Diritti civili e razzismo: il paradosso-Estonia

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In una nazione modello di democrazia e di libertà politica, la minoranza russofona non ha diritto di cittadinanza né di voto

La vicenda che ha visto l’arresto e l’espulsione del giornalista italiano ed ex europarlamentare Giulietto Chiesa, ritenuto dal governo di Tallin “persona non gradita” per le sue posizioni molto critiche nei confronti dell’azione dell’Occidente in Ucraina, getta sull’Estonia, piccola repubblica  nata dalla dissoluzione dell’Urss e indicata dalle principali organizzazioni internazionali come un modello di libertà politica, economica e d’informazione, una luce molto diversa dalla solita con la quale siamo soliti guardarla. Il segregazionismo sembra essere rinato qui, in un piccolo angolo di quell’Unione Europea che pure sulla difesa dei diritti umani ha costruito la sua storia politica: in Estonia, membro dell’Ue dal 2004 ed entrato nell’Eurozona nel 2011, vige un clima da Alabama anni Cinquanta. Questa repubblica di appena 45mila chilometri quadrati, grande quanto l’area compresa tra il Piemonte e la Lombardia, applica da anni una sorta di apartheid nei confronti della minoranza russofona, che dopo il collasso dell’Unione Sovietica si è praticamente trovata a non aver più diritto ad una piena cittadinanza, il cui ottenimento dipende dal superamento di un esame di lingua estone.

Ciò vuol dire che dal 1991, anno in cui l’Estonia ha proclamato la propria indipendenza dall’Urss, almeno duecentomila persone hanno dovuto sottoporsi ad un test linguistico per ottenere la cittadinanza del paese in cui erano nati e cresciuti, per vedersi garantito un passaporto, la libera circolazione all’interno dell’Area Schengen, la possibilità di votare alle elezioni politiche e di iscriversi a un partito. Ma ce ne sono altrettante, pari al 15 per cento di una popolazione di poco più di 1,3 milioni di individui, che pur essendo estoni di nascita o residenti in Estonia da decenni, oggi di quei diritti non possono beneficiare, perché non hanno superato l’esame di lingua o, semplicemente, perché lo reputano un abuso e si sono rifiutate di sostenerlo. Per questo motivo a queste persone, come pure ai cittadini d’etnia slava che vivono nella vicina Lettonia (dove si verificano situazioni analoghe), è stato attribuito uno status singolare: il “non-cittadino”.

Quelle che in altri paesi comunitari sarebbero riconducibili a severe norme anti-immigrazione, assumono sulle rive del Baltico quasi i toni di leggi razziali, perché fondate sull’appartenenza etnica degli stessi cittadini: una situazione fonte d’imbarazzo nelle istituzioni comunitarie, visto che la tutela dei diritti delle minoranze è condizione fondamentale per un paese che aspira all’ingresso nell’Unione Europea, e come tale era stata imposta anche al governo di Tallin all’atto della presentazione della domanda di adesione.  Il Consiglio d’Europa, la massima organizzazione europea per la tutela dei diritti dell’Uomo, negli scorsi anni ha inviato all’Estonia una serie di raccomandazioni, classificate come “confidenziali”, che esortavano Tallin a revocare alcuni provvedimenti discriminatori attuati nei confronti dei “non-cittadini”, come l’ottenimento della cittadinanza vincolato al superamento dell’esame di lingua estone e il divieto di iscriversi a un partito per chi è privo della cittadinanza. Sempre con una comunicazione a livello “confidenziale”, il Consiglio d’Europa ha chiesto che ai cittadini russofoni venga concessa la possibilità di inserire il proprio patronimico nei documenti ufficiali, ed ha anche raccomandato alle autorità estoni di dotare la segnaletica stradale di caratteri cirillici.

Il forte sentimento revanscista che gli estoni nutrono verso i russi risale al periodo della Repubblica Socialista Sovietica d’Estonia. Anch’essa oggetto del “patto scellerato” Molotov-Ribbentrop, l’Estonia venne invasa dall’Armata Rossa e annessa all’Urss nel giugno 1940, e subito sottoposta ad una durissima politica di russificazione, con abolizione dell’estone e imposizione del russo come lingua nazionale. Un anno più tardi, all’indomani dell’attacco tedesco all’Unione Sovietica, venne occupata dalle truppe naziste: i partigiani estoni, vessati dal terrore messo in atto dai sovietici, considerarono i tedeschi come liberatori e si schierarono a loro fianco, diventandone complici negli eccidi commessi contro la popolazione di origine slava e contro gli ebrei. Quando Stalin nel 1944 riconquistò definitivamente l’Estonia, ordinò di punire duramente i collaborazionisti di Hitler con purghe, deportazioni e condanne a morte, viatico di un costante abbattimento della cultura e dell’identità estone a favore di quella russa dominante, che sarebbe durato fino alla riconquista dell’indipendenza nel 1991, quando i soldati sovietici lasciarono il Paese.

Sebbene ciò renda comprensibili, e in parte giustificabili, le diffidenze che gli estoni si portano dietro verso i loro ex connazionali-occupanti, incomprensibile ed ingiustificabile è però la posizione revisionista adottata dal governo di Tallin da qualche anno a questa parte, che non perde occasione di celebrare, come eroi dell’indipendentismo estone, oscuri miliziani filonazisti. Nella cittadina di Sinimäe, teatro nel 1944 di una delle più sanguinose battaglie della Seconda Guerra Mondiale tra sovietici e tedeschi, ogni anno, alla fine di luglio, vengono celebrati gli ottantamila estoni membri della 20ma Divisione Granatieri delle SS che combatterono contro l’Armata Rossa tra le fila dell’esercito nazista. Sinimäe è ormai diventata una sorta di Mecca per i cultori di Hitler provenienti dalla Scandinavia e non solo: le immagini dei raduni, che si susseguono dal 2007, mostrano come, dietro i pochi ottuagenari con l’uniforme delle SS, a sventolare le bandiere con svastiche e simboli del Terzo Reich ci siano sempre più giovani militanti legati alle più temibili organizzazioni neonaziste d’Europa, che attraverso un tam-tam sul web accorrono sul Mar Baltico per celebrare il più nero periodo della Storia contemporanea.

Alessandro Ronga

Foto © Wikicommons 2007

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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