Cosa andrebbe a cambiare in caso di no deal e divorzio drastico dall’Unione europea. Avanti con gli impegni internazionali assunti in materia ambientale per il governo britannico
La Brexit si avvicina, nell’incertezza della sua gestione. La bocciatura del piano May in accordo con l’Unione europea apre diversi scenari, più o meno probabili. E visto lo stretto giro, il temuto no deal prende sempre più corpo. Le istituzioni si stanno attrezzando per non farsi trovare impreparate e le comunicazioni ai cittadini, britannici ed europei, diventano di vitale importanza. Sul sito ufficiale del governo sono elencati i possibili cambiamenti a seconda delle tematiche, il tutto sempre soggetto alle mutazioni in base all’evolversi degli eventi.
Anche senza nuove intese, dopo il 29 marzo – allo stato attuale la data ufficiale della Brexit – l’esecutivo si impegnerà a soddisfare gli standard ambientali in materia di rifiuti, qualità dell’aria, dell’acqua, protezione degli habitat e delle specie. La legislazione britannica ora rientra nell’inquadramento dell’Ue e di altri accordi internazionali, quali il Protocollo di Nagoya sulle risorse genetiche.
Il monitoraggio sul rispetto delle regole è affidato a istituti come l’Agenzia per l’Ambiente o a equivalenti delle amministrazioni locali, in Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Data la natura degli impegni multilaterali, anche l’eventuale no deal non cambierà le carte in tavola o gli obblighi assunti. Saranno solo emendati i riferimenti all’Ue o il trasferimento di poteri dalle istituzioni europee a quelle interne, lavoro di competenza parlamentare.
Lo scorso luglio il governo ha annunciato di voler portare avanti la prima legge sull’ambiente dopo oltre venti anni, il 25 Year Environment Plan – piano venticinquennale – per assicurare un futuro più pulito e verde per le prossime generazioni. La cornice normativa britannica che consente l’applicazione delle leggi nei propri confini non sarà condizionata dalla Brexit. Permessi e licenze concesse dal Regno Unito a corpi regolatori continueranno ad essere concessi esattamente come avviene ora.
Leggermente diverso il discorso per quanto riguarda gli animali domestici e la possibilità di portarli nei viaggi in Paesi Ue dopo il 29 marzo. Il no deal, in questo caso, potrebbe avere maggiori ripercussioni visto che il Regno Unito andrebbe automaticamente nella lista di Paesi con cui l’Unione europea non ha accordi.
I vaccini contro la rabbia per cani, gatti o furetti dovranno essere somministrati almeno un mese prima della partenza, affinché il campione di sangue prelevato possa essere analizzato per tempo. Agli stessi animali dovrà essere inserito un microchip che ne confermi l’identità al rientro nel Regno Unito.
Con il no deal, il passaporto per l’animale non sarebbe più valido, bisognerebbe anche ottenere un certificato di salute da veterinari riconosciuti ufficialmente, almeno dieci giorni prima di partire. All’arrivo nell’Unione europea, i possessori di animali domestici dovrebbero passare attraverso un’area designata denominata TPE (Travellers’ Point of Entry), dove fornire tutte le prove sopra citate, comunque valide in caso di viaggi frequenti e ravvicinati. Gli stessi documenti saranno necessari per il ritorno nel Regno Unito.
In ogni caso, l’invito delle istituzioni è di consultare un veterinario con largo anticipo rispetto al viaggio in programma, almeno di quattro mesi. Lo stesso vale per i cittadini con passaporto britannico ma residenti in un Paese Ue. Non sarà necessario rivolgersi a un veterinario del Regno Unito, andrà bene uno locale.
Altro discorso per cavalli, bovini, ovini, maiali e capre e relativa discendenza. Le normative zootecniche facilitano il commercio di specie purosangue, i nuovi regolamenti attivi da novembre 2018 permettono alle aziende di candidarsi per essere riconosciute e avere dalle autorità competenti l’approvazione al loro programma di allevamento.
Questa certificazione apre a determinati diritti, un purosangue riceve trattamenti equivalenti negli altri Stati membri dell’Ue. Senza un accordo, dopo il 29 marzo tutto questo andrebbe a decadere. La legislazione Ue esistente consente tuttavia il commercio con Paesi terzi che rispettino dei requisiti, ma il Regno Unito dovrebbe a quel punto rinegoziare con l’Ue in materia.
Per quanto riguarda invece le competizioni sportive, come corse di cavalli, attualmente fa fede la direttiva europea 156 del 2009, che stabilisce le linee guida per il movimento di equini e la loro identificazione. A tale scopo servono due documenti. Una sorta di passaporto che include dettagli sulla salute dell’animale e un certificato (ITAHC) per il commercio intracomunitario. Il rilascio dei documenti avviene tramite istituti privati.
Con il no deal il Regno Unito diventerebbe Paese terzo e potrebbe non essere incluso nella lista di Paesi che possono effettuare spostamenti di equini in territorio europeo. I britannici dovrebbero adeguarsi agli standard come hanno fatto, ad esempio, Australia e Nuova Zelanda. I passaporti equini avrebbero validità per l’Ue a patto che il cavallo sia iscritto in appositi registri di pedigree o in organizzazioni internazionali per corse o competizioni.
Raisa Ambros
Foto © inews.co.uk; pixnio.com; catchnews.com; express.co.uk; change.org