprie: l’abbattimento dei monopoli pubblici, lo sviluppo di processi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici e lo sviluppo del mercato comune. Per questo si caratterizzano come organismi di frontiera, a confine tra amministrazione nazionale ed europea. I problemi che incontrano principalmente sono due: da una parte la loro legittimazione in assenza di specifiche previsioni nei testi costituzionali; dall’altra l’indipendenza dai Governi e dal potere esecutivo. Per la loro composizione e funzione si caratterizzano di una forte legittimazione tecnica, ma al contrario non dispongono di adeguata legittimazione democratica consona alla natura delle competenze che esercitano non solo in ambito economico ma anche in tema di diritti fondamentali come la privacy, le comunicazioni, l’uso dei trasporti, dell’energia, ecc. Ecco, allora, l’esigenza di costruire un rapporto di legittima azione tale da non compromettere l’indipendenza di questi soggetti dai Governi, poiché è proprio questa indipendenza la caratteristica fondamentale che ne giustifica l’autonomia in deroga ai principi della separazione dei poteri e del controllo dei Governi sulle amministrazioni. Nei vari Paesi questo rapporto di legittima azione si è sviluppata con modalità differenti, ma sempre seguendo due percorsi comuni: il collegamento tra Autorità e Parlamenti nazionali; il collegamento tra Autorità e istituzioni europee. Un esempio tra i tanti può essere quello italiano: qui il collegamento delle Autorità con il Parlamento avviene sia attraverso le nomine dei componenti di questi organismi, sia attraverso le informazioni che le Autorità devono offrire al Parlamento per dare a questo la possibilità di intervenire sulle politiche delle Autorità stesse. Ma ciò che è stato riscontrato è che questi legami sono deboli e non hanno funzionato bene, poiché il rapporto col Parlamento ha rischiato di inficiare l’indipendenza delle Autorità, che in sostanza è il loro fondamento. Il dilemma che si pone è migliorare questi rapporti e la soluzione ravvisata è renderli il più trasparenti possibili, soprattutto nella procedura delle nomine, aumentando la compatibilità tra le istituzioni, accompagnando così l’indipendenza di questi organismi alla loro professionalità. I raccordi, invece, tra Autorità e istituzioni europee passano per le direttive della Commissione che hanno valorizzato questi rapporti in diversi settori di competenza, come ad esempio le comunicazioni elettroniche tramite la direttiva quadro del 2002 che ha imposto la responsabilità all’Autorità. La necessità, però, è quella di affiancare a quello tra Autorità e Commissione anche il rapporto tra le prime e il Parlamento europeo.

European Parliament President Jerzy Buzek speaks during of the 7th plenary session of the Parlamentary assembly of the Union for the mediterranean at Italian Chambers of Deputies at Palazzo Montecitorio on March 4, 2011in Rome.

Le Autorità europee sono sempre in grado di intervenire sulla regolamentazione delle Autorità nazionali che devono tenerne in conto gli indirizzi, soprattutto a seguito della crisi finanziaria. I rapporti tra Parlamenti e Autorità nazionali sono basati sulla responsabilità reciproca (non tutte hanno rapporti con le Autorità europee, ossia non discendono dalla predisposizione di una quadro normativo europeo). La responsabilità principale dei Parlamenti nazionali verso le Autorità è quello della loro costituzionalizzazione, il che vuol dire restituire un fondamento costituzionale alla loro esistenza per l’esercizio di determinati poteri. Ciò che accade in Europa conferma che questa opzione della costituzionalizzazione non è stata attuata, perché l’indipendenza delle Autorità viene trattata diversamente a seconda dei Paesi. In Germania, ad esempio, delle Autorità se ne riconoscono solo le competenze tecniche. In Italia, invece, questa indipendenza è stata largamente esasperata (specialmente a seguito dei fatti di Tangentopoli). L’esigenza era di sganciare questi organismi dalla politica. La dottrina ha teso a legittimare sempre di più le Autorità, spingendo alla creazione di nuove, ma senza soffermarsi sulle necessarie modifiche e gli aggiustamenti che servivano a rendere le Autorità parte del sistema a fronte dello sganciamento estremo che è stato adottato. In virtù della loro formale neutralità, le Autorità sono considerate le dirette responsabili di decisioni che la politica non vuole assumersi. La tendenza del legislatore è abusare delle Autorità indipendenti, talmente indipendenti, però, da nascondere una forte volontà della classe politica di mantenere dei contatti con loro senza accettarne le istruzioni. Anche la storia delle nomine nelle Autorità è qualcosa che negli anni ha impensierito: la scelta delle stesse persone con continuità, la lentezza delle procedure, gli scandali spesso usciti sembrano confermare che a tirare le fila ci sia ancora la volontà di comando politica.

