Il grido d’allarme lanciato dal comandante Gian Giacomo Pisu, che ha inviato una lettera alla ministra De Micheli e al presidente Mattarella
Tre colpi da ko e tutti a breve distanza, il caso Air Italy, il coronavirus e il caso CIN (Compagnia Italiana Navigazione, ovvero, in sintesi, Moby e Tirrenia). Sono questi i detonatori di una situazione esplosiva, che rischia di marginalizzare ulteriormente una regione bella come la Sardegna, ma non certo più ricche d’Europa. Non si tratta solo di trasporti, che per un’isola come questa, che non si raggiunge con i ferryboat in poche decine di minuti come la Sicilia, rappresentano spesso il cuore del problema, ma di un sistema intero, fatto di filiere, di catene del valore, che spesso con la logistica iniziano e con la logistica finiscono. La lettera che il comandante Gian Giacomo Pisu, della Stazione Pratici del Porto di Arbatax ha inviato alla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli, e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è da antologia.
È tutto lì, un’attività che consente la movimentazione in sicurezza dei traghetti dentro il porto e per il porto (ma poi dal porto si esce), messa in ginocchio dalla decisione di bloccare i conti correnti di una società, la CIN di Onorato, da tempo in difficoltà e controversa, che rischia di non poter pagare più i propri dipendenti perché i costi continuano a dover essere sostenuti, facendo venir meno un servizio pubblico in concessione. Ma questa attività è il primo o secondo anello di una catena del valore che consente il trasporto delle persone e delle merci, l’import e l’export di merci, il trasbordo di turisti con o senza le loro vetture e, anche più simbolicamente, consente alla Sardegna, di sentirsi parte di una nazione e di uno Stato che ha contribuito col sangue a formare. Ma non c’è solo il caso CIN? Già il mese scorso, poco prima che partisse la pandemia del coronavirus, che già da solo è in grado di far crollare le prenotazioni turistiche, era entrata in crisi la Air Italy, che ha deciso, con la rapidità caratteristica delle aziende di mercato, di bloccare le perdite frutto comunque di un piano industriale probabilmente corretto, ma anche di un’applicazione troppo incentrata sul corto raggio, dove ha trovato la barriera fitta e solida di compagnie low cost che l’hanno fatta letteralmente rimbalzare.
Il costo diretto ed immediato sarà rappresentato dai circa 500 dipendenti sardi della compagnia che, se per il momento saranno coperti dalla cassa integrazione dovuta al coronavirus, fra non molto tempo saranno licenziati con assai scarse probabilità di trovare lavoro presso la propria terra. In Sardegna 500 famiglie significano spesso 1.500 – 2.000 persone che si sostentano con quegli stipendi. Questi numeri non sono piccoli, se si tiene a mente che la popolazione sarda ammonta ad appena 1,650 milioni di abitanti. Poi c’è l’indotto. Quello dei lavoratori del comparto logistico, innanzitutto, e di chi sulla logistica costruisce storie di successo o di insuccesso. Il saldo import export della Sardegna è cronicamente in deficit e a questo contribuisce significativamente anche l’incidenza del costo dei trasporti sul fatturato dell’esportazione di merci spesso a basso valore aggiunto. L’elevato costo dei trasporti, oltre ad una limitatezza altrettanto cronica dei posti, che contribuisce, nel gioco domanda elevata – offerta scarsa, a sostenere i prezzi, incide non poco nello sviluppo turistico dell’isola che tuttavia, rappresenta, assieme all’indotto rappresentato da HORECA, trasporti, servizi alla persona, commercio, affitto di case stagionali e relativi servizi di manutenzione e di varia natura, circa il 27% degli occupati sardi che, oltretutto, complice una stagione turistica molto intensa per soli tre mesi più altri due di minore intensità, si trovano a concentrare in poco tempo redditi che spesso rischiano di non recuperare nei mesi successivi. Questo nelle annate normali, ma questa non lo è.
Il conto che la Sardegna rischia di pagare quest’anno è quindi da incubo e noi tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini delle rivolte dello scorso anno per il caso delle tariffe sul latte. Episodi che ricordavano per certi versi i gilet gialli francesi, e che sono stati derubricati, spesso anche all’interno dell’isola, come episodi gestiti da persone violente, legate al mondo agropastorale, che poco hanno a che vedere con i più compassati commercianti e impiegati cagliaritani o i benestanti sassaresi o i proprietari di case vacanze di Olbia, Arzachena, Alghero, Villasimius, Arbatax e altre località che solo a pronunciarne il nome sembra di essere già in vacanza. Tutti costoro forse, a parte qualche manifestazione di solidarietà umana espressa con i dovuti distinguo, sempre doverosi nel caso di sussidi non dovuti, non si sono nemmeno sentiti toccati dal problema, lo hanno sentito distante, riguardava “altri”. Ma la batosta che sta per arrivare sull’isola questa volta la sentiranno tutti, proprio tutti, con l’eccezione degli impiegati pubblici o dipendenti di solide aziende di Stato o partecipate, o della SARAS dei Moratti e le aziende collegate. Ma chi di questi dipendenti non avrà parenti da aiutare, situazioni familiari da risolvere? Serve un vero piano per questa regione. Non un piano assistenziale, ma un percorso che affronti una volta per tutte, tracciando dei percorsi a medio-lungo termine che vengano perseguiti con grande determinazione, i problemi strutturali di questa regione a statuto speciale che vanno dalla continuità territoriale ad un piano energetico integrato che consenta una industrializzazione non precaria come quella legata al settore dell’alluminio di Portovesme o alla costruzione delle famose cattedrali nel deserto di cui la Sardegna è inutilmente disseminata. E che dia anche un senso a quello statuto speciale che le amministrazioni regionali, a dir poco discutibili, di questi ultimi decenni, non hanno saputo minimamente utilizzare se non per porre divieti agli imprenditori, proporre la costituzione di compagnie di navigazione o di volo regionali, destinate a diventare tante piccole Alitalia pagate dai contribuenti, o infognarsi in procedure non consentite per la Sardegna dalle stesse norme europee, per l’ottenimento dello status di zona franca integrale, specchietto per le allodole per tirar su qualche voto, ma senza la minima concretezza. I sardi meritano ben altro. Sia dai governanti locali, che da quelli nazionali.
Alessandro Cicero
Foto © Vistanet, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Quirinale