“Smart regulation”: l’Ue adotta nuove metodologie di drafting normativo

0
1129

L’innovativo approccio della Commissione al processo legislativo contempla la compartecipazione della cittadinanza europea e la paritaria cooperazione delle istituzioni

(Parte 1) La crisi finanziaria ed economica che ha colpito l’Europa e il resto del mondo a partire dal 2008 ha indotto Bruxelles ad adottare una serie di provvedimenti, emanati a partire dal 2010 fino ai giorni nostri, aventi ad oggetto una metodologia intelligente di redazione degli atti legislativi dell’Unione e una migliore sua esecuzione basata sulla  condivisione delle proposte normative tra tutte le parti interessate (in primis i cittadini e le imprese europee) e le istituzioni Ue coinvolte nell’intero ciclo di produzione dell’EU law.  Al riguardo, la Commissione, il 19 maggio 2015, ha pubblicato una Comunicazione intitolata “Legiferare meglio per ottenere risultati migliori – Agenda dell’Ue” che ha preceduto l’Accordo Inter-istituzionale “Legiferare meglio” del 13 aprile 2016 tra Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea e Commissione.

La nuova impostazione in materia di metodologie di adozione delle norme Ue, voluta dalla Commissione Juncker, si ispira a innovative tecniche di ideazione e redazione del provvedimento normativo in grado di raggiungere i prioritari obiettivi dell’Ue e, soprattutto, di far sì che detti atti legislativi risultino massimamente comprensibili ai cittadini europei e concretamente utili alle loro esigenze e ai loro bisogni.

Prima di procedere all’analisi dei due summenzionati recenti provvedimenti del 2015 e 2016, appare opportuno effettuare una breve disamina dei più significativi atti adottati dalle istituzioni Ue, nell’ultimo ventennio, in materia di metodologie e tecniche di redazione della legislazione europea.

Flag_europe

Non a caso, sin dalla redazione delle Conclusioni del Consiglio europeo d’Edimburgo e dell’accordo interistituzionale del 29 ottobre 1993 l’aspetto della corretta redazione delle norme Ue, era già stato oggetto, annualmente, di una relazione da parte della Commissione europea.

In particolare, la Relazione del 1998 dal titolo “legiferare meglio” descriveva come i tecnici di Palazzo Berlaymont si adoperassero per applicare rigorosamente i principi di sussidiarietà e proporzionalità [1] e come si dovesse tendere a rendere la legislazione comunitaria «più accessibile» mediante la migliore qualità relazionale, la semplificazione, la codificazione e un accesso più agevole degli utenti all’informazione. Di talché, l’organo esecutivo dell’Ue, mediante il predetto documento, lanciava un appello: «per pervenire all’obiettivo di ‘legiferare meglio’» era necessario che tutte le istituzioni comunitarie e gli Stati membri agissero in modo coerente. Si trattava, in buona sostanza di una responsabilità comune. Dunque, la Relazione in esame, poneva in evidenza la responsabilità del Parlamento, del Consiglio e degli Stati membri nell’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

In linea con i predetti intendimenti, il 5 dicembre 2001, Bruxelles, adottava una Comunicazione avente per titolo “Semplificare e migliorare la regolamentazione”. Mediante tale atto, si riconosceva che a distanza di nove anni dal Consiglio di Edimburgo del dicembre 1992, gli sforzi compiuti in tema di semplificazione e miglioramento della regolamentazione quali principali priorità della Comunità, non avevano dato risultati «in rapporto agli obiettivi, per la complessità del compito e la mancanza di un reale sostegno politico». Conseguentemente, «l’essenziale in materia» era «ancora da compiere». Il documento rilevava, poi, come detta constatazione fosse «condivisa da i due rami dell’autorità legislativa». Pertanto, il miglioramento e la semplificazione regolamentare rimanevano una «necessità assoluta per l’avvenire dell’Unione».