A view of the 7th plenary session of the Parlamentary assembly of the Union for the mediterranean at Italian Chambers of Deputies at Palazzo Montecitorio on March 4, 2011in Rome.

Nel nostro Paese i dilemmi e le ambiguità in tema di legittimazione delle Autorità indipendenti sono rintracciati negli articoli della Costituzione: il 97, che apre all’imparzialità e all’autonomia degli apparati amministrativi, e il 95 che delega il Presidente del Consiglio quale guida dell’indirizzo politico. Il paradosso nasce proprio dalla definizione delle Autorità: se sono indipendenti non possono essere amministrative e se sono amministrative non possono essere indipendenti. In Italia il maggior numero di Autorità nacque negli anni ‘90 per diversi motivi: primo tra tutti combattere la corruzione (la politica ha dovuto abdicare a molti dei suoi poteri); la seconda ragione fu l’inefficienza dell’amministrazione ordinaria (serviva professionalità tecnica di cui questa non era dotata); inoltre, c’era l’esigenza di creare una regolamentazione economica non intrusiva, non dirigista (era periodo di privatizzazioni e di liberalizzazioni). Al giorno d’oggi queste stesse ragioni giustificative persistono ancora, non sono state superate. In Europa le Autorità sono nate per motivi differenti: 3 sono state sviluppate dal 2011 e sono Autorità di vigilanza finanziaria; la BCE ha aumentato le proprie competenze che non riguardano più solo la politica monetaria ma anche la vigilanza sulle banche degli Stati membri dell’Unione, proprio a seguito della crisi. L’Europa incide sull’indipendenza delle Autorità nazionali tramite direttive, di cui è un esempio il pacchetto in materia di comunicazione elettronica ed energie. A livello nazionale non viene messa in dubbio la professionalità delle Autorità o delle loro politiche, il limite piuttosto risiede nei procedimenti normativi e amministrativi che devono essere motivati, con il rischio di annullamento in assenza di garanzia. Ciò, ovviamente, pone ostacoli all’azione delle Autorità. Per risolvere queste ambiguità non serve una legge, bensì una buona prassi. Il problema di fondo delle nomine si potrebbe risolvere con procedure che avvengano in piena trasparenza e pubblicità. Una best practice in questo fu l’Inghilterra, ove il precedente vertice delle Autorità di concorrenza era un irlandese (è risaputo che storicamente tra inglesi e irlandesi non corre buon sangue). Altro nodo da sciogliere è la sovrapposizione di competenze e poteri tra Autorità e amministrazioni locali (come accade nel settore dei trasporti). Le Autorità sono soggette alla legge nazionale e il Parlamento ne nomina i vertici, inoltre sono costrette a relazioni circa le attività svolte e rendicontazioni con analisi sugli impatti delle regolamentazioni. Le leggi nazionali attribuiscono ai Parlamenti triplici funzioni: definire l’area della regolamentazione indipendente; essere garanti della indipendenza della Autorità; essere titolari della responsabilità politica dell’attività dell’Autorità stessa surrogando l’assenza di altri controlli politici del Governo. L’effettività e l’estensione di queste funzioni sono cambiate nel tempo. In Italia tale mutamento è dato da fattori nazionali e sovranazionali (europei) quali: politiche di contenimento della spesa pubblica; la scarsa effettività delle funzioni delle leggi di controllo del Parlamento; l’intromissione indebita della politica sulle Autorità. Il diritto europeo ha inciso su tutte queste funzioni, modificando il ruolo del Parlamento. Favorendo la creazione di reti tra le amministrazioni europee per lo scambio e la coordinazione, spesso le Autorità devono la loro indipendenza proprio alle direttive europee (doppio livello di regolazione: comune europeo e a livello nazionale). Cosa ne consegue? Le Autorità non rispondono solo alle leggi nazionali ma anche a quelle europee, pertanto il Parlamento nazionale non è più l’artefice dell’estensione dell’area dell’organismo indipendente e sulle sue decisioni vige il controllo del Giudice. Inoltre, le norme europee rispondo al problema di legittimazione costituzionale delle Autorità con un diretto riconoscimento nei trattati. La strutturazione dei rapporti è sempre più elaborata, con un duplice effetto: è incrinata l’idea che le Autorità rispondano solo alla norma senza detenere legami con gli apparati amministrativi; le Autorità nazionali che derivano la loro garanzia dal diritto europeo proprio da questo subiscono limitazioni alla loro indipendenza poiché operano anche come esecutori del vertice europeo che loro stesse concorrono a legittimare.

