Regno Unito, May in Scozia: summit con Sturgeon a Edimburgo

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Bruxelles valuta nuovo governo UK. Schulz scettico, mentre la Merkel invita neopremier britannico a Berlino. Lunedì Johnson al primo Consiglio esteri Ue

Parte dalla Scozia e non è un caso la prima visita del nuovo premier britannico Theresa May: un’apertura di dialogo politico con la primo ministro di Edimburgo, Nicola Sturgeon, la più accanita anti-Brexit post referendum per l’uscita dall’Unione europea. Sicuramente il divorzio dall’Ue dopo il voto dello scorso 23 giugno, che gli scozzesi, a differenza del resto dei sudditi del Regno Unito, hanno in larga maggioranza respinto, è stato al centro della discussione fra le due donne al vertice.

Non un passo indietro, anzi: la May ha ripetuto che la volontà popolare sarà rispettata. David Davis, il suo ministro incaricato per le trattative con Bruxelles, ha contemporaneamente fatto sapere che l’articolo 50 del Trattato di Lisbona sarà attivato al massimo entro il principio del 2017, o addirittura a fine anno. Una procedura di divorzio, come riporta l’agenzia Ansa, che andrà poi definita in «modo calibrato, ma rapido», per concludersi «verso dicembre 2018». Sempre che tutto vada bene.

Il problema, come tutti sanno, è che gli scozzesi respingono con forza questo epilogo, e non pochi si mangiano le mani pensando se il referendum sull’indipendenza si fosse tenuto dopo quello sul Brexit. Sturgeon l’ha ribadito con chiarezza alla sua ospite, sebbene fra sorrisi e strette di mano. La Scozia ha votato “Remain” e vuole avere voce in capitolo nei negoziati. Per mantenere i legami con quell’Europa indispensabile per i suoi investimenti e il suo futuro.

Theresa May ha rivendicato fin dall’insediamento a Downing Street la sua volontà di tenere Unito il Regno, mentre Nicola Sturgeon è un’indipendentista che basa la sua storia politica e quella dell’Snp, il partito con cui guida le istituzioni del nord. Ma l’approccio della premier conservatrice giunta da Londra è tutt’altro che scontroso, come ha ripetuto lei stessa a Edimburgo: «Sono venuta per testimoniare il mio impegno per preservare un’unione speciale che dura da secoli. Ma voglio dire anche qualche cosa d’altro al popolo scozzese: il mio governo sarà sempre al vostro fianco».

Nicola Sturgeon con Jean-Claude Juncker
Nicola Sturgeon con Jean-Claude Juncker

La sensazione è che l’alternativa a una nuova richiesta di referendum per l’indipendenza, sia la concessione di un’autonomia di tipo federale o semifederale che possa calmare gli animi scozzesi. O addirittura qualcosa di inimmaginabile. Per Stephen Gethins ad esempio, delegato per gli affari europei dello stesso partito della Sturgeon, «possiamo trovare soluzioni innovative, affinché la Scozia rimanga nell’Unione europea pur all’interno del Regno Unito. Basta che siano disposti ad ascoltarci».

Un clima disteso, dunque, nella classica situazione da self-control british, testimoniato dalla foto di rito delle due prime donne d’oltre Manica, insieme alla Regina una triade per la prima volta nella storia tutta composta da ladies. A cui fa da contraltare l’attesa vissuta nella capitale europea, quella Bruxelles che sta soppesando ogni atto e pensiero del nuovo governo britannico. Un’analisi della nuova squadra di Downing Street, in cui emerge come una contraddizione il ruolo di capo della diplomazia affidato a Boris Johnson. Che peraltro lunedì sarà il primo ad esordire nell’Ue, con il Consiglio esteri che ospiterà l’americano John Kerry.

Chi dichiara di non vedere l’ora di accoglierli nel prossimo Consiglio, come scrive insieme alle congratulazioni il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, chi continua a fare pressioni per avviare le pratiche per l’uscita come il mai amato (dal Regno Unito) presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Il più perplesso di tutto sembra essere il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che pur scrivendo «lavoreremo insieme in modo costruttivo come nel passato, anche in questi tempi difficili», ha dichiarato in un’intervista alla Sueddeutsche Zeitung che «la composizione del nuovo governo dimostra che punta più alla pacificazione e alla coesione interna dei Tory (partito della May) piuttosto che al futuro del Paese. Il Regno Unito deve uscire da questa spirale pericolosa che ha un impatto diretto sull’intera Europa dove ci troviamo in una situazione precaria, difficile. Per questo tutti i partiti devono agire in maniera responsabile».

Forti pressioni anche da parte del presidente francese Francois Hollande, espresse prima che accadessero i fatti di Nizza: il Regno Unito «prima chiederà la procedura di uscita dall’Ue, migliori saranno le future relazioni tra Europa e UK». E nella tradizionale intervista per il 14 luglio, festa della Bastiglia, rincarava: «il Regno unito non potrà avere da fuori ciò che aveva da dentro. E’ finita. I vantaggi non sono più gli stessi». Dal Kirghizistan, invece, la cancelliera federale Angela Merkel ha lanciato l’ennesimo segnale di apertura tedesca, frutto del notevole interscambio fra i due Paesi, riconfermando il diverso approccio già mostrato nell’incontro precedente, l’ultimo di Cameron, a fine giugno. Da qui nasce l’invito a Berlino alla May: «credo che il nostro compito sia quello di collaborare strettamente con i Paesi amici». Ma è anche vero che Juergen Hardt, il portavoce per la politica estera del suo stesso partito, nei giorni scorsi al Bundestag abbia definito “impraticabili” le proposte britanniche per l’uscita, sottolineando che «il libero accesso al mercato unico implica l’accettazione delle libertà fondamentali come la libertà di movimento». Cioè quello contro cui hanno votato in gran parte i cittadini del Regno. Unito?

 

Angie Hughes
Foto © European Union

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Angie Hughes
Scrivere in italiano per me è una prova e una conquista, dopo aver studiato tanti anni la lingua di Dante. Proverò ad ammorbidire il punto di vista della City nei confronti dell'Europa e delle Istituzioni comunitarie, magari proprio sugli argomenti più prossimi al mio mondo, quello delle banche.