Detta questione era stata già stata affrontata nel Libro Bianco adottato dalla Commissione il 25 luglio 2001 con il quale in relazione alla necessità di  individuare migliori e più efficaci metodologie di legiferazione in ambito Ue, si erano indicate le seguenti motivazioni che imponevano l’adozione di misure in tema di attività normativa: «il rafforzamento della legittimità democratica del progetto europeo» doveva «portare l’Unione ad operare per una migliore legislazione, più semplice, più adeguata ai problemi incontrati e anche più accessibile»; lo sviluppo economico e sociale dell’Unione esigeva «un quadro regolamentare chiaro e preciso per garantire la protezione dei cittadini e la competitività delle imprese» in grado di  migliorare «la sicurezza giuridica» e limitare «i costi della cattiva qualità regolamentare»; l’allora prospettiva di allargamento ai Paesi candidati rendeva necessaria la semplificazione della regolamentazione.

Nell’ambito della strategia da intraprendere per giungere ad una reale semplificazione della normativa Ue si erano individuate quattro priorità: la semplificazione dell’aquis comunitario; la redazione di una legislazione preparata in modo migliore e più adeguata; una nuova cultura nell’ambito delle istituzioni e un miglior recepimento e una più efficace applicazione del diritto comunitario.

il Parlamento europeo, sulla medesima linea, adottava la Risoluzione del 16 maggio 2006 con la quale sosteneva con «fermezza il processo di semplificazione […], come pure l’obiettivo di assicurare un contesto normativo necessario, semplice ed efficace». A tal fine si riteneva che tale processo dovesse basarsi su «una serie di condizioni preliminari», quali:

  • la piena partecipazione del Parlamento europeo al dibattito inter-istituzionale sulla semplificazione e, in qualità di co-legislatore, all’adozione della legislazione soggetta alla predetta azione;
  • «una consultazione ampia e trasparente di tutte le parti interessate, ivi inclusi non solo gli Stati membri e le imprese ma anche le organizzazioni non governative»;
  • il miglioramento «della generale trasparenza del processo normativo, in particolare aprendo al pubblico le discussioni del Consiglio quando esercita la funzione legislativa».

Successivamente, il 4 settembre 2007 l’assemblea dei parlamentari europei emanava un’ulteriore  Risoluzione in tema di Strategia per la semplificazione del contesto normativo, con la quale si ribadivano i principi metodologici tesi allo snellimento delle norme già enunciati nei precedenti documenti e si osservava come «i fattori di successo delle iniziative di semplificazione» fossero: una solida piattaforma metodologica, migliorata grazie alla consultazione di tutti i soggetti interessati; lo  sviluppo di analisi settoriali; «la stretta cooperazione fra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio e, da ultimo, il ricorso ancor più esteso all’autoregolamentazione e alla co-regolamentazione».

Stone_P_BerlaymontNonostante gli sforzi compiuti dalle istituzioni Ue, con la Comunicazione del 8 ottobre 2010 la Commissione rilevava, con estrema oggettività, come la crisi avesse messo in luce «l’esigenza di porre rimedio, spesso con vera urgenza, a una regolamentazione incompleta e scarsamente efficace nei suoi esiti».

Al riguardo, in quel particolare frangente, Bruxelles osservava come l’impostazione normativa dovesse, necessariamente, favorire gli interessi dei cittadini contribuendo fattivamente al raggiungimento di tutti gli obiettivi di interesse generale, dalla stabilità finanziaria alle misure per contrastare il mutamento climatico». In tal senso, le normative dell’Unione avrebbero dovuto contribuire «a garantire la competitività delle imprese sostenendo il mercato unico e superando l’onerosa frammentazione del mercato interno determinata da norme nazionali differenziate». Dunque, l’allora presidente della Commissione, José Manuel Barroso, riteneva fosse giunto il momento di impegnarsi a «legiferare con intelligenza» sulla base dei seguenti criteri di azione:

  • prendere in esame l’intero ciclo politico della norma, dall’ideazione dell’atto alla sua «attuazione, applicazione, valutazione e revisione»;
  • condividere la responsabilità dell’attività legislativa tra le istituzioni europee e gli Stati membri;
  • tenere nella dovuta considerazione «le opinioni di coloro che la normativa investe più direttamente».

Di conseguenza, «legiferare con intelligenza» presupponeva l’implementazione di tre misure: la semplificazione delle norme Ue, la contestuale riduzione degli oneri amministrativi e la valutazione dell’efficacia della legislazione.