European Parliament President Jerzy Buzek  takes part a meeting of the parlamentary assembly of the Union for the mediterranean on March 3, 2011 at Palazzo Montecitorio in Rome.

Un settore particolarmente controverso e soggetto a dibattiti continui riguarda la sfera di competenza delle Autorità indipendenti nella diffusione dei prodotti radiotelevisivi con natura economica e culturale. Il problema dei rapporti tra politica e radiotelevisione concerne la messa a disposizione del mezzo radiotelevisivo ai soggetti politici nelle varie fasi del processo democratico e la copertura da parte del mezzo delle vicende politiche. Le democrazie contemporanee presentano principi comuni nella regolamentazione, ma non esistono fonti del diritto europeo se non facendo richiamo al principio del pluralismo dell’informazione ribadito dalla CEDU e nelle varie direttive basate sul pluralismo delle voci in tutela alla concorrenza nel mercato audiovisivo. Mancano i media europei, un reale spazio pubblico di competizione delle forze europee e manca un tentativo di armonizzazione. In Italia la parlamentarizzazione del controllo sul servizio pubblico tende ad acuire l’influenza del Parlamento sulle Autorità indipendenti. Di estrema rilevanza, dunque, è la revisione del sistema audiovisivo, sistema mediatico che da sempre stringe rapporti con la sfera politica (politica in quanto soggetto attivo poiché regolatore e in qualità di oggetto della comunicazione stessa). Le problematiche ravvisate riguardano:

Il grado di indipendenza delle Autorità, con riguardo alle modalità di nomina dei propri componenti, nell’esercizio dei poteri in materia di regolazione della comunicazione politica.

Le competenze normative delle Autorità rispetto alla legge parlamentare sempre nella regolazione della materie in esame.

Diverse le soluzioni ravvisate per far fronte alla carenza di pluralismo: i media devono fornire informazioni sull’Europa qualitativamente migliori e assicurare copertura mediatica a ogni partito minore, in virtù del principio di rappresentanza; l’aumento dei canali disponibili grazie anche all’avvento delle tecnologie digitali e Internet; l’urgenza di nuovi strumenti di intervento e sorveglianza attraverso scambi continui e proficui di informazioni tra le varie Autorità presenti nell’EPRA (European Platform of Regulatories Authorities, organismo europeo che associa tutte le autorità specificamente competenti del settore radiotelevisivo. L’EPRA proprio nel campo della comunicazione politica focalizza la sua azione).

Cosa è emerso da tutto ciò che è stato detto? Che una riflessione sugli errori, i limiti, i vincoli ma anche le possibilità, diventa fondamentale per dare vita ad un’azione concreta che non rimanga solo sulla carta. Che il processo di integrazione è ancora in pieno svolgimento e che occorre la volontà dei singoli Stati affinché si possano creare politiche efficaci, trasparenti, valide. Che i Paesi dell’Ue devono rifuggire i propri interessi particolaristici e volgersi oltre le frontiere nazionali per coltivare una rete di rapporti intensi e duraturi operanti per il bene dell’Europa e dei suoi cittadini. Che occorrono fiducia, competenza, professionalità, onestà. Che queste qualità non sono sempre presenti, ma che bisogna lavorare (insieme) per raggiungere la meta finale che è l’integrazione.

 

Piera Feduzi

Foto © European Union 2015 PE ed EC

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Piera Feduzi
Nata a Roma, classe 1989. Formazione classica, poi una laurea triennale in Comunicazione pubblica e d'impresa presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. Iscritta alla magistrale in Professioni dell'editoria e del giornalismo, prosegue il percorso di studi per approfondire quella che è da sempre la sua passione, scrivere. Attualmente internship in Tia Formazione (www.tiaformazione.org). Segue tematiche legate alle politiche europee e all'imprenditorialità.

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