Le elezioni in Albania si legano al futuro politico dei Balcani

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I cittadini schipetari sono chiamati a rinnovare il Parlamento nazionale: dall’esito di questo voto dipende non poco la stabilità della regione adriatico-ionica

Tra veleni reali e metaforici, si è conclusa ieri la campagna elettorale per le elezioni politiche in Albania e ora i Balcani e l’Ue (di cui il “Paese delle Aquile” aspira a diventare membro entro il 2024) guardano con una inedita attenzione all’esito che domani uscirà dalle urne. Una campagna elettorale senza esclusione di colpi, che ha vissuto momenti delicati a fine maggio, quando il capo dell’opposizione Lulzim Basha ha denunciato di essere rimasto vittima di un tentativo di avvelenamento attraverso una strana polvere bianca, alzatasi improvvisamente nel corso di una manifestazione elettorale indetta a Tirana nel centralissimo Bulevardi Dëshmorët e Kombit, il lungo viale una volta teatro delle parate militari di Enver Hoxha, che lambisce i palazzi del Potere nella capitale albanese, inclusa la residenza ufficiale del primo ministro e suo rivale politico, il socialista Edi Rama.

   Zoran Zaev

La stabilità nel turbolento contesto balcanico passa inevitabilmente per queste elezioni. Il premier Rama ha fatto della ricomposizione della diaspora albanese in Kosovo e Macedonia (e in piccola parte in Grecia e Montenegro) un punto centrale della sua politica di questi anni. Ma l’escalation di tensioni etniche tra albanesi e slavi può diventare molto pericolosa: in Macedonia, grazie al sostegno di Tirana, gli schieramenti politici albanesi nell’ex repubblica jugoslava sono arrivati al governo in coalizione con il partito Sdsm di Zoran Zaev, che se vuol tenersi stretta la poltrona di premier dovrà necessariamente concedere molto ai suoi alleati, a cominciare dal riconoscimento dell’albanese come lingua ufficiale accanto al macedone. Rama e Zaev sono entrambi socialisti, e assieme al montenegrino Dusko Markovic (anch’egli socialista) fanno parte di quel bizzarro schieramento politico sovranazionale che è stato per anni referente dei neocon americani prima e di Obama poi nelle loro politiche di containment della presenza russa nei Balcani (in particolare in Serbia, nella Repubblica Srpska di Bosnia e in Macedonia). Non a caso Zaev ha già annunciato che la Macedonia, dopo il Montenegro, sarà il prossimo membro della Nato.

Proprio l’influenza che Tirana ha acquisito su Skopje, vista anche l’amicizia tra Edi Rama e George Soros (della cui omonima Fondazione è stato funzionario) ha fatto piombare la Macedonia in una delle più preoccupanti crisi politiche della sua breve storia. L’incubo della destabilizzazione evocato dall’opposizione di centro-destra macedone suonerebbe esagerata, se non fosse che il premier albanese non ha mai fatto mistero di ritenere la ricomposizione dell’Albania etnica come un processo irreversibile: e se si considera il ruolo giocato da Tirana (con il sostegno all’epoca di George W. Bush) nel percorso secessionista del Kosovo, i recenti timori evocati dal presidente macedone Giorgj Ivanov sul rischio di frammentazione dello Stato hanno un che di fondato.

   Edi Rama

Tutto questo senza dimenticare che l’Albania è un paese sì laico, ma in prevalenza musulmano: proprio facendo sponda sulla maggioranza della popolazione di credo islamico, la Turchia negli ultimi anni è stata molto presente nel sostenere la nascita di centri di culto e moschee quale emblema della longa manus di Erdogan nei Balcani, che Ankara vuole però pacificati. In un’intervista televisiva rilasciata la scorsa settimana all’emittente albanese Top Channel, il presidente turco ha invitato il governo di Tirana a rispettare la sovranità di Macedonia e Kosovo: Erdogan di fatto ha sconfessato l’idea di un’Albania etnica, che pure nei mesi scorsi aveva trovato sponda nel presidente kosovaro Haşim Taçi, l’ex leader delle milizie indipendentiste dell’UçK, e nel neo-presidente del parlamento macedone Talat Xhaferi, il primo esponente di etnia albanese a ricoprire la carica, che alla sua prima uscita ufficiale si era fatto fotografare accanto alla bandiera macedone e a quella d’Albania.

Grazie ai fondi messi a disposizione dal Diyanet, il potentissimo Direttorato per gli affari religiosi della Turchia, sulla centralissima via che la Municipalità di Tirana ha dedicato a George Bush jr verrà presto inaugurata la più grande moschea dei Balcani, che è solo l’ultima delle tante bandierine che il Sultano sta piazzando sparse per il territorio balcanico, quasi a segnare il territorio. «Consideriamo l’Albania e tutti i Balcani come una nostra inseparabile parte» dichiarò lo stesso presidente turco nel maggio 2015 in occasione della riapertura della moschea di Preza, vicino Tirana, restaurata con denaro turco. Fu allora che Erdogan chiese a Rama la messa al bando di sei scuole coraniche (su sette presenti in Albania) che si ispirano alle idee del suo acerrimo nemico Fetüllah Gülen, da lui ritenuto la mente del fallito golpe dello scorso luglio. E il primo ministro albanese sembra volerlo accontentare: secondo quanto riportato dal quotidiano filogovernativo turco Daily Sabah, un’indagine è stata avviata dalla Procura Generale dell’Albania contro alcuni uomini d’affari albanesi legati a Gülen, che secondo Ankara sarebbero stati parte attiva dell’Organizzazione legata all’ex imam esiliato negli Usa, accusato dai servizi turchi di aver finanziato il putsch contro il presidente.

Alessandro Ronga

Foto © Wikicommons/Hodaj

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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