In merito a tali aspetti, l’organo esecutivo dell’Ue proponeva di «intensificare l’impegno per migliorare la qualità della legislazione esistente attraverso alcune specifiche iniziative. In prima istanza, occorreva verificare che tutte le proposte «rilevanti di nuova legislazione o di revisione della normativa vigente» fossero «di massima fondate su una valutazione della disciplina in atto». A seguire, si sarebbe dovuta garantire la trasparenza mediante la «pubblicazione su un sito web apposito» delle «valutazioni programmate in modo da permettere agli Stati membri e alle parti interessate di elaborare tempestivamente i loro contributi».

Lo step successivo, avrebbe previsto l’effettuazione di quattro “check up” in tema di ambiente, trasporti, politica occupazionale, sociale e industriale. Di talché, si sarebbe dovuto:  completare il programma di riduzione degli oneri amministrativi entro il 2012, migliorare il sito internet di consultazione, invitare gli Stati membri ad «avvalersi delle possibilità di esenzione offerte dalla normativa dell’Unione per determinate imprese come le Pmi» e, infine, «eventualmente» adattare «la composizione del gruppo ad alto livello di parti interessate indipendenti, affinché rispecchi il lavoro più ampio in materia di semplificazione normativa e di riduzione degli oneri amministrativi, garantendo una rappresentanza alle PmiMI e al settore non commerciale».

Il procedimento legislativo avrebbe dovuto essere accompagnato, necessariamente, da un sistema di valutazione d’impatto affinché esso si fondasse su «riscontri oggettivi» e «i benefici e costi delle scelte politiche» risultassero trasparenti. Sul punto, il comitato per la valutazione d’impatto avrebbe dovuto svolgere un ruolo chiave. Dunque, i tecnici di Palazzo Berlaymont reputavano «essenziale» garantire che le misure proposte dalla Commissione risultassero «necessarie, economicamente sostenibili e di elevata qualità».

La legislazione Ue doveva, poi, essere attuata correttamente affinché essa potesse conseguire gli obiettivi che si prefiggeva. Pertanto, diveniva essenziale assicurare una stretta collaborazione tra gli Stati membri e l’organo esecutivo dell’Unione. A tal fine, per «migliorare le modalità di recepimento, attuazione e controllo dell’applicazione della legislazione Ue»  risultava opportuno:  rafforzare l’analisi dei predetti aspetti nelle «valutazioni a posteriori della legislazione, badando a garantire che gli esiti» trovassero riscontro nelle «valutazioni d’impatto relative alle proposte nuove o rivedute»; sviluppare, ulteriormente, i piani di attuazione della legislazione Ue chiedendo agli Stati membri di produrre delle tavole di corrispondenza dalle quali fosse possibile evincere come «la legislazione nazionale» avesse recepito «gli obblighi imposti dalle direttive Ue»; continuare a migliorare l’efficacia del dispositivo EU Pilot [2] e, infine, prendere in esame le modalità di miglioramento di SOLVIT [3].

Inoltre, a parere dell’Ue, occorreva rendere la legislazione più chiara e accessibile. Tale obiettivo poteva essere raggiunto attraverso lo snellimento e il consolidamento dei testi legislativi e la facilitazione dell’accesso da parte degli Stati membri alle banche dati giuridiche (es: EUR-lex).

Da ultimo, la Commissione sottolineava il ruolo fondamentale del Parlamento europeo e del Consiglio in relazione al procedimento legislativo e, in particolare, alla «legislazione intelligente» e l’importanza di un corretta, ampia ed effettiva consultazione dei cittadini e delle parti interessate al procedimento legislativo.

European_Commission_Room_(Open_Day)_1

La Comunicazione del 12 dicembre 2012 si caratterizzava, principalmente, per l’introduzione di un Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione.  Secondo Bruxelles la situazione economica richiedeva che la legislazione Ue fosse ancora più efficace ed efficiente nella realizzazione dei suoi obiettivi d’interesse generale, «dimostrando di avere un chiaro valore aggiunto».  Ciò, comportava la creazione di un «quadro regolamentare semplice, chiaro, stabile e prevedibile per le imprese, i lavoratori e  i cittadini». Per raggiungere i predetti obiettivi la Commissione avviava il Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT), basandosi sulla propria esperienza di valutazione e riduzione degli oneri amministrativi. Tale strumento mirava ad individuare «oneri, incoerenze, lacune e misure inefficaci» con modalità d’impiego totalmente trasparenti.  REFIT includeva, anche, ABR Plus. Tale ulteriore programma si concentrava sulla riduzione degli oneri amministrativi (Administrative Burden Reduction Programme – ABR). La proposta chiudeva richiamando l’importanza dell’adozione di alcune delle principali metodologie di lavoro già enunciate nella precedente Comunicazione dell’8 ottobre 2010: la valutazione d’impatto, la consultazione dei cittadini e delle parti interessate, il coinvolgimento degli Stati membri nella fase di attuazione delle norme e l’incremento della chiarezza e accessibilità alla legislazione.

Successivamente, la Commissione emanava la Comunicazione del 7 marzo 2013 con la quale si individuavano i dieci atti legislativi più gravosi  per le piccole e medie imprese che dovevano essere semplificati. Tra questi, v’era, innanzitutto, il Regolamento REACH in tema di registrazione,  valutazione, autorizzazione e restrizione di sostanze chimiche e, poi , a seguire la normativa in materia di IVA; la normativa quadro sui rifiuti; le prescrizioni in tema di mercato del lavoro, protezione dei dati, orario di lavoro, controllo del settore trasporti, codice doganale, sicurezza dei prodotti e, infine, riconoscimento delle qualifiche professionali.

In merito a detti temi, il Consiglio emanava  tre note: la prima il 22 maggio 2013 con la quale si riconosceva l’importanza della “Smart regulation” in funzione degli obiettivi dei cittadini e, principalmente, delle piccole e medie imprese dell’Ue enfatizzandone la corretta ed efficace implementazione;  la seconda il 4 dicembre 2014  contenente un ulteriore richiamo al fondamentale ruolo della “legislazione intelligente”  e, in particolare, del programma REFIT considerato altamente strategico per il raggiungimento degli obiettivi Ue. Inoltre, detta nota sottolineava l’importanza della valutazione d’impatto e delle metodologie di semplificazione della normativa. Infine, con la recente nota del 28 aprile 2015, la Commissione tornava a stigmtizzare l’importanza della programmazione, della migliore regolamentazione e della consultazione esperta in merito agli atti delegati. Inoltre, si operava un richiamo allo strumento della valutazione d’impatto ai fini dell’aumento della competitività.

Si noti come, a distanza di un anno e mezzo dall’emanazione della prima nota del Consiglio datata 22 maggio 2013, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, nel dicembre 2014,  pubblicassero la seconda edizione della Guida Pratica comune per la redazione dei testi legislativi dell’Unione europea [4].

Tale documento è strutturato in 6 parti dedicate rispettivamente alla Prefazione, ai Principi generali di redazione delle norme Ue, alle modalità di impostazione e costruzione delle Parti dell’atto, ai criteri di inserimento dei riferimenti interni ed esterni alla norma, alle modalità di modifica degli atti esistenti e, infine, alle disposizioni finali ed alle clausole abrogative.

In buona sostanza, si tratta di un testo contenente indicazioni molto pratiche per la redazione delle norme Ue.

La prima parte contiene principi illuminanti (artt. da 1 a 6). Invero, secondo l’art. 1.1 la scrittura degli atti giuridici deve essere «chiara» in quanto «facilmente comprensibile», «priva di equivoci, «semplice, concisa, esente da elementi superflui» e, «precisa», affinché non lasci dubbi nella «mente del lettore». La regola in questione, enunciata nell’incipit dello scritto in disamina, è «ispirata al buon senso» ed è «espressione di principi generali del diritto» quali: «l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, nel senso che la legge deve essere accessibile e comprensibile per tutti» e «la certezza del diritto» poiché «l’applicazione della legge deve essere prevedibile» (art. 1.2).

La corretta applicazione di tale principio «assume particolare importanza per gli atti giuridici dell’Unione, destinati a inserirsi in un sistema non solo complesso ma anche multiculturale e multilingue» (art. 1.2.1). Sul punto, si osserva nel documento come l’applicazione di detta regola persegua un duplice scopo: «da un lato, rendere più comprensibile gli atti; dall’altro, prevenire le controversie derivanti dalla scarsa qualità redazionale dei testi» (art. 1.2.2). Non a caso, si precisa nel manuale, «Le disposizioni oscure possono essere interpretate in modo restrittivo dalla Corte di giustizia dell’Unione europea». Di talché, si otterrà, in tal caso, «l’effetto contrario a quello che si era perseguito introducendo nel testo una certa vaghezza al fine di risolvere i problemi sorti durante le trattative per l’adozione della disposizione» (art. 1.3).

Naturalmente, nel testo, non si manca di osservare come «le esigenze della semplicità e della precisione» possano confliggere e come, spesso, «la semplificazione» vada «a scapito della precisione e viceversa.» Dunque, «Nella pratica» sarà opportuno «trovare un punto di equilibrio in modo da garantire la massima precisione della norma senza tuttavia comprometterne la comprensibilità.» Tale punto di equilibrio potrà «variare a seconda dei destinatari della norma» (art. 1.4). Pertanto, l’estensore della norma dovrà «mirare a ricondurre la volontà del legislatore a concetti semplici onde poterla poi esprimere in modo semplice, usando per quanto possibile i termini del linguaggio corrente». Inoltre, soggiunge, il testo, all’occorrenza il redattore della disposizione «privilegerà la chiarezza dell’enunciato rispetto alla bellezza dello stile. Eviterà, ad esempio, l’uso di sinonimi o di costrutti diversi per esprimere una stessa idea».

Gli atti dell’Unione devono essere formulati tenendo conto del tipo di provvedimento che si vuole redigere. Dunque, se si tratterà di atti vincolanti, quali i regolamenti, essendo quest’ultimi «direttamente applicabili e integralmente obbligatori», le norme in essi contenute dovranno essere redatte in modo tale che i destinatari non abbiano dubbi circa i diritti e gli obblighi da essi stabiliti» (art. 2.2.1).

Differentemente, la direttiva, pur essendo obbligatoria per gli Stati, dovrà essere formulata in modo «meno particolareggiato per lasciare agli Stati membri un sufficiente margine discrezionale al momento del recepimento nel diritto interno». Di conseguenza, continua la disposizione in esame, se «l’articolato è troppo dettagliato e non offre pertanto un sufficiente margine discrezionale» sarà «preferibile ricorrere allo strumento del regolamento anziché a quello della direttiva» (art. 2.2.2).

Per quanto attiene alle modalità di formulazione dell’atto l’art. 4.1 precisa che la «caratteristica saliente del corretto stile normativo risiede nell’enunciazione concisa delle idee portanti del testo.» Invero, gli «enunciati esplicativi, teoricamente destinati a rendere più comprensibile il testo al lettore, possono costituire una fonte di problemi di interpretazione». Al riguardo, la Guida presenta, sistematicamente, all’interno dei vari paragrafi, degli esempi di errata redazione di una prescrizione normativa accompagnata dalla versione corretta. Ciò al fine di fornire esempi pratici e soluzioni massimamente pragmatiche ai tanti e complessi problemi che il redattore di norme europee può trovarsi ad affrontare.

Altro aspetto al quale il legislatore Ue deve porre mente è l’adozione di una terminologia coerente con quanto richiamato nel testo interno ma, anche e soprattutto, con i testi vigenti richiamati dalla disposizione oggetto di redazione (art. 6).  La coerenza terminologica deve essere di carattere formale e sostanziale. Sul piano formale ciò comporta che «i medesimi concetti siano espressi con i medesimi termini e che i termini identici non siano usati per esprimere concetti diversi». Per quanto afferisce all’aspetto sostanziale la «coerenza della terminologia deve essere verificata anche in relazione al contenuto stesso dell’atto. Ciò significa che l’atto non deve contenere contraddizioni» (artt. 6.2 e 6.3).

Parlamento 2

Relativamente alla seconda Parte del manuale (artt. da 7 a 15) appare opportuno soffermarsi su alcuni aspetti fondamentali afferenti alla “costruzione” del precetto normativo europeo.

In primis la scelta del titolo e il suo contenuto. In applicazione dell’art. 8.1 il «titolo in senso stretto o rubrica, ossia l’enunciato destinato a fornire informazioni sul contenuto essenziale dell’atto, deve consentire di determinare i soggetti interessati». In proposito, l’estensore dovrà chiedersi: «quali elementi devono essere inseriti nel titolo affinché i lettori direttamente interessati […] siano indotti a leggere l’atto?» (art. 8.2).

Per quanto attiene all’utilizzo dei “visto” il testo osserva come essi indichino la base giuridica dell’atto e le fasi essenziali del suo procedimento di formazione (art. 9). Inoltre, è opportuno che i “visto” siano collocati all’inizio del preambolo e contengano «la base giuridica dell’atto, ossia la disposizione che conferisce la competenza ad adottarlo; le proposte, le iniziative, le raccomandazioni, le domande e i pareri previsti dai trattati».

In relazione ai “considerando” il documento sottolinea come essi assumano un ruolo fondamentale nella impostazione dell’atto posto che se redatti correttamente, devono contenere, in modo conciso, le norme essenziali dell’articolato, senza riprodurne o parafrasarne il dettato. Essi non possono essere formati da enunciati di carattere normativo o dichiarazioni di natura politica. (art. 10).

In conformità all’art. 10.1 i “considerando” devono contenere la motivazione dell’atto. Dette espressioni vanno inserite tra i “visto” e l’articolato stesso.  La motivazione viene introdotta con le parole “considerando quanto segue” e, «prosegue con punti numerati consistenti in una o più frasi complete». Su tale aspetto, il documento precisa che la motivazione deve essere «redatta con enunciati non precettivi ben distinti da quelli impiegati nell’articolato».

In caso di regolamenti, direttive e decisioni la motivazione è obbligatoria. Essa è prevista in quanto è finalizzata ad «informare tutti gli interessati sulle circostanze in cui l’autore ha esercitato la competenza relativa all’adozione dell’atto», nonché a fornire alle «parti delle eventuali controversie la possibilità di tutelare i propri diritti e alla Corte di giustizia dell’Unione europea di esercitare il proprio controllo” (art. 10.2).

A riprova dell’importanza attribuita alla motivazione dell’atto, l’art. 10.5.1 statuisce che i “considerando” devono «costituire un’autentica motivazione». Di talché non vanno citate le basi giuridiche o riprodotti brani della norma citata come base giuridica che conferiscono la competenza ad agire.

Il fondamentale richiamo ai principi di sussidiarietà e proporzionalità comporta che, per poter invocare la loro piena applicazione, è necessario «inserire una motivazione specifica» (art. 10.15). Pertanto, «Nell’esercizio delle proprie competenze normative, le istituzioni sono tenute a conformarsi «al principio di sussidiarietà» e a «rendere conto dell’osservanza del medesimo nella relazione illustrativa nonché in modo più conciso, nei “considerando”» (art. 10.15.2).

Per quanto attiene ai settori di esclusiva competenza dell’Unione l’art. 5 paragrafo 4 TFUE impone il solo rispetto del principio di proporzionalità. In siffatti casi si espongono le ragioni della proporzionalità mediante un “considerando” così strutturato: «In ottemperanza al principio di proporzionalità, per realizzare l’obiettivo fondamentale (indicare l’obiettivo generale) è necessario e opportuno disciplinare (indicare le misure specifiche dell’atto). Il presente (indicare l’atto) si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, in conformità dell’art. 5, paragrafo 4, del trattato sull’Unione europea» (art. 10.15.3).

Viceversa, quando la competenza dell’Unione non è esclusiva, si è tenuti ad esplicitare sia il richiamo al principio di sussidiarietà che a quello di proporzionalità tramite l’uso di siffatte espressioni: «Poiché gli obiettivi del presente (indicare l’atto) non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (indicare i motivi) ma, a motivo (indicare la portata e gli effetti dell’azione in questione) possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del trattato sull’Unione europea […]» (art. 10.15.4).

Qualora si tratti di un atto vincolante, esso non può contenere disposizioni prive di carattere normativo, «come auspici o dichiarazioni politiche, né disposizioni che riproducano o parafrasino passi o articoli dei trattati o confermino una norma vigente»

La parte dedicata ai riferimenti interni (orientamenti 16 e 17), agli atti modificativi (orientamenti 18 e 19), alle disposizioni finali, alle clausole di abrogazione e agli allegati (orientamenti 20,21 e 22) contengono tutta una serie di prescrizioni in merito alla redazione degli atti e alla formulazione dell’articolato. In particolare, l’orientamento 16 sancisce, a chiare lettere, la necessità, per quanto possibile, di evitare i richiami ad altri provvedimenti. Qualora ciò dovesse verificarsi, i cennati richiami dovranno essere «tanto precisi da consentire al lettore di consultare agevolmente l’atto cui si fa riferimento» (art. 16.1).

Roberto Scavizzi

Foto © Wikicommons

N.B. La seconda parte del presente articolo avente ad oggetto l’analisi dei due recenti atti dell’Ue relativi agli innovativi criteri di ideazione e redazione delle norme Ue sarà pubblicata nei prossimi giorni. 

[1] Come è noto i principi di sussidiarietà e proporzionalità sono basilari ai fini del corretto esercizio delle attività di competenza, esclusiva o concorrente dell’Ue previste dal TFUE. In particolare, come rilevato dalla dottrina, in applicazione del principio di sussidiarietà, l’intervento dell’Unione «nelle materie di competenza non esclusiva è costruito in termini negativi e vincolato al verificarsi di una duplice condizione, ovvero che l’azione dell’Unione, per la portata e gli effetti, sia più adeguata di quella a livello statale, regionale e locale e che gli obiettivi non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. In particolare l’Unione deve risultare più idonea rispetto ad uno Stato membro a disciplinare un settore non tanto per il carattere transfrontaliero dell’azione da porre in essere, quanto per il grado di impatto che intende conferire all’azione medesima […]. La portata e l’intensità dell’azione dell’Unione devono essere valutate, poi, in rapporto al principio di proporzionalità, che impone di graduare – nell’esercizio delle competenze sia esclusive che concorrenti – i mezzi prescelti rispetto alle caratteristiche dell’obiettivo di volta in volta perseguito. In ossequio a questo criterio, l’istituzione dovrà anzitutto determinare all’interno di un ampio ventaglio di possibilità, l’atto che va concretamente, posto in essere […]. Più in generale il principio di proporzionalità impone che l’esercizio di una determinata competenza risponda a tre requisiti sostanziali. In primo luogo, esso deve essere utile e pertinente per la realizzazione dell’obiettivo per il quale la competenza è stata conferita. In secondo luogo deve essere necessario e indispensabile; ovvero qualora per il raggiungimento dello scopo possano essere impiegati vari mezzi, la competenza sarà esercitata in modo da recare meno pregiudizio ad altri obiettivi o interessi degni di eguale protezione (criterio di sostituibilità). Infine, se queste condizioni sono soddisfatte sarà poi necessario provare che esista un nesso tra l’azione e l’obiettivo (criterio di causalità).». Conclude, poi, l’autore osservando come si tratti, in buona sostanza, «d’identificare una ragionevole simmetria tra misure da adottare e scopi da perseguire, evitando interventi dell’Unione eccessivi e, talora, inutili o dannosi». Giuseppe Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, settima edizione, Cedam, pp. 99 e 100.

[2] Eu Pilot è un sistema per rispondere rapidamente alle denunce presentate da cittadini e imprese. (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-10-226_it.htm?locale=FR)

[3] SOLVIT è «un servizio gratuito fornito dall’amministrazione nazionale di ogni paese dell’UE e di Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Si tratta in prevalenza di un servizio online. […] Per ogni caso segnalato, SOLVIT punta a trovare una soluzione entro 10 settimane dal giorno in cui è stato notificato al centro SOLVIT del paese in cui il problema si è verificato.  Tale sistema può intervenire: in caso di violazione dei diritti Ue o delle imprese  da parte della pubblica amministrazione di un altro paese dell’UE; se non è stato avviato un procedimento giudiziario». ( http://ec.europa.eu/solvit/what-is-solvit/index_it.htm.)

 

Articolo precedenteRegno Unito, May in Scozia: summit con Sturgeon a Edimburgo
Articolo successivoIn viaggio nella Grecia sconosciuta, fra i monti della catena del Pindo
Roberto Scavizzi
Avvocato e docente universitario a contratto presso università private. L'attività accademica ha ad oggetto la materia dell'Informatica giuridica in ambito internazionale e la materia dei diritti d'autore. Come legale opera principalmente nel settore del diritto dell'impresa e svolge attività formativa professionale nel settore giuridico in ambito pubblico e privato. Inoltre è autore di pubblicazioni di diritto e articoli giornalistici per riviste d'arte e d'attualità.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui