Oncologia, l’era post Covid riparte dal territorio

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Oncologia

La vera sfida adesso è implementare le file di specialisti oncologi e infermieri e favorire il dialogo con i medici di famiglia

L’attenzione è altissima sull’oncologia territoriale, sul tema spinoso della carenza di medici oncologi e infermieri e sulla loro formazione per assistere al meglio i malati oncologici. Di particolare interesse sono anche i bisogni e le aspettative dei pazienti nei confronti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sul valore della multidisciplinarietà e delle terapie innovative.

Discutono sul presente e sul futuro dell’oncologia i massimi esperti che si sono riuniti al convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità. Obiettivo: mettere nero su bianco non solo quello che esiste e che arriverà, ma anche ciò che realmente serve per rispondere efficacemente ai bisogni dei malati oncologici. Per rivedere la conferenza su Eurocomunicazione:

  • prima parte https://www.facebook.com/Eurocomunicazione/videos/402571668703875
  • seconda parte: https://www.facebook.com/Eurocomunicazione/videos/624846399430760

Numeri allarmanti

Ogni giorno in Italia si registrano mille nuovi casi oncologici, mentre tre milioni e mezzo di italiani vivono dopo una diagnosi di cancro. Di questi circa 280.000 sono piemontesi. Si stimano 377.000 nuove diagnosi annuali di tumore, circa 195.000 fra gli uomini e 182.000 fra le donne. Attualmente il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze. Una buona percentuale dei restanti ha maggiori possibilità di controllare la malattia cronicizzandola.

«A fronte di questi numeri» – ha spiegato Alessandro Stecco, presidente della IV commissione Sanità di Regione Piemonte – «cure migliori e personalizzate, ricerca scientifica, qualità della vita dei malati e dei pazienti guariti, prevenzione e diagnosi precoce sono i temi su cui istituzioni, privati, università e mondo del volontariato sono chiamati a confrontarsi per una sfida che ogni giorno è più globale. Dobbiamo ricordare che l’amministrazione della res pubblica obbliga alla costruzione della spesa pubblica che è speranza, aspettativa e prospettiva nell’oncologia e nell’oncoematologia».

Eccellenza piemontese

«Partendo dalla constatazione che la nostra Rete oncologica piemontese è di assoluta eccellenza e della quale le nostre istituzioni non posso che esserne fiere» – ha aggiunto Silvio Magliano, componente della IV commissione Sanità di Regione Piemonte – «sarà sempre più necessario sviluppare anche in questo campo un forte rafforzamento dell’elemento territoriale e della domiciliarità. Sia come chiave di maggior efficacia del sistema sia come ulteriore passo verso una reale e concreta umanizzazione delle cure».

«Il modello Piemonte con la sua Rete oncologica è sempre stato riconosciuto come una modalità organizzativa efficiente», ha ribadito Carlo Picco, direttore generale dell’Asl Città di Torino e commissario dell’azienda Zero del Piemonte. «La recente istituzione dell’azienda Zero che ha nel suo atto aziendale l’afferenza della rete oncologia può costituire un ulteriore elemento di rafforzamento dei percorsi oncologici. Ci troviamo nella possibilità di imporre un’accelerazione sia nell’assistenza, e penso anche grazie al progetto di telemedicina in oncologia già sviluppato e in fase di attuazione in tre province regionali, come nella ricerca, con le università regionali e in collaborazione con l’IRCSS di Candiolo e le fondazioni bancarie».

«Il quadro è quindi in questo settore positivo, in evoluzione e comunque fondato su solidi pilastri di gerarchizzazione delle aziende con modalità di presa in carico efficaci. Le zone d’ombra saranno comunque affrontate nella logica di una programmazione regionale e sovraziendale».

Ospedale e territorio

Dopo il Covid in oncologia deve nascere un nuovo rapporto tra ospedale e territorio. «In ospedale restano ovviamente gli interventi chirurgici, le terapie endovenose, i protocolli sperimentali, quelli ad alta tecnologia come le terapie con Car-T cell, la radioterapia», ha spiegato Alessandro Comandone, direttore del dipartimento di Oncologia dell’Asl Città di Torino. «Sul territorio sono già in atto attive collaborazioni per le cure post chirurgia come medicazioni e riabilitazione, le terapie di supporto, ci sono iniziali tentativi di esternalizzare le terapie orali consolidate, non sperimentali, il follow up e le cure palliative».

«Vi è necessità al momento di implementare il dialogo tra specialisti ospedalieri, medici di medicina generale e medici specializzati in terapia del dolore e cure palliative. La Rete oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta sta favorendo gli incontri e il dialogo tra medici, infermieri e popolazione per portare a massima efficienza il servizio offerto».

Previsioni grigie

«In ambito oncologico si assiste a un costante aumento dei costi, oltre 19 miliardi di euro all’anno. L’incremento è dovuto soprattutto alla spesa per i farmaci e agli investimenti per il rinnovo tecnologico e l’inserimento di nuovi strumenti per diagnosi e terapia. Bisogna poi ricordare che è assolutamente necessario recuperare i due milioni e mezzo di esami di screening non eseguito e che hanno determinato alcune migliaia di mancate diagnosi» ha spiegato Roberto Orecchia, direttore scientifico dell’Istituto europeo di Oncologia. «La prevenzione è forse il settore che più ha sofferto in questi due anni. Spiace osservare che si sia sentita la necessità di intervenire con un piano straordinario. Gli altri indicatori, e la mortalità in particolare, per il momento non hanno mostrato flessioni ma per avere un quadro definitivo bisognerà attendere i prossimi 3-5 anni».

«Il Pnrr», secondo Roberto Orecchia, «offre una straordinaria opportunità per migliorare la situazione della salute pubblica. A fronte dei molti miliardi disponibili occorre una visione complessiva che metta a terra queste risorse con una sinergia e una programmazione che veda lo Stato e le Regioni in totale condivisione».

Pnrr

Carlo Nicora, direttore generale della Fondazione IRCCS Istituto nazionale Tumori di Milano, ha spiegato: «Il Pnrr ha focalizzato l’attenzione sul tema della medicina territoriale. Sempre di più occorre riempire di contenuti e di funzioni i nuovi luoghi di cura che si stanno costruendo. In Italia sono presenti circa 3,6 milioni di pazienti oncologici che rappresentano una domanda rilevante, ma soprattutto caratterizzata da bisogni assistenziali molto diversi che vanno dall’alta intensità (Car-T) a esigenze più di tipo socio-sanitario. Le terapie innovative aumentano i tassi di sopravvivenza. L’oncologia è pronta a una nuova organizzazione, ora solo ospedaliera, con la delocalizzazione di alcuni trattamenti specifici per la cura dei tumori realizzando la territorializzazione delle cure oncologiche con nuovi setting assistenziali fino al domicilio (protetto e assistito) del paziente sfruttando al meglio la telemedicina».

Oncologia«L’oncologia territoriale ha però bisogno delle Reti oncologiche con percorsi diagnostico terapeutici che devono garantire la presa in carico omogenea, l’equità di accesso alle cure, la continuità assistenziale e la ricerca clinica diffusa e dove gli screening rappresentano una strategia irrinunciabile. La teleoncologia che va da un servizio di telemedicina per una consulenza oncologica da remoto, alla medicina personalizzata, sino a una research connection a livello nazionale, per mettere a fattore comune i risultati della ricerca rappresenterà un collante tra le realtà territoriali e gli ospedali», continua Nicora.

Personale formato

Secondo il direttore dell’IRCCS: «Oggi la carenza di personale è evidente in ambito sanitario e non parlo solo di personale medico. Un’assistenza oncologica adeguata richiede ovviamente la formazione di oncologi del futuro che sappiano adeguatamente interpretare e gestire la complessa diagnostica molecolare e le terapie innovative che la ricerca ci mette a disposizione. Richiede anche la formazione di medici palliativisti oggi nettamente carente sia per cure simultanee sia per le cure del fine vita».

«Ma ancora e soprattutto richiede la disponibilità di personale infermieristico formato sulle nuove problematiche oncologiche, sulle tossicità dei nuovi farmaci e la gestione delle stesse, in grado di trasferire questo tipo di conoscenze anche all’assistenza territoriale che dovrà sempre più integrarsi con l’assistenza ospedaliera. Ritengo che occorra rilanciare il ruolo centrale della figura infermieristica nell’assistenza al malato, in particolar modo al malato oncologico. Ambito nel quale è fondamentale valorizzare la professionalità, le conoscenze e gli spazi di autonomia gestionale».

I pazienti

La voce dei pazienti è stata rappresentata da Favo, Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia che ha messo in campo un importante progetto.

«Favo sta formando pazienti e care giver affinché in tutte le realtà possano partecipare in modo competente e qualificato in tutti gli snodi organizzativi cruciali: dall’elaborazione dei Pdta ai Molecular Tumor Board», ha spiegato Paola Varese, presidente del comitato scientifico Favo. «Il malato è il massimo “esperto” della sua storia ma riuscire a essere interlocutore competente e, direi, tenace nei confronti delle istituzioni richiede formazione continua e consapevolezza. Il volontariato non deve vicariare le carenze della sanità pubblica o ridursi a un “bancomat a cui chiedere fondima portare contributi progettuali, anche in co-progettazione, che rendano il servizio sanitario nazionale efficace e sostenibile»”.

Multidisciplinarietà

Massimo Aglietta, coordinatore responsabile degli indirizzi strategici della rete oncologica di Piemonte e Valle d’Aosta e professore di Oncologia medica presso l’Università degli Studi di Torino spiega: «Multidisciplinarietà è il modello organizzativo sul quale sono attualmente costruiti i Psdta del paziente oncologico: l’interazione fra specialisti dello stesso ospedale o di diversi è ormai un modello acquisito. La cronicizzazione di molte malattie oncologiche rende tuttavia questo modello insufficiente per due ragioni: a) obbliga il paziente a frequenti accessi ospedalieri con elevati costi economici, sociali e un impatto negativo sulla qualità di vita; b) sovraccarica la struttura ospedaliera».

«Diventa pertanto indispensabile un’integrazione funzionale con la medicina territoriale a cui vanno delegati momenti significativi del percorso terapeutico. Per raggiungere questo obiettivo occorre lavorare in tre direzioni: 1) programmi educazionali specifici per gli operatori territoriali; 2) strumenti informatici efficienti che consentano una interazione efficace fra operatori ospedalieri e territoriali; 3) definizione delle procedure amministrative che regolano queste attività».

 

Ginevra Larosa

Foto © Motore Sanità, L’Indro

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