Svezia, ultradestra non sfonda ma il governo è un rebus

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Occhi puntati sul centrodestra, potrebbe aprire ai populisti. «Condizione è che premier sia indicato da noi». Portavoce Ue, fiducia in impegno europeo nuovo esecutivo

«Gli svedesi hanno votato liberamente e democraticamente, e siamo fiduciosi che il governo che emergerà continuerà nel forte impegno nei confronti dell’Unione europea»: così il portavoce del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha commentato l’esito delle elezioni in Svezia. La lunga notte elettorale non ha scatenato uno tsunami politico contro l’establishment: pur ridimensionando i partiti tradizionali, la Svezia non ha ceduto più di tanto alle lusinghe populiste, confermando il suo sistema bipolare.

Certo si rischia lo stallo, con i due blocchi (centro-destra e centro-sinistra) appaiati attorno al 40%. Ora ci si aspetta un accordo di non belligeranza che, come già in passato, consenta a uno dei due blocchi la formazione di un governo di minoranza. Una soluzione auspicata ma al momento poco percorribile, visto che entrambi i leader dei due principali partiti (Socialdemocratici e Moderati) hanno già rivendicato per sè il ruolo di primo ministro. In soccorso della governabilità del Paese potrebbero allora arrivare proprio gli Svedesi Democratici, finora confinati al di fuori delle altre forze politiche.

Lo scenario più probabile – con o senza l’aiuto della destra radicale, che potrebbe essere “esterno” – appare dunque un nuovo governo di minoranza, il terzo consecutivo, con una ristretta base parlamentare, e conseguenti, inevitabili, vincoli operativi. Dunque la prossima legislatura rischia di essere uguale all’ultima, con un parlamento che potrà decidere poco. Il partito socialdemocratico svedese, restato primo partito nonostante un calo mai registrato prima, ha annunciato l’intenzione di formare un nuovo governo, in virtù del fatto di avere un (solo) seggio in più (144 a 143) rispetto all’opposizione di centrodestra

Lo spoglio dei voti ha quindi certificato la netta avanzata, seppur inferiore alle attese, della destra nazionalista, diventato il terzo partito del Paese con 62 seggi. Un exploit a metà, che propone una duplice interpretazione. Soprattutto nelle ultime settimane sono emersi in maniera evidente i limiti programmatici degli SD: la loro retorica populista, con bersaglio le politiche migratorie, le fontiere da chiudere, i respingimenti in massa e un possibile referendum sull’Unione europea ha attirato i voti del diffuso malcontento, ma senza proporre una valida alternativa. Rimanendo, così, solo forza di protesta, ma non di proposta.

Gli svedesi hanno votato la continuità: hanno scelto quei valori identitari, come l’accoglienza e la tolleranza, che hanno garantito al loro Paese lo status di superpotenza umanitaria. Da Bruxelles è arrivata l’approvazione da parte del portavoce di Juncker, come suscritto. Resta da vedere se i socialdemocratici del premier Stefan Löfven tenteranno la strada già testata nel 2014 con una coalizione di governo rosso-verde di minoranza e l’appoggio esterno degli ex comunisti del Partito di Sinistra, sotto la costante minaccia dei DS di Jimmie Åkesson.

Oppure proveranno a formare una “cooperazione trasversale” con i conservatori (partiti di Centro, Liberali, Moderati e Cristiano Democratici). Ovviamente le parole del leader della formazione chiamata “Alleanza” Ulf Kristersson, sottolineando che chi ha governato «ha avuto la sua possibilità e ora deve dimettersi» non aiuta. Ma in tal caso l’alternativa è fare un governo con l’appoggio dell’estrema destra, di cui hanno bisogno per arrivare alla maggioranza: i conservatori potrebbero essere costretti a fare concessioni politiche ai Democratici Svedesi o addirittura offrire loro posizioni chiave nelle commissioni parlamentari.

Una situazione politica a dir poco complicata al Riksdag (il Parlamento), nonostante gli svedesi siano andati a votare in massa: ben l’83% si è recato alle urne. I socialdemocratici del premier uscente hanno tenuto (28,4% con un calo del 2,8%) e portano a casa 101 deputati. A loro si devono sommare la Sinistra (Vansterpartiet) che ha preso il 7,9% (+2,2) e 28 seggi e gli ecologisti (Miljopartiet) con il 4,3% (-2,4%) e 15 seggi. Il totale della coalizione fa 40,6% (2 milioni e mezzo di voti, circa) e 144 seggi.

ll Centrodestra, formato da 4 partiti (in parte anche in competizione tra loro), ovvero i Moderati (Moderatema) di Kristensson hanno perso il 3 per cento fermandosi al 19,8% con 70 seggi, i Centristi (Centerpartiet) di Annie Lööf, hanno ottenuto l’8,6% (+2,5%) e 31 seggi. Il liberali (Liberalerna) hanno tenuto con il 5,5% (-0,1%) e gli stessi seggi (19) della scorsa legislatura. I Cristianodemocratici (Kristdemokraterna) hanno raggiunto il 6,8% (+1,8%) con 23 deputati. In totale, l’Alleanza di centrodestra ha preso il 40,3% (2 milioni e 400mila voti circa) e 143 seggi.

Condizione affinché i voti dei DS siano deteminanti è che «il premier sia indicato da noi». Proprio quel “ricatto” politico che alla vigilia del voto, socialdemocratici e opposizione conservatrice avrebbero voluto evitare. «I risultati ottenuti dai nazionalisti sono un grave avvertimento in un Paese conosciuto per il suo più avanzato sistema sociale»  – commenta così il presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) al Parlamento europeo, Udo Bullmann – «ora i conservatori del Partito popolare europeo sono ora a un bivio: devono mostrare se stanno dalla parte dei valori essenziali europei della democrazia, della solidarietà e della responsabilità, o se si sono insieme alle forze oscure dell’estrema destra».

 

Kirsten Sørensen

Foto © The Local Sweden, Wall Steet Jounal, Twitter